Tit. or.: Al tishkechi oti. Di Ram Nehari.
Tom è una ragazza
insofferente della clinica per disturbi alimentari (nutrirsi non è il suo forte) in cui è ricoverata insieme ad altre. Neil è un
ragazzo con dei problemi mentali (non subito chiari e definiti, per
lo spettatore), che è sicuro di essere in procinto di entrare nella
band di un conoscente, dal quale si presenta con una tuba portata
sulla schiena. I due ragazzi - insieme alla modella fidanzata del
musicista - fanno una visita alla clinica, dove Tom attacca
conoscenza, in modo spiazzante, con Neil, per poi “evadere”
insieme a lui. Nella notte che trascorreranno fuori a Tel Aviv e che
ha come tappa un mal riuscito ritorno dai genitori di lei,
abbozzeranno una relazione e penseranno a un futuro insieme, dovendo
però fare i conti col peso di ciò che sono.
Scritto e diretto da un
israeliano in Israele ma co-prodotto con Francia e Germania, Don't
Forget Me è il film che ha
vinto l'ultima edizione del TFF ed è effettivamente tra i titoli più
graditi visti tra i nuovi dallo scrivente, uno di quelli che sono
andati oltre la barriera del buon film che lascia tiepidi, attraverso
una marcia in più. Nehari, apprendiamo dal catalogo, ha esperienza
di cortometraggi realizzati con persone dai disordini mentali e, fan
di commedie romantiche eccentriche, teneva al far ridere come mezzo
per fare arrivare l'umanità dei personaggi. Cui introduce con
inquadrature e sequenze lunghe, che potrebbero sembrare un
poco gratuite o temporeggianti ma in realtà sono utili a farci
entrare nel loro mondo, in senso fisico per quanto riguarda la
clinica di lei (con le meccaniche domande su salute intestinale e
mestruazioni), e danzando intorno alla personalità di lui nel
negozio.
A casa di lei, più
avanti, troviamo due genitori che si rivelano acidi e dalla mentalità
“complicata”. Chi sembra più sano, insomma – e comunica in
modo meno ambiguo – , non è detto lo sia (anche ascoltando gli
sproloqui dell'amico estroverso e un po' sessuomane può sorgere
questo pensiero), ma il film non va a parare in questa banale
direzione. I protagonisti hanno effettivamente dei problemi a vivere,
fanno un passo più lungo della loro gamba, senza una base solida
dentro di loro, né esperienza di vita, che li possa sorreggere.
Infatti non è propriamente una commedia, perché l'amarezza è
tanta, e non è propriamente una storia d'amore, sia per lo sviluppo
(il sesso arriva prestissimo, ma per decisione di lei, che lo
considera con distacco, una cosa che si deve fare e uno strumento)
sia perché risulta soffocata e senza un happy end,
come se per i due ci fosse giusto il tempo di piacersi sì, e di
capirsi un po' (e per noi di capire loro) prima che la vita chiuda,
almeno temporaneamente, una pagina.
Se Neil, che sembra
sperduto nonostante occasionali momenti in cui cerca di sfoderare
sicurezza di sé (e prima di quel che fa verso la fine), suscita
tenerezza, lei ha un carattere più forte ma imprendibile: capace di
essere molto acida, è franca e presuntuosa, ma il pensare di sapere
come vivere (quel che le basta per nutrirsi) e il promettere di farlo
come le persone “normali” non evita un fallimento penoso. Una
delle scene migliori comunque è affidata a lui: quando loro due sono
sul bus e lui si apre descrivendo i suoi problemi passati e le sue
visioni, mettendo a disagio perché è lì che si rivela più
chiaramente disturbato. Esemplificativo di un film rispettoso e
onesto nei confronti di questi personaggi. Che sono interessanti, e grazie ai quali ti ritrovi tirato dentro Don't
Forget Me senza quasi accorgertene, in un'oretta e mezza che
sembra durare meno: perdonabile l'espediente un poco ruffiano del
cantastorie per addolcire il finale.
Moon Shavit (Tom) e Nitai
Gvirtz (Neil) sono stati premiati come migliore attrice (ex aequo con
la Emily Beecham di Daphne) e
miglior attore, appropriatamente perché sono bravissimi.
Alessio Vacchi
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