domenica 28 settembre 2008

Incompresi. Comici allo sbaraglio: STREGHE VERSO NORD


Italia 2001. Di Giovanni Veronesi. Su dvd Cecchi Gori.

«[...] soprattutto non volevo si finisse per dire “ecco l'ennesimo comico televisivo che passa al cinema”. Con Streghe verso nord almeno non corro questo rischio [...]. Perchè non è certo una commedia all'italiana, ma un film veramente nuovo e molto cattivo. [...] Ora ho una certezza: sono arrivato al cinema e intendo restare» (Teo Mammucari su Ciak n.10, ottobre 2001). Reso popolare in tv da Libero, Mammucari è qui protagonista di un progetto fuori dagli schemi. Non una pellicola comica, ma qualcosa di più azzardato, tra la commedia nera e una via italiana al fantastico, calato in un contesto urbano ed odierno. Lo showman interpreta l'autore di un fortunato libro sulle streghe, che viene chiamato da un sedicente produttore il quale pare voler trarre un film dal suo libro. Ma l'apparente metacinema che qua si profila è una falsa pista: presto l'uomo (interpretato da Paul Sorvino, attore americano qui doppiato con accento campano non pesante) gli rivela di essere un disinnescatore di streghe del mondo dello spettacolo, e che quanto lo scrittore ha buttato giù riguardo la stregoneria non è invenzione, ma tutto incredibilmente vero. Il malcapitato è quindi spinto, ed allenato, a seguire la sua strada, quella del combattere le streghe. Come lo si fa? Dando loro una capocciata sul setto nasale, poi trascinandole sette passi verso nord (state leggendo bene). In questo modo tornano ad essere ragazze non pericolose. Tra mille titubanze, alle prese col burbero “capo”, dovrà infine affrontare la minaccia di una strega a lui vicina.
Troppo facile essere spietati con un film del genere, come lo sono stati pubblico e critica. E' però vero che si stenta a trovarvi dei pregi. C'è la bellezza di una Emmanuelle Seigner che entra in scena con inquadrature di gusto foot-fetish ed è sempre mezza svestita, oltre che recitante con la sua voce; c'è -volendo...- la trovata grottesca della capocciata in faccia alle ragazze, che può esser vista come catartica vendetta da spettatori che abbiano conti in sospeso col sesso femminile. Ma il film non riesce a creare una vera sospensione dell'incredulità. Non spinge sulla comicità (c'è comunque almeno una scena divertente, quella in cucina quando lui equivoca quanto gli dice la Seigner), tantomeno è qualcos'altro, nonostante i toni più seri dell'ultima parte. Mammucari fa la parte dell'uomo un po' timido tirato in mezzo a cose più grosse di lui, recita come sa, non risulta pessimo ma non è abbastanza. Inoltre a livello di sceneggiatura e di idee ci sono dei problemi. L'apprendistato del protagonista alla sua “missione” pare partire, poi per un po' rimane inceppato e questioni come il divieto di dire parolacce da parte dei disinnescatori sanno, pardon, di cazzata. Il finalissimo, dopo una sequenza di sfogo frammentata al montaggio in cui il film rialza un attimo la testa, è poi qualcosa di fiacco e patetico: chissà il pubblico in sala, sempre ipercritico con i finali, come lo ha accolto.
Se è vero che la paura delle streghe dice qualcosa della paura delle donne, il film in questo senso è ambiguo. Chi sono queste streghe moderne, cosa fanno? Sono donne sempre di bell'aspetto, in qualche modo macchiate da azioni cattive, anche se il massimo che si vede loro fare è far cadere qualcosa da una finestra. Quando in discoteca parte Torn di Natalie Imbruglia, Sorvino dice: “E' partito l'inno delle streghe!”: ma che....? Ed è altrettanto poco convincente lo sviluppo del rapporto con la compagna del fratello (la Seigner), da cui il protagonista è affascinato, la sogna, ma che “sta tra lui ed il fratello”: la donna si rivela una strega da disinnescare, ma dopo che cambia, visto che lei rimane desiderabile?
In apertura vediamo qualcuno sfogliare il libro del protagonista a tema streghe: un incipit quasi argentiano, in cui il lettering del titolo del film e di alcune parole che “emergono” dal libro pare proprio fatto con WordArt. Va un pelo meglio con l'altro effetto speciale rilevante: compiuti i sette passi con la strega colpita, una sorta di lampo brucia l'immagine per alcuni secondi, prima del ritorno alla normalità. Gerard Depardieu ha un paio di scene nella parte di un sé stesso che è anche il supremo capo dell'organizzazione, mentre la showgirl Federica Fontana ha il piccolo ruolo di una strega.
Alessio Vacchi

Memorabilia. TROPPO FORTE


Il flano nomina, tra le tipologie di potenziali spettatori, i "rambomaniaci" ed i famigerati paninari. Trionfo di aggettivi ganzi: duro, tosto, che fan da pendant al titolo stesso. Si capisce che siamo negli anni Ottanta (1986 per la precisione)?
Alessio Vacchi

domenica 21 settembre 2008

Incompresi. Comici allo sbaraglio: FESTIVAL


Italia 1996.

L'Ezio Greggio de Il papà di Giovanna è solo l'ultima espressione di un vizio del prolifico Pupi Avati, quello di utilizzare attori al di fuori del loro ambito abituale. Cosa che gli è riuscita alla grande negli anni 80 con Diego Abatantuono; altri esempi degli ultimi anni sono Neri Marcorè e Katia Ricciarelli. Questo film con Cipollino Boldi ha avuto però un riscontro scarso e rimane un episodio a sé nella carriera dell'attore, qui in una rarissima parte seria. Con un'idea semplice e scaltra, Avati gli fa interpretare un attore, Franco Melis, comico ma serio e poco fortunato nella vita, che ha avuto la sua fortuna negli anni 80 e che ora ha interpretato un film drammatico. Come se cercasse di mettere a nudo la vulnerabilità dell'essere attore e del suo attore, mettendolo a contatto con la paura di essere sorpassati dal tempo e da altri (“Nel mio teatro avrò Iacchetti”, gli viene detto). L'ispirazione sta in Walter Chiari, che nel 1986 andò a Venezia con Romance, dopo anni di assenza dagli schermi. Il film di Melis, Ritorno dal buio (di cui si vedono alcuni momenti, girati in modo ingenuo), viene con sua sorpresa selezionato in concorso al festival di Venezia. Così lui parte per il lido insieme al suo manager (Gianni Cavina), ad una ragazza straniera, che gli sta opportunisticamente attaccata, al regista. In un continuo di pessimismo e note di speranza, attenderà la proiezione del film e spererà in una Coppa Volpi come miglior attore. Colpo di scena finale... La rappresentazione del festival di Venezia, con scene girate durante la mostra del 1995, è acida. Per Melis è luogo che può rappresentare una vaga possibilità di rinascita o una fugace illusione. Il suo nome durante il film ricorre sovente: viene citato, chiamato, pronunciato, stampato sui giornali, ma i giornalisti non lo ascoltano e corrono dai più famosi, mentre alla conferenza stampa si fanno domande senza aver visto il suo film. Ma tra i camei di gente “di cinema” nella parte di sé stessa (Vincenzo Mollica, Gian Luigi Rondi) c'è anche quello di Gillo Pontecorvo, allora direttore della mostra, mentre il suo collaboratore Giorgio Gosetti figura tra i collaboratori alla sceneggiatura.
Avati gira senza voli, ma dalla parte del film sta un montaggio netto che dà una certa sveltezza al film, unito a una sceneggiatura nella quale non si sprecano parole e che mette a segno delle battute. A funzionare di meno purtroppo è Boldi. A parte un paio di momenti in cui fa lo scemo al suo solito (sul palco all'inzio, in auto), la sua recitazione è settata su un tono mesto che è in linea con lo spirito malinconico di Avati che lo dirige e quindi del film, ma risulta monocorde e limitata e non aiuta la pellicola a fare uno scatto qualitativo in più. Film di un fatalismo un po' programmatico, beffardo, Festival non è brutto ma rischia quindi di dire poco a chi si creasse particolari aspettative riguardo Boldi. Margaret Mazzantini interpreta l'ex compagna di Boldi; curiosamente il marito nella vita Sergio Castellitto viene citato come attore in un immaginario film della Mostra, a fianco di Nicole Kidman e Totò Cascio (il bambino di Nuovo cinema Paradiso, per chiarire).
Alessio Vacchi

The freak show. WATCHERS REBORN


Su dvd New Concorde (regione 1).

A dispetto dei discutibili risultati precedentemente ottenuti, nel 1998 la New Concorde di Roger Corman mette in cantiere un quarto e (al momento) ultimo adattamento del romanzo Watchers di Dean R. Koontz. Questa volta si gioca a carte scoperte ed il film viene presentato come un nuovo episodio, non un seguito dei precedenti, nonostante anche qui vi siano riferimenti diretti ad Alterazione genetica 2 e Watchers 4 sia uno degli aka del titolo. D’eccezione è invece il protagonista della vicenda: trattasi nientemeno che di Mark Hamill, il Luke Skywalker della prima trilogia di Guerre stellari, che dai credits risulta anche co-produttore della pellicola (misteri della vita). L’ex Jedi interpreta il detective Murphy, impegnato ad indagare su alcuni brutali omicidi attribuibili a nient’altro se non qualche bestia feroce. Nel corso delle indagini, il nostro incappa anche lui nel golden retrivier super-intelligente Einstein, sempre braccato dal mostro assassino AE-74 (il nome in codice viene direttamente dal secondo film), entrambi fuggiti dal laboratorio di ricerca in cui sono stati creati. Sulle loro tracce, oltre ad una scienziata (interpretata da Lisa Wilcox, la Alice di Nightmare 5: Il mito), vi è anche una task force governativa con il compito di mettere tutto a tacere.
Alla regia c’è John-Carl Buechler, principalmente un esperto di effetti speciali (con credits che includono i primi due Re-Animator, From Beyond, il quarto e sesto Nightmare eccetera) e “famoso” per aver diretto Venerdì 13 parte 7: Il sangue scorre di nuovo: Kane Hodder, il massiccio stuntman che in quel film (e nei successivi tre) interpretava Jason, ha qui una particina. Nonostante queste incoraggianti premesse, il film è di poco meno brutto dell’abominevole terzo episodio: la povertà di mezzi è evidente e Buechler gira con mano debole, confezionando un prodotto profondamente sciatto, con molte scene che paiono essere buttate assieme alla bell’emeglio, mentre la storia procede a stenti. Pure le periodiche iniezioni di splatter (questo episodio è il più sanguinario dei quattro) hanno un che di approssimativo. Ancora una volta si tenta di dare profondità al personaggio dell’Outsider, che alla fine riesce addirittura a redimere sé stesso salvando con il proprio sacrificio i protagonisti da un losco agente del governo. Curiose alcune scelte musicali, dai toni blues, che aiutano a conciliare il sonno dello spettatore. Inedito in Italia, questo capolavoro è disponibile in home video negli USA.
Emiliano Ranzani

La youtubata. ZAN ZAN LE BELLE RANE



Di già che si parla di Cipollino Boldi, mettiamoci la sua performance musicale probabilmente migliore. Insieme ad un gruppo d'eccezione, col quale formava "I Repellenti": Abatantuono, Porcaro, Di Francesco, Faletti. Gli altri fan finta di suonare e si agitano mentre lui canta questo famoso pezzo, consapevolmente scemo, abbastanza da farsi ricordare.
Alessio Vacchi

domenica 14 settembre 2008

Focus on. Chuck Norris: LA POLVERE DEGLI ANGELI


A Force of One. Usa 1979. Di Paul Aaron. Su dvd Cult Media (in 4:3).
Warning: il seguente pezzo contiene anticipazioni sulla trama e sul finale che possono compromettere la visione a chi non ha ancora visto il film.

Chuck Norris si era solo momentaneamente assentato da questo blog. Ma visto che qui si parla sovente di film non eccelsi (non è detto che sarà così per sempre, poi capita che siano più stimolanti dei capolavori), eccolo tornare.
C'è un traffico di droga e gli agenti che lo stanno scoprendo vengono eliminati rapidi con le arti marziali. Chi chiamare allora? Qualcuno che li sappia fronteggiare, ovvero l'atleta Matt Logan, cioè Chuck Norris. Che fa la sua entrata su un ring, mettendo ko, tra un calcio volante e l'altro, un avversario. Subito dopo, si vede un altro aspetto, un'altra applicazione della capacità nel karate del protagonista: lo insegna ai bambini. Un bravo Cristo, insomma. Che prima tentenna alla proposta di collaborare, poi rendendosi conto dei mali della droga accetta. E allena la squadra di agenti in una sequenza semiseria, tra le migliori del film, facendo capire loro come si può fronteggiare col corpo un nemico armato di pistola (momento teorico). Lo scontro con il nemico si fa attendere. Il primo che ci va di mezzo è il figlio adottivo nero, che scopre il tradimento di alcuni della squadra. Questo fa nascere uno dei momenti tristi del film, con Chuck che pare voler abbandonare tutto... ma il destino deciderà diversamente e i cattivi, specialmente “il” cattivo, verranno puniti come si deve.
Che dire: lo stile, la fotografia, l'andazzo sono i soliti, da prodotto “medio” che si vedrebbe bene mandato in onda da Italia 1. Con qualche eccezione: Chuck che tira i suoi pugnatoni al punchiball in montaggio alternato con immagini di droga -scatole, sacchetti, il braccio di una ragazza bucato- a suggerire una sua “presa di coscienza” del problema, e la parte finale, in cui Paul Aaron sembra ringalluzzirsi. Prima filma il degenerare dell'incontro sul ring di Chuck con uno dei nemici, e conseguente arrivo della polizia, rallentandolo e lasciando solo la musica, poi quando i due si scontrano, esagera (e suscita ilarità) inserendo un effetto di eco alle emissioni vocali dei due. Lo scontro è breve ma il modo in cui è reso e la cattiveria del nemico, che gioca sporco e viene per questo “punito”, dovrebbe soddisfare eventuali fans. E ancora cerca di caricare l'atteso abbraccio finale di Chuck con la bella agente, lasciandolo scorrere lento sui titoli di coda. Insomma, il film è quel che è e non entusiasma, ma qualche piccola freccia al suo arco ce l'ha.
Bravo Clu Gulagher nella parte del capitano di polizia, mentre Michael Norris, figlio di Chuck, fa qui il suo esordio nella piccola parte dello skateboarder biondo, e lavorerà altre volte col padre. Chi avesse intenzione di vederlo sappia che la locandina con le sue frasi “he hears the silence... he sees the darkness...” è un tantino fuorviante, anzi sembra fare da involontario spunto per qualche “Chuck Norris facts”. Come talvolta capita, l'edizione in dvd italiana si è dimenticata del titolo nostrano e mette quello originale.
Alessio Vacchi

The freak show. WATCHERS 3


Su dvd New Concorde (regione 1).

Roger Corman è come un pitbull: quando morde, non molla la presa, specie se c’è la possibilità di un seppur minimo guadagno e quindi, dopo i primi due miseri adattamenti del romanzo di Dean R. Koontz, il nostro ne sforna un terzo nell’anno di grazia 1994. Questa volta la storia non è direttamente vincolata al libro, ma piuttosto tenta di essere una sorta di seguito di Alterazione genetica 2, da cui ricicla diverse sequenze (tra cui l’inizio, copia-incollato con l’aggiunta di un inserto e di una battuta fuoricampo per farlo sembrare una scena ex-novo).
L’azione è concentrata nella giungla centroamericana, dove vengono paracadutati il cane-genio Einstein ed il mostruoso killer The Outsider, mentre nella zona infuria la guerriglia (un gruppo di filippini che sparano e scappano non si sa bene contro o da chi). Nel frattempo l’ex ufficiale dei Marines Paul Ferguson (ora interpretato dall’attore televisivo Wing Hauser) viene ripescato in una prigione militare e messo a capo di una squadra di galeotti in missione nello stesso posto. Come scopriranno con loro orrore, l’intera operazione è una trappola organizzata per testare le due creature. Nonostante altre influenze minori, la sceneggiatura, firmata da Michael Palmer (che l’anno successivo scriverà il secondo Carnosaur, altra serie low budget del vulcanico Corman), è un chiaro clone di Predator: oltre alla premessa iniziale (soldati nella giungla uccisi uno ad uno da un mostro), anche la scaletta degli eventi ricalca quella del film di McTiernan, incluso lo scontro finale a colpi di trappole.
Ad ogni nuovo capitolo, Corman stringe ancor di più i cordoni della borsa ed il regista Jeremy Stanford (che nel 2006 girerà il documentario Trantasia, su un concorso di bellezza per transessuali), già di suo probabilmente non un fenomeno, si ritrova a dover girare con una ristrettezza di mezzi da fame: esempi come la scena dei soldati in elicottero, con degli statici fondali blu chiaramente visibili attraverso i finestrini (che siano le vestigia di un effetto visivo irrealizzato?), o le sofisticate gabbie radiocomandate di cartone dovrebbero essere sufficienti. Il mostro è il più squallido di tutta la serie: una sorta di rospone di cartapesta con giganteschi occhi posticci. E questo nonostante debba essere lo stesso del film anteriore (di cui la confusa trama sembra ignorare la morte). Il fatto che anche questa volta si tenti di approfondirne la psiche, rende il tutto ancora più ridicolo. Dopo una prima decapitazione, pure la violenza scema per andare incontro ai limiti economici. Gli attori sono la tipica fauna che si incontra in produzioni di questo livello. Hauser di suo non è male, ha anche una bella voce, ma è decisamente fuori parte: gli manca il fisico ed è un po’ vecchio per fare l’emulo di Schwarzenegger, per quanto il suo personaggio sia improntato più alla riflessione. Irritante la presenza del bambino, nativo del posto, che lega con il cane ed accompagna Ferguson nell’ultimo duello con il feroce antagonista. Fortunatamente quest’ultimo, per la gioia di tutti noi, lo stenderà con una pizza degna del miglior Bud Spencer (pure l’effetto sonoro pare un riesumato da Banana Joe), prima di soccombere per mano dell’eroe.
Nonostante la bassissima fattura e le improbabili entrate, la serie è progredita ulteriormente con il successivo Watchers Reborn. Sia il terzo che il quarto capitolo sono inediti in Italia: nulla di cui rammaricarsi.
Emiliano Ranzani

Memorabilia. MILANO ODIA: LA POLIZIA NON PUO' SPARARE



A leggere adesso le parole di questo flano gira un pò la testa: sembra adattarsi bene ai giorni nostri nei quali il tema della sicurezza, variamente strumentalizzato, la fa da padrone. Possono le forze dell'ordine, nella persona del monolitico Henry Silva, intervenire efficacemente contro criminali come quello impersonato da un istrionico Tomas Milian? Andate al cinema e lo scoprirete. Trentaquattro anni dopo potete comprare il dvd Alan Young del film, sempre stando attenti ai malintenzionati.
Alessio Vacchi

domenica 7 settembre 2008

Incompresi. NON CHIAMARMI OMAR


Italia 1992.

«Staino si è lasciato prendere la mano dall'ottimismo e dall'autoincensamento, affermando che il suo film è "bello e divertente". In tutta franchezza, questo non è vero». Le spietate Segnalazioni Cinematografiche così commentavano, con la voglia di ristabilire la verità su questo film scritto, sulla base del suo libro Nudi e crudi, dal grande disegnatore Francesco Tullio Altan (quello di Cipputi e della Pimpa, per chiarezza), insieme a Sergio Staino, che dirige.
Il film si apre seguendo la camminata di un bacarozzo, accompagnata dalla folle Alfonso 2000 di Rocco Tanica e Claudio Bisio. Straniante, ma il cast che appare è da leccarsi i baffi: Gastone Moschin, Stefania Sandrelli, Ornella Muti, Gianni Cavina, Corinne Clery, Elena Sofia Ricci, Barbara D'Urso, Michele Mirabella, Antonello Fassari... Lo sviluppo del film fa godere un po' meno. Pellicola corale, Non chiamarmi Omar racconta di un dottore (Moschin) che dimentica una scottante valigetta lasciatagli sul taxi (guidato da Cavina, con a fianco la moglie Sandrelli) da un uomo mediorientale. Ospite di una trasmissione radiofonica in cui si dovrebbe parlare d'amore (condotta da Mirabella), il chirurgo si troverà a guidare in diretta l'operazione di un ferito messo sotto dal tassista, mentre: la moglie del ferito (Muti), con un figlio degenerato, reincontra il suo vecchio marito (Fassari) legato all'operazione; il delinquente straniero sta sulle tracce della Sandrelli -che ha la valigetta-... Ed il quadro non è completo.
Capisco che non sia allettante da leggere, ma non lo è neppure particolarmente da vedere. Se non altro nella parte centrale le scene coi vari personaggi si succedono rapide. Qua e là si può ridere, ma la storia rimane un po' astrusa, priva di sufficiente mordente e motivazione, mentre la regia non brilla: l'unica idea significativa è il taxi che, all'inizio, si muove (ma è palesemente fermo) completamente circondato dalla nebbia della città. Commedia grottesca e “rocambolesca”, ambientata in una città brutta e nebbiosa, con vaghezze di satira -il primario che traffica, naziskin che passeggiano per le strade, la D'Urso che minaccia di fare un casino e cita pure la P2-, il film non è indigesto, né di certo imperdibile.
Comunque il cast non ne esce male. Due le presenze più degne di nota: Mirabella conduttore, che sta collegato con un ospedale, scatena cortocircuiti col vero conduttore di Elisir, mentre Vinicio Capossela ha un ruoletto e porta al film alcune canzoni, tra cui quella finale. La Sandrelli è dolce, Corinne Clery sembra prendere il giro il suo essere (stata) sex symbol, Elena Sofia Ricci è bella coi capelli corti nella parte di un onorevole dalle risposte pungenti, mentre la Muti appare per gran parte più dimessa. Tra l'altro le donne ne escono “meglio” anche a livello di personaggi, perchè verso la fine del film si fanno strada solidarietà e furbizia femminili. Titoli di coda allegri in cui ogni personaggio si presenta al pubblico ammiccando in macchina, con in sovrimpressione un'appellativo per ciascuno. Uno di quei film italiani strani i quali stuzzicano la curiosità (almeno di chi scrive), ma che durante la visione ti fan chiedere quante fossero le speranze, da parte dei realizzatori, che il prodotto sarebbe stato apprezzato. Bisogna ammettere che il manifesto, disegnato da Altan, nella sua... semplicità autoriale sia meglio riuscito del film. E non inganni la nudità delle due figure femminili.
Alessio Vacchi

The freak show. ALTERAZIONE GENETICA 2


Watchers II. Usa 1990. Di Thierry Notz. Su dvd Artisan (regione 1, insieme a Watchers).

Ad un paio di anni di distanza dal primo adattamento targato Jon Hess, la New Concorde di Roger Corman decide di mettere in cantiere un secondo film trattato dal romanzo Watchers di Dean R. Koontz, spacciandolo per un sequel del film precedente, per quanto le due pellicole non abbiano alcun vincolo all’infuori della stessa fonte. Questa volta non c’è nessuno sbarbatello con il ciuffo ribelle di mezzo: il protagonista Paul Ferguson (che ha l’ossuto volto di Mark Singer, attore canadese famoso per la serie V – Visitors, con Robert “Freddy Krueger” Englund e, curiosamente, Michael Ironside) è un marine condannato alla corte marziale che, in mezzo al deserto californiano, incrocia sulla propria strada AE-73 (altrimenti conosciuto come Einstein), un golden retriever super-intelligente creato in provetta e fuggito da un laboratorio di ricerca. Ma come scoprirà suo malgrado, ad inseguire il cane, oltre a due scienziati, c’è anche il feroce AE-74 (L’Estraneo, per gli amici), un mostruoso essere creato per scopi bellici.
Il copione redatto dal duo John D. Brancato-Michael Ferris (già autori dell’horror cyberpunk Mindwarp e nel 2003 dell’inutile & discutibile Terminator 3: Rise of the Machines) si avvicina di più spiritualmente alla storia originale di quanto non facesse il film precedente, riproponendone alcuni eventi ed idee: su tutti, questa volta si accenna (vagamente) alla natura torturata del mostro, sorta di moderna versione della creatura di Frankenstein. Peccato che la realizzazione non sia all’altezza ed il risultato finale risulti ancora più discutibile del già mediocre film di Hess, per quanto non sia chiaro se le cause siano da attribuirsi al regista o alla scalcinata produzione: Notz infatti ogni tanto ci prova a creare tensione, nonosante si bruci molte occasioni mostrando troppo presto la creatura (in una scena che omaggia palesemente il racconto L’estraneo di H.P. Lovecraft), il cui aspetto eccessivamente gommoso è tutto fuorché terrificante. Ancora peggio del look del mostro è la sua performance: lo stuntman che lo interpreta (tal Tom Poster) si muove come un ritardato afflitto da artrosi. Si vocifera che la tuta dell’Outsider fosse stata riciclata, con un paio di superficiali modifiche, dal precedente film del regista, The Terror Within (un clone di Aliens dalle venature post-atomiche): dopo una fugace visione, confermo l’eccessiva somiglianza tra le due bestie.
Alla luce di ciò, non stupisce quindi che, per il resto, gli effetti speciali (di Kevin Kutchaver e Greg Landerer: il primo si muoverà poi verso film come Hellboy, il secondo invece resterà alla corte di Corman) siano praticamente inesistenti: l’inquadratura più gore è quella della testa mozzata di una vittima gettata dentro un water, anche se l’immagine è talmente rapida che non permette di valutarne la fattura (e potrebbe benissimo trattarsi di un altro riciclaggio). Oltre a Singer, il poco brillante cast annovera anche la televisiva Tracy Scoggins e Irene Miracle (che in Inferno di Dario Argento interpretava Rose). Curiosamente, in Italia la VHS (etichetta Cecchi Gori) è sempre stata disponibile per il solo noleggio e sul retro mostrava scene inesistenti nel film.
Emiliano Ranzani