domenica 31 maggio 2009

Focus on. Chuck Norris: IL CODICE DEL SILENZIO


Usa 1985. Su dvd Mgm.
Warning: il seguente pezzo contiene anticipazioni sulla trama e sul finale che possono compromettere la visione a chi non conosce il film ed intende vederlo.

Chuck entra in scena su un camion della nettezza urbana. Lo vediamo maneggiare monnezza, ma è un bluff: insieme ad altri stan tendendo una trappola per beccare dei narcotrafficanti. Ma gente di un'altra banda si intromette, sterminando la marmaglia. Questo dà il via alla vendetta da parte del capo del clan danneggiato, impersonato dal "mitico" Henry Silva. Il sergente Chuck, in compagnia di un collega più giovane, si ritrova a correre qua e là per tamponare la faida. C'è quindi anche una componente di buddy-movie, ma il punto è che il giovane è tormentato dall'aver deposto falsa testimonianza, per cameratismo, a un collega che ha ucciso un disarmato. Questo dilemmino morale si riflette anche sul sergente, che non difende l'omicida e si ritroverà per questo isolato.
C'è di mezzo anche una ragazza, la figlia di un malavitoso, che si ritrova ovviamente braccata. Chuck dovrà difenderla e nasconderla, ma il rapporto tra i due rimane di protezione, senza love story. Quando lei viene presa, lui inizia ad arrabbiarsi duro. La prima volta gli va male, nell'affrontare la ghenga, poi ritenta, più bardato, e sarà più fortunato. Notevole il modo in cui lui la aggancia: ad una mostra d'arte. "Lei lo capisce?", le chiede il pragmatico Chuck riguardo un quadro non proprio figurativo. Ma il film, rispetto ad altri dell'attore e nonostante gli accadimenti violenti, è un poco più venato di ironia: si vedano le continue proposte che un collega fa a Chuck riguardo improbabili progetti insieme (aprire negozi, vendere hot dog), o la sequenza estemporanea dei due stupidi che cercano di fare una rapina nel locale zeppo di poliziotti. Anche nel finale di fuoco, con Chuck che si presenta al covo dei balordi e ci dà dentro con fucile e bazookino, sembra esserci una qualche consapevolezza umoristica nell'affiancare all'agente il robottino Prowler; durante la sua dimostrazione, lui si era mostrato scettico su questo "poliziotto perfetto", ma alla fine accetta l'aiuto della tecnologia, di questo marchingegno sparatutto. E' memorabile in questa sequenza l'espressione basita di Silva di fronte alle prodezze di Chuck, e quando innervosito lo chiama "sergente del cazzo" (almeno nell'edizione italiana). Il codice del silenzio è passabile per via del buon ritmo e di questa velatura di humour. Il regista Andrew Davis, che firma questo film dopo uno slasher, proseguirà soprattutto con cinema d'azione, lavorando con Seagal e dirigendo il noto Il fuggitivo con Harrison Ford.
Alessio Vacchi


domenica 24 maggio 2009

La youtubata. MAI PIU'


Un tocco di memoria storica male non fa. Anche se non può impedire nulla in Italia.
A.V.

domenica 17 maggio 2009

Focus on. Chuck Norris: INVASION USA


Su dvd Stormovie.

Un cargo di esuli cubani al largo delle coste USA viene trucidato da falsi ufficiali della marina americana sotto il comando del cattivissimo Mikhail Rostov (un russo: siamo nel 1985, baby), a cui interessa impadronirsi della cocaina nascosta a bordo della nave. Il perfido villain dalla candida criniera, a cui piace un sacco infilare la pistola nei pantaloni dei nemici per poi sparargli nei maroni, usa perciò la droga per comprare un enorme arsenale destinato al suo esercito di mercenari. L’obbiettivo è quello di distruggere gli Stati Uniti dall’interno, con azioni di guerriglia e sfruttandone le tensioni razziali. Rostov ha però un conto in sospeso con il supersoldato a stelle e strisce Matt Hunter (l’Onnipotente Chuck Norris, che lo perseguita persino negli incubi) e decide di eliminarlo per evitare che interferisca nei suoi piani, nonostante il poveraccio si faccia suoi nelle paludi della Florida, catturando alligatori con l'unica compagnia di un armadillo e di un amico goloso di rospi (!). Ma, nel cercare di ucciderlo a colpi di lanciagranate e mitra, i cattivi fanno un tremendo errore: lo mancano. E come diceva la frase di lancio del contemporaneo Commando: "da qualche parte…in qualche modo…qualcuno pagherà"!
Prodotto dalla Cannon di Golan e Globus e diretto dal solido mestierante Joseph Zito (suoi gli slashers The Prowler, Rosemary’s Killer ed il quarto Venerdi 13), Invasion USA è la quintessenza dell’action movie anni ’80, talmente assurdo da sembrare una parodia degna del McBain di simpsoniana memoria. I vaghi presupposti “politici” della storia vengono velocemente buttati fuori dalla finestra per potersi concentrare sull’azione, in un’esaltazione dell’americanismo che è al contempo spassosa e ripugnante. La vicenda presenta infatti una serie di sequenze propagandistiche da pura antologia, roba che andrebbe studiata nei corsi di storia moderna assieme ai filmati di repertorio su MacCarthy e l’originale L’invasione degli ultracorpi: ad un tratto, Rostov ed uno scagnozzo si ritrovano nel tipico quartiere residenziale americano, tutto vialetti, giardini e villette. Una famiglia sta addobbando in giardino il loro albero di natale: disgustato, il sovietico esclama “Ho sempre odiato questi simboli borghesi!”, quindi imbraccia un bazooka e fa fuoco contro il tannebaun, colpendo anche la bambina che stava cercando di mettervi una stella in cima. Fantastico. L'Invincible Norris fa sfoggio del suo talento sfoggiando una gamma di espressioni che vanno dal “col pistola” a “senza pistola” - dimostrando di essere letale in entrambe le modalità.
Emiliano Ranzani

The freak show. THE ABOMINATION



La trama in due parole: uno strambo ragazzotto americano ammazza e smembra la gente per sfamare una sorta di gigantesco e zannuto cancro alieno che gli infesta la casa. "Figo!", direte voi, non è così? Concordo, anche se sono costretto a farvi presente che The Abomination è una pellicola più che indipendente, girata nel casalingo Super8 in anno domini 1986. Autore dell’opera è Bret McCormick, produttore di un altro infausto horror no-budget dal programmatico titolo di Ozone! Attack of the redneck mutants (non confondetelo con Ozone di J.R. Bookwalter) ad opera di Matt Devler.
Se siete già tra i fedelissimi di questa rubrica, a questo punto potreste anche esclamare "Capito, è un'altra scoria home-video del decennio di MC Hammer e The Alvin Show. Reapse, sic est, ma è d’obbligo aggiungere che, in un modo un po’ contorto e malsano se volete, The Abomination è anche dannatamente amabile come un cagnolino storpio: ha tutto il fascino dell’opera indie dai contorni rozzi, realizzata con pochissimi soldi ed una manciata di idee (impossibile dire “tante"), che avrebbe potuto essere molto di più se chi di dovere avesse avuto più grana in tasca. Uno stupendo esemplare di guilty pleasure allo stato brado. Forse sono solo io che sono malato, ma andiamo: come non si può non innamorarsi (per pietà, ovvio, eppure quanti matrimoni sono nati così?) di un film che si apre con un montaggio delle proprie scene più splatter, finale compreso, come in un’edizione Bignami di sé stesso?
Gli effetti speciali non sono nemmeno tutto questo granché (la famelica entità è una gigantesca marionettona di gommapiuma rossa, il sangue fatto con lo sciroppo e via discorrendo), ma concorrono a rendere questo abominio (beh, è questo il titolo, no?) ancora più simpatico. Apprezzare The Abomination equivale ad applicare la famosa regola “so bad is so good”. Provateci ogni tanto, per sperimentare qualcosa di nuovo. Peccato per il ritmo scialbo, la regia spenta e la realizzazione fallace.
Avviso agli interessati: in Italia il film è inedito e pure nei natii Stati Uniti la VHS è un tesoro raro. Chi scrive ha sentito di oscure edizioni francesi e\o tedesche, ma qui lo dico e qui lo nego. Quanto a me, sarebbe meglio iniziare la cura disintossicante.
Emiliano Ranzani

domenica 10 maggio 2009

Io c'ero. Festival ed eventi vari. DA SODOMA A HOLLYWOOD 24, Torino, 23-30/4/2009. MACISTE ALL'INFERNO


Italia 1962. Di Riccardo Freda.

Cinema di genere italiano al festival: se due anni fa era stata proposta una selezione di western, quest'anno è toccato al peplum, che molto semplicemente si presta, dato che mette in scena aitanti maschi poco vestiti. Di questo film di Freda, quel che si ricorda solitamente è la trovata, pienamente da ingegno applicato alla serie B, della visualizzazione-riassunto che permette il riciclo di alcune sequenze di precedenti Macisti con lo stesso protagonista e nel contempo di aumentare un pò il metraggio. Vittima di macchinazioni, l'eroe ha perso di vista il suo obiettivo, la sua strada: assiste e assistiamo allora ad una proiezione, sull'acqua di una pozza, di eroiche imprese di Maciste-Kirk Morris-Adriano Bellini. Ma non è l'unico disinvolto azzardo del film: già la concezione di un Maciste che va in un luogo altro, addirittura l'inferno, è singolare, sebbene non nuova (esiste un Maciste all'inferno muto). D'altronde, lui stesso dice che sente di dover andare dove ci sono torti, per far vincere il bene, e quale luogo migliore allora... Così come folgorante è l'entrata in scena del personaggio: nudo, a cavallo, pare un corpo estraneo irrompente in un altro contesto, in un altro genere, quasi con impudenza. Altro genere perchè fin lì il film è un horror gotico eseguito con una professionalità diligente quasi stucchevole, con un'eroina smancerosa e disperata come protagonista e un bell'uomo tutto d'un pezzo che la ama.
Fortuna che al delirio di giustizia sommaria della folla si oppone la forza concreta e "giusta" di Maciste, che salva la donna dal linciaggio. La sventurata è scambiata per una strega, che in effetti proprio con lei ce l'ha e macchina per portarla al rogo. Ma Maciste decide di recarsi a fare una visitina giù, per mettere le cose a posto con le forze del male.
L'ingresso agli inferi è posto, comodamente per l'eroe, sotto un albero maledetto. A Maciste si para innanzi una visione d'insieme delle anime dannate, che si struggono. Il film pesca nella letteratura per mostrare alcune amenità del posto: c'è un vecchio condannato a sospingere un masso (prontamente aiutato dall'eroe a compiere, finalmente, l'atto), uno sventurato a cui un uccello mangia il fegato. L'eroe, che parla poco, deve affrontare una sorta di percorso a ostacoli, commentato dalla vecchia strega e dal suo signore, che gufano. E' cinema popolare, ingenuo ma al contempo non stupido, consapevole e con qualche idea, magari vietato a chi è cresciuto a pane ed effetti in CG, visto che qui la spettacolarità è un'altra: ma anche le lotte che Maciste sostiene con gli animali, un pò veri un pò finti (leone, uccello, mucche), funzionano nel cercare di tenere la tensione e fare avvertire lo sforzo del protagonista.
Maciste agli inferi incontra persino l'amore, ma è un bluff perchè si trattava della strega in sembianze di bellissima donna. L'amore spetta semmai, restituito, alla coppia: sconfitta la strega, scongiurata la condanna a morte dell'eroina, l'eroe, che non è chiaro da dove sia arrivato, se ne va verso nuove avventure, come sempre e come sarà anche, di lì a pochi anni, per i protagonisti dello spaghetti western.
Alessio Vacchi

Io c'ero. Festival ed eventi vari. DA SODOMA A HOLLYWOOD 24. UK 1979/2009-FROM ASHES TO ASHES TO THE COMMON PEOPLE GENERATION



Merita di essere notata la considerazione del GLBT Filmfestival verso la musica pop. Oltre alle esposizioni di dischi nel locale (quest'anno quelli di Judy Garland), le proiezioni in tema sono quantomeno interessanti. Come questa selezione di music videos di brani di provenienza inglese, "dove si sono preferiti quei videoclip che hanno maggiormente influenzato la (contro) cultura giovanile dei giorni nostri". Consideriamone alcuni dei venti proposti.
Si comincia con dei classici di David Bowie: Life on Mars è piena preistoria del videoclip, affidato semplicemente a lui in scena circondato dal bianco, mitigato dai suoi colori -il vestito e il contorno occhi azzurro, la chioma rossa-; Heroes, quattro anni dopo, è la stessa storia un pò peggio, con l'artista in scena, illuminato, al centro senza neppure un look che incuriosisca. In Ashes to ashes Bowie è invece conciato da Pierrot in riva al mare, con colori possibili solo all'epoca (1980): malinconicamente weird. Con Fade to grey dei Visage è ancora avvertibile che siamo ai primi veri passi del videoclip, con lo sfondo nero, la posizione centrale dei soggetti, le inquadrature fisse, compensati dalla messinscena di visi e corpi modificati dal trucco. Love will tear us apart mostra i Joy Division che suonano, coi colori che a volte se ne vanno in acido. Gli Smiths di This charming man cantano al chiuso ma su un tappeto di fiori, mentre per There is a light that never goes out Derek Jarman sovrappone alle immagini di un ragazzo dormiente quelle di due che si baciano, di fiamme, di visioni urbane. Con un salto temporale di nove anni si passa ad uno dei video più belli e vitali della selezione: il colorato Common people dei Pulp diverte con Jarvis Cocker rimpicciolito portato a spasso su un carrello, con gli improbabili movimenti in loop, di ballo (qualche anno prima dei Rem di Imitation of life) e di vita quotidiana (ricordando i Residents di The gingerbread man). Waking up degli Elastica, più semplice, è comunque degno di nota per le inquietanti presenze nude sedute mentre la band si esibisce, e per la regia che si muove zoomando sui volti o vicino ad essi, e poi correggendosi. Bella la trovata dei Blur che in Charmless man rovinano la vita del protagonista trovandoglisi continuamente di fronte a suonare, in qualunque posto. Serio e malinconico So young dei Suede, che a parte il gruppo in bianco e nero ed in pose varie, con le sue immagini di viaggio e di un falò trasmette l'idea di un'addio all'infanzia. Michael per i Franz Ferdinand, dalla fotografia fredda, è claustrofobico nello stipare spazio e inquadrature con le presenze umane in scena, la band e la gente che balla, ancora, in loop, fino a che il gruppo non subisce delle curiose "mutazioni" genetiche. Più narrativo e dotato di un intro L.S.F. per i Kasabian, che si esibiscono in un carcere femminile in cui sta nascendo una rivolta, di cui è oggetto utile l'armonica del cantante. Musica-ribellione-inversione di ruoli, anche se il pezzo dei Kasabian non è certo sovversivo. Everyday I love you less and less per i Kaiser Chief è diretto da Tim Pope, che negli anni Novanta ha diretto alcuni film ma è poi tornato a girare videoclip. Giocato sul mondo visivo parallelo dei raggi X, col gruppo scheletrito. These grey days, Eight Legs, in un bianco e nero povero, è tenero nel giocare sull'inversione di gravità, col povero cantante che apre confezioni che gli si svuotano in faccia e si vede piovere addosso dal basso.
La selezione di video si incarta un pò in quest'ultima parte, con una serie di brani recentissimi e tritati dall'airplay radiofonico e la cui influenza sulla cultura giovanile è decisamente da dimostrare. E' pur vero che anche questi, ascoltati con l'audio di una sala cinematografica, acquistano più sapore: come Daddy's gone dei Glasvegas, Lucy the castle dei Twisted Wheel che nel seguire un pezzo veloce sta vicino a volti, strumenti, gente che balla e svolge il suo dovere, The last of the English roses di Pete Doherty che è bruttino ma propone un coraggioso bacio gay alla fine. Il pubblico applaude spesso ed effettivamente ci si diverte.
Alessio Vacchi