domenica 31 agosto 2008

Tra pagina e schermo. I RAGAZZI DEL MASSACRO


Italia 1969. Su dvd Raro.

Fernando Di Leo ha messo in chiaro che la sua trasposizione del romanzo di Scerbanenco I ragazzi del massacro andava considerata “altro” dal libro; insomma ne aveva sfruttato lo spunto riadattandolo alle proprie esigenze creative, pur mantenendosi fedele all’assunto di base. In effetti, sebbene il plot sia il medesimo (l’indagine poliziesca sullo stupro e l’assassinio di una maestrina da parte dei suoi allievi in una scuola serale per giovani disadattati) le differenze sono palesi. Identici il taglio realistico, l’atmosfera torbida con cui l’autore scava nei meandri di una Milano corrotta e degradata in cerca della verità; medesima idea che ad istigare i giovani delinquenti sia stato un adulto, un “cattivo maestro”. Ma il personaggio di Duca Lamberti, il detective della situazione, viene drasticamente modificato. Svaniscono il suo passato di medico, la sua nuova identità di Maigret “prestato” alle forze dell’ordine; al suo posto abbiamo un poliziotto cinico e disilluso, i cui metodi brutali nascono non tanto dall’esigenza di estirpare scientificamente il male e metterne al nudo i punti deboli (retaggio dei trascorsi clinici del protagonista letterario) quanto dall’amarezza di chi ormai dispera di poter combattere il crimine coi metodi tradizionali previsti dalla legge. In tal senso il Duca Lamberti interpretato da Capponi anticipa la stagione dei commissari di ferro che popoleranno il cinemsa poliziesco italiano degli anni 70 grazie ad interpreti come Enrico Maria Salerno, Franco Nero, Maurizio Merli, Luc Merenda.
Anche più drastiche le modifiche al personaggio di Livia Ussaro, che da amante e collaboratrice di Duca si trasforma in assistente sociale apparentemente ingenua ma estremamente determinata (viene mantenuta l’idea di una love story col protagonista, che sulla carta l’aveva conosciuta nella sua prima indagine letteraria,
Venere privata). Perfino il movente del delitto cambia: nel romanzo a guidare la furia sadica dei ragazzi era il parente di uno di loro, spinto dal desiderio di vendetta; nel film c’è sotto una sordida storia di abusi sessuali e pederastia. Ed è nella chiusa filmica che individuiamo la profonda differenza, la più importante, fra romanzo e trasposizione cinematografica. Se infatti Duca nel libro si rivelava meno spietato delle apparenze, aprendo il proprio cuore alla comprensione e confessando a Livia di provare una certa pietà per gli autori del massacro, così non avviene per il Duca cinematografico. Le sue parole sono gravate da un senso di sconfitta e sfiducia nelle istituzioni: ormai i giovani assassini sono segnati da ciò che hanno fatto, difficilmente potranno essere riabilitati. E l’adulto che li ha manipolati e corrotti usufruirà di tutte le attenuanti e scappatoie garantite dal sistema giudiziario, pronto a tornare in libertà e riprendere le proprie nefande attività. Finale più nero del nero, dunque; anticipatore della futura piega noir che prenderanno le opere che hanno reso grande il cinema poliziesco di Fernando Di Leo.
Corrado Artale

The freak show. ALTERAZIONE GENETICA



BOOOM! Dopo un paio di secondi dalla dissolvenza in chiaro, un caseggiato (che scopriremo essere un laboratorio di genetica – come sempre, le locations sono quello che passa il convento) esplode in una bolla di fuoco e macerie. Poco lontano dal rogo, un cane da caccia, un golden retriver dal manto rossiccio, fugge nel bosco. E dalle fiamme, l’ombra di una bestia rabbiosa si lancia al suo inseguimento.
Alterazione genetica (Watchers in patria) di Jon Hess, già responsabile di Alligator 2: The Mutation, ha un inizio notevole, anche grazie all’efficiente musica di Joel Goldsmith (figlio del leggendario Jerry: buon sangue non mente). La curva di godimento continua a salire subito dopo, quando una lampadina illumina il volto del grande Michael Ironside (immenso caratterista canadese specializzato in ruoli da cattivo: uno su tutti, il Richter di Atto di forza), qui nei panni di Lem Johnson, agente della NSA a cui viene affidato l’incarico di recuperare il cane ed il mostro che gli da la caccia. Le due creature, legate telepaticamente, sono infatti il frutto del classico esperimento genetico a scopo militare: il retriver è dotato di intelligenza quasi umana, mentre la bestia (qui chiamata Oxcom, ma conosciuta come “The Outsider”, L’Estraneo, nel romanzo di Dean R. Koontz da cui il film è tratto) è un feroce mutante progettato per uccidere. Dopo questa buona premessa, il film perde decisamente di tono a cominciare dal momento in cui viene presentato il protagonista, Travis Cornell, interpretato dallo sbarbatello Corey Haim, idolo dei/ delle teenager (assieme all’omonimo socio Feldman) nel decennio yuppie per pellicole come Ragazzi Perduti. Lo sventurato adolescente, dopo essere andato in bianco con la fidanzata (Lala Sloatman, nipote nientemeno che del compositore Frank Zappa – sì, quello di Tengo una minchia tanta), si ritrova sul proprio furgoncino il cane e decide di portarselo a casa, attirando su di sé i federali e la sanguinaria furia del mostro. Da qui in poi Watchers diviene una favoletta su un ragazzino ed il suo amico cane super-intelligente, radendo al suolo i toni maturi del testo originale (di suo non eccezionale, ma spesso efficace), evidentemente per essere fruibile per i minorenni fan del divetto. La storia è ridotta all’osso e la realizzazione da film per la tv (con le tipiche locations canadesi) ne riduce ulteriormente il respiro. Ciononostante, non è proprio tutto da buttare via: Hess non sarà John Carpenter ma non è nemmeno un decerebrato e tenta, nei ristretti limiti, di creare una suspense elementare, mostrando pochissimo il mostro (di per sé neanche mal realizzato) ed abbondando, al limite dell’abuso, con le soggettive. Nonostante i diversi omicidi siano spesso risolti in maniera eccessivamente innocua, ogni tanto il film si risveglia dal suo torpore e timidamente mostra qualche sano schizzo di sangue e, soprattutto, un paio di bulbi oculari deorbitati – il mostro è infatti ossessionato dall’idea di strappare gli occhi alle sue vittime. Ma a dispetto di questi occasionali picchi, la pellicola resta adagiata su un piano di intensa mediocrità.
Tra le vittime figura anche un ancora imberbe Jason Priestley, in seguito divenuto famoso per la serie televisiva Beverly Hills 90210. A dispetto dello scarso successo, la New Concorde di Roger Corman (supremo bucaniere della celluloide: nessuno sa spremere sangue dalle rape come lui) ha prodotto negli anni ben altri tre film basati sullo stesso romanzo, spacciati come seguiti ma in realtà piuttosto svincolati tra loro (benché Watchers 3 e 4 tentino di allacciarsi al secondo episodio), di cui solo il primo giunse in Italia, unicamente per il circuito dei noleggi con l’ovvio titolo di Alterazione Genetica 2. E, nonostante i suoi molti difetti, questo capitolo iniziale resta il migliore della serie.
Emiliano Ranzani

domenica 3 agosto 2008

Comunicazioni di servizio. FERIE


Con questo aggiornamento Ultimo spettacolo va in ferie. Torna il 31 agosto, più pimpante ed interessante che mai. Ci si scusa per qualche promessa non mantenuta, ad esempio la questione di Cannes, ma è colpa di qualche collaboratore, che è stato severamente punito (con la visione ripetuta dei film con Gigi D'Alessio). Mantenetevi svegli e non scordatevi di questo blog.
Alessio Vacchi

The book runner. THE GOLDEN AGE OF ADVERTISING-THE 70s


€ 9.99.

Chi bazzica le librerie dovrebbe averla notata, comunque: la Taschen (http://www.taschen.com) è una casa editrice di libri illustrati, il cui focus spazia dall'arte alla cultura pop, ecc. Siccome nella società delle immagini è cosa buona e giusta cercare di conoscerle (anche per difendersene, all'occorrenza), tantopiù quelle pubblicitarie costruite per convincere, ne consegue che la sua attività merita attenzione.
Il volume in esame fa parte di una serie sulla pubblicità cartacea americana -e riguardo gli anni 70 ce n'è una versione più ampia-. Dopo una introduzione in diverse lingue (non nella nostra) che cerca di spiegare stili e tendenze del periodo, pregi, difetti e motivi di una creatività sostanzialmente minore rispetto al decennio precedente, le centinaia di pubblicità selezionate sono divise in sezioni, a seconda dei prodotti/servizi. Ci sono anche annunci di cinema (manifesti, premiere) e musicali. Qua e là le immagini vengono “sparate” a riempire un'intera pagina, escludendo marchi, slogan e bodycopies, anche mostrando la grana. I bodycopies sono i testi in cui si espongono qualità, valori ecc. del prodotto: qui le aziende se la cantano e se la suonano, con più o meno ironia. Non mancano qualche guest star (Farrah Fawcett, Vincent Price, John Wayne...Muhammad Ali!) e qualche nudo strategico, mentre, come viene detto, gli afroamericani si prendono il loro spazio. Alcuni annunci rompono la “routine” facendo strabuzzare gli occhi: ad esempio la bambola Gay Bob o uno zio Sam che pubblicizza bonghe (patriottiche).
Il limite può essere che solo parte delle pubblicità proposte sono “belle”, nel senso di originali, creative, pregevoli come disegno o composizione. Ed alcune sezioni, ad esempio quelle sull'arredamento e sulle automobili, possono risultare per questo meno interessanti. Ma probabilmente non si poteva cavar sangue dalle rape e non era nelle intenzioni. Per questo motivo, il volume va oltre una carrellata sullo stile pubblicitario di un'epoca ed una nazione e diventa un'immersione nello stile, nel modo di vivere (vero o presunto) di queste: chi si occupa di design, di grafica, di moda anche, dovrebbe divertirsi sfogliandolo, maggiormente rispetto a chi si aspetta un libro di “arte” in senso più stretto ed attenda di restare ammirato, oppure ispirato creativamente, ad ogni pagina. Letto, anzi guardato con lo spirito giusto, il volume è pregevole, ha un costo abbordabile ed invoglia a procurarsi gli altri.

Alessio Vacchi

Comunicazioni di servizio. UN'ESTATE AL CINE


Ogni estate, siccome tocca passarla almeno in parte in città, al sottoscritto viene in mente di fare delle regolari capate al cinema ad assaporare le proposte di (fine) stagione. Compresi magari i cosiddetti “scarti”, data l'attrazione per le cose di basso livello; anche se qualche anno fa l'impressione è che uscisse più roba allo sbaraglio di oggi, mentre ormai si tenta, almeno fino a fine luglio, di far uscire dei blockbuster. Poi, regolarmente, il caldo che fiacca e la voglia di non sprecare soldi fanno rientrare le intenzioni. Ma non è solo questo.
Esce E venne il giorno di Shyamalan. Beh, col regista indiano un paio d'ore di suspance sono assicurate, per utilizzare una formuletta da promozione. Aspetto una settimana, poi due, pian piano esce di programmazione e me lo perdo. Mea culpa. Esce Rogue-Il solitario, cioè War. Sì, non se ne dice bene, ma può essere un filmetto d'azione vedibile, poi c'è Jet Li... E' solo in una sala, scomoda. Culpa meno mea. Le morti di Ian Stone”: sì, Dario Piana aveva diretto Sotto il vestito niente II, ma sono passati vent'anni e il soggetto è simpatico. Però, storia simile quanto a sale. Esce Dante 01: finalmente un'uscita estiva interessante, vediamo dove lo danno... addirittura fuori città. Culpa ancora meno mea. Esce P2 prodotto da Alexandre Aja, da noi intitolato -2 Livello del terrore per evitare ritorsioni o interrogazioni parlamentari; è in una sala sensata. Ma una volta giunto lì, l'incredibile cartello: “proiezioni sospese per problemi tecnici”, e lo saranno fino alla chiusura per ferie. Solo in una sala, proprio quella, sulle tre del locale. Succede di peggio nella vita, certo: però i film che non mi interessano, quelli sono in decine di sale.
Il nuovo Batman di Nolan, che temo perchè il doppiaggio pare rivoltante già dai trailers in radio e perchè il precedente era soporifero, quello si trova. D'altronde le sproporzioni immani nel numero di copie in cui sono distribuiti i film ci sono tutto l'anno, perchè dovrebbero interrompersi d'estate, quando si rischia di più perchè di biglietti se ne staccano meno? Vabbè. L'estate al cinema me la farò con visioni casalinghe. In sala ci tornerò da fine agosto... e chissà come andrà l'estate prossima.
Alessio Vacchi

La youtubata. EHI GINO


Mai dire tv è uno scrigno di perle di televisione trash che può offrire per questa rubrica gli spunti più svariati. Dal western amatoriale Quattro carogne a Malopasso, al grandissimo Mago Gabriel, all'opinionista Michele Giordano. Tantovale scegliere qualcosa che forse si ricorda meno, come le tre esibizioni canore di questo giovanissimo artista sovrappeso: due esecuzioni di Ehi Gino, una in studio e l'altra in un'aula scolastica, più una cover di Fiki fiki di Gianni Drudi, cantata con sprezzo di ridicolo ed età sempre nell'aula, stavolta vuota. Lui si agita e sembra crederci; sicuramente, una volta visto, è difficile dimenticarlo. E il commento sul sito che suggerisce di fermare il video a 0.29 non dice una scemenza: provare per credere.
Alessio Vacchi