domenica 26 settembre 2010

Focus on. Chuck Norris: THE CUTTER


Usa 2005. Su dvd Mondo.

Una cospirazione che coinvolge diamanti rubati, un rapimento, un investigatore privato e un implacabile assassino. Con questi elementi Chuck Norris torna al cinema action puro, lontano dalla mielosità dei film per famiglie, pronto a fare ciò per cui è nato: regalare ai suoi fans sequenze adrenaliniche e brutali combattimenti. La pellicola mette in scena l’indagine del detective John Shepherd, un loser disilluso dalla vita, che viene coinvolto in un complesso intrigo internazionale e si troverà costretto a ricorrere alla sua esperienza e alle abilità di esperto combattente per salvare delle vite innocenti. The Cutter è un’opera dignitosa, un b-movie teso e denso di azione, che riesce a esaltare le qualità di Norris, che nonostante i 65 anni è ancora credibile quando si tratta di effettuare coreografie marziali elaborate. Il ruolo del detective consumato dal peso degli anni e dai rimorsi gli calza perfettamente e l’attore riesce persino a dare una discreta caratterizzazione al personaggio. La sua entrata in scena è in pieno “Chuck style”, con la decimazione di uno stuolo di nemici che diventano semplice carne da macello. Tra le sequenze migliori sono da segnalare un combattimento all’interno di un bus in corsa, un inseguimento nei sobborghi di Washington, un paio di sparatorie dalla notevole potenza di fuoco e la resa dei conti finale, in cui il protagonista fronteggia il malvagio killer artefice della cospirazione.
Il ritmo è abbastanza elevato fin dalla prima scena, grazie alla regia funzionale di William Tannen, veterano del cinema action (Flashpoint con Kris Kristofferson, Hero and the Terror sempre con Norris). La sceneggiatura risulta però a tratti confusa e sconclusionata, peccando di eccessiva complessità e il montaggio abusa di alcuni espedienti come le immagini accelerate, togliendo realismo ai combattimenti. La produzione è targata Nu Image, che negli ultimi anni ha finanziato i film con Van Damme, Lundgren e Seagal e assicura una confezione di medio livello, consona agli standard dei direct to video. Uno dei punti di interesse della pellicola è il cast che comprende, oltre a Norris, alcune vecchie glorie del cinema di genere. Daniel Bernhardt, che qui riveste i multiformi panni (è un esperto di travestimenti) dello spietato sicario Dirk, è stato il protagonista dei numerosi seguiti di Senza esclusione di colpi e anche in The Cutter dà prova di indiscusse abilità nelle arti marziali, regalandoci uno scontro con Chuck Norris crudo, realistico e ben coreografato. Fa inoltre piacere rivedere, sebbene in un ruolo marginale, Joanna Pacula, protagonista di decine di film di genere tra gli anni ’80 e ’90, tra cui Giustizia a tutti i costi, Tombstone, Il silenzio dei prosciutti del nostro Ezio Greggio e Body Puzzle di Bava jr. Completano il cast Bernie Koppel (il Doc di Love Boat) e Tracy Scoggins (Babylon 5), volti noti agli appassionati di serie tv. In un ruolo cameo compare anche Aaron Norris.
Nel complesso The Cutter è un discreto prodotto di intrattenimento, con la giusta dose di azione e che permette a Norris di tornare un’ultima volta a sferrare calci e menare le mani, con il suo stile agile e veloce, dal forte impatto coreografico. Ad oggi questo film chiude la gloriosa carriera della star, ultimo assolo di un attore che ormai è diventato icona e mito della moderna pop culture. Ma non è mai detta l’ultima parola. Forse la parola fine non è ancora stata del tutto scritta e prima o poi il vecchio leone del Texas tornerà a ruggire.
Edoardo Favaron

Focus on. Chuck Norris: BELLS OF INNOCENCE


Su dvd Good Times Video (regione 1).

Ceres, Texas, 1932. Due nativi americani vestiti con abiti tipici degni di una festa di carnevale dell’oratorio (e con parrucche visibilmente finte) siedono attorno a un fuoco. D’un tratto giunge un uomo vestito da boscaiolo del nuovo millennio (jeans, polo e camicia!), terrorizzato e sull’orlo della follia. In lontananza una decina di fiaccole e di loschi individui incappucciati si avvicinano “minacciosi”. Gli indiani scappano ma non troveranno salvezza. Il male si è ormai impadronito del villaggio. Per sempre. La narrazione si sposta poi ai giorni nostri, in una comunità protestante che professa l’evangelizzazione nel terzo mondo. Tre giovani predicatori decidono di andare in Messico per diffondere il sacro verbo ma, in seguito a un guasto aereo, si ritroveranno nel paese maledetto. In breve tempo le forze malefiche si scatenano, tra bambini indemoniati, predicatori dediti al culto di Satana, folle assassine dedite al linciaggio ed entità arcane. I tre giovani saranno costretti a far ricorso alla propria fede e a una vecchia radio a onde corte per tentare di sopravvivere e di sconfiggere i mostri infernali. In questo bizzarro e sconclusionato delirio narrativo, Chuck Norris interpreta il ruolo di Matthew, un ranchero che vive ai confini del villaggio, in una capanna nel deserto, che si rivela una sorta di guida per i tre sventurati protagonisti. Norris sfoggia il suo tipico look western, riutilizzando probabilmente parte del guardaroba di Walker Texas Ranger, va a cavallo e snocciola alcuni dialoghi insensati e insignificanti.
È desolante vederlo in questo disastro di celluloide, spaesato e fuori parte, lui stesso incredulo di essere caduto così in basso. La pellicola, diretta dallo sconosciuto Alin Bijan, è un vero esempio di film brutto. Anzi, bruttissimo. Nulla è salvabile in quest’opera insulsa e kitsch. La trama è debole e stereotipata, quasi plagiata da opere ben superiori quali Il villaggio dei dannati o Dal tramonto all’alba, con dialoghi poco credibili e priva di qualsiasi colpo di scena, funestata anche da un arido sottotesto cristiano-evangelico. Gli effetti speciali sono ridicoli e amatoriali, impensabili per un film del 2003: esemplari i teschi che compaiono in sovrimpressione sui volti degli antagonisti, realizzati in una CG finta e imprecisa e gli occhi fosforescenti degli indemoniati, davvero inguardabili. La regia di Bijan è piatta e statica, interamente strutturata su piani fissi e larghi, incapace di creare la giusta tensione e concorre a enfatizzare il carattere semiamatoriale della pellicola. La musica è esageratamente lirica e stona con l’ambientazione country e texana. Ma la vera pecca del film è il cast. Il protagonista è Mike Norris, figlio di cotanto padre, qui impegnato anche come sceneggiatore e gli altri interpreti sono sconosciuti e incapaci di calarsi in personaggi già bidimensionali e stereotipati. Il povero Chuck si limita a regalarci qualche smorfia e qualche sorriso bonario, costretto in un ruolo che non prevede neanche un calcio, un combattimento o uno scontro a fuoco. Bells of Innocence è indiscutibilmente il punto più basso dell’intera carriera della star, che per la prima volta è relegata in un ruolo secondario. Il film non è stato distribuito nel mercato italiano: per una volta i nostri distributori hanno visto giusto.
E.F.

domenica 19 settembre 2010

Focus on. Chuck Norris: L'ULTIMO GUERRIERO


Tit. or.: Forest Warrior. Su dvd 01.

Capelli lunghi e schermigliati, abito in camoscio da nativo americano, stivaletti in pelle con frange ballerine e viso incorniciato da una barba più lunga del solito. Questo è il pittoresco look che Chuck Norris sfoggia in questa favoletta ecologista realizzata dal solito Aaron Norris nel 1996. L’attore interpreta il bizzarro personaggio di John McKenna, incarnazione dell’antico spirito della foresta di Tanglewood. Questa rigogliosa area boschiva è minacciata da avidi speculatori edilizi, che vogliono mettere le mani sulla vasta area verde per edificare e far spazio al grigiore del cemento. La foresta è il luogo preferito di un agguerrito gruppo di ragazzini, autodefinitosi I signori di Tanglewood che, spaventati dall’avanzare delle scavatrici, si appellano al sacro spirito della foresta (Norris in persona). Chuck entra in scena al ralenti, come un’apparizione salvifica di una antica divinità olimpica, peccato che sia una visione desolante e deprimente. È difficile capire come un attore che ha fatto del cinema d’azione la sua vita si riduca a girare una pellicola insulsa come questa, circondato da mocciosi irritanti che scimmiottano I Goonies e Mamma ho perso l’aereo.
L’ultimo guerriero è un seguito ideale alla mielosa atmosfera del precedente Il cane e il poliziotto, ma è ancora più scarso narrativamente e qualitativamente. Il sottotesto ecologista è più stucchevole che nei film di Seagal (in particolare The patriot e Fire Down Below) e l’intento pedagogico sul rispetto ambientale è degno di un giornalino parrocchiale. La regia del fratellino della star è più moscia del solito, il montaggio è degno di un film amatoriale e il doppiaggio italiano concorre alla demolizione della pellicola. Si rimane increduli a vedere questo spirito della foresta che lotta contro dei boscaioli bifolchi, spazzandoli via a suon di calci, pugni e giravolte. Gli scontri a fuoco sono banditi, forse perché diseducativi considerato il target di undicenni a cui il film è rivolto. Gli unici momenti degni di attenzione sono una sequenza di lotta tra Norris e sette boscaioli, in una nube di polvere, tra ralenti e mascelle serrate e il confronto finale, risolto però troppo in fretta con il solito turbinio di calci rotanti. Il film si conclude come una fiaba della buonanotte, al chiarore della luna piena, con Chuck che offre ai ragazzini un pistolotto morale su madre natura, sotto lo “sguardo” imperioso (e impietoso) della montagna e delle alte querce secolari. Non poteva esserci conclusione peggiore. Uno dei pochi motivi di curiosità è rivedere Michael Beck, protagonista de I guerrieri della notte, ormai ridotto a lavorare in operazioni di basso livello come questa.
Talvolta i vecchi guerrieri dovrebbero avere il coraggio di compiere una scelta tanto difficile quanto necessaria: ritirarsi. Questo film dimostra che forse anche per il leggendario Chuck era giunta l’ora di andare in pensione. In Italia il film ha beneficiato di un ampio numero di passaggi su Rai e tv satellitari.
Edoardo Favaron. Immagine da voyagetothebottom100.blogspot.com.

Focus on. Chuck Norris: IL CANE E IL POLIZIOTTO


Tit. or.: Top Dog. Su dvd 01.

Immaginate un film che unisce i “capolavori” televisivi Tequila e Bonetti, Il commissario Rex e La signora in giallo, il tutto miscelato con una spruzzata di Walker Texas Ranger e, ciliegina sulla torta, il pathos familiare di Fermati o mamma spara. Questo cocktail (agitato, non mescolato) è ciò che offre Il cane e il poliziotto, film del 1995 diretto da Aaron Norris. Chuck Norris, rilanciato dal successo planetario di Walker Texas Ranger, produce una pellicola rivolta ai grandi e (soprattutto) ai piccini, direttamente destinata al mercato dell’homevideo. Ma il film per famiglie non si sposa con la violenza tipica delle precedenti pellicole della star. Norris, volenteroso nel dispensare buoni sentimenti a piene mani, sceglie come coprotagonista un cagnone peloso di nome Reno, indigesto e irritante da vedere e da sopportare, una bestiola talmente poco aggressiva da far sembrare Lassie e Rin Tin Tin dei Pitbull da guardia!
L’attore veste i panni del detective di San Diego Jack Wilder, impegnato a salvare la comunità locale da alcuni terroristi membri di un gruppo paramilitare che predica la supremazia della razza ariana, una sorta di moderno Ku Klux Klan nazistoide senza svastiche e senza cappucci bianchi. Norris, in serie difficoltà nella risoluzione del caso, decide quindi di chiedere aiuto al suddetto cagnolino e…all’amata madre, un’arzilla vecchietta in fase geriatrica. Unendo forze e intuito l’allegra compagnia riuscirà a fermare i terroristi prima che si compia una strage. Il film, nonostante l’inutilità e la risibilità della trama, offre alcuni sprazzi di vero Chuck style. Il nostro beniamino regala un buon numero di calci volanti, alcuni dei quali capaci di distruggere vetrate e tettoie, gli scontri a fuoco sono credibili e il ritmo è sufficiente per evitare di cedere al sonno (anche grazie alla breve durata di 80minuti). Anche il climax, che vede un vescovo, un rabbino e un santone segregati in una limousine e minacciati da un ordigno pronto ad esplodere è simpaticamente trash e ben costruito su un funzionale montaggio alternato. Ma Chuck da solo non basta. La fotografia e la regia di Aaron Norris (già autore di Missing in action 3, Delta Force 2, Hellbound...) sono disarmanti nella loro piattezza televisiva e l’intera operazione risulta inutile e stucchevole, inferiore a tanti episodi del serial sul ranger più famoso del Texas. Anche i fanatici cattivoni sono insulsi e privi di carisma e si prestano come semplice bersaglio per le acrobazie del protagonista e per i morsetti del pulcioso cagnolino. Tra gli interpreti si riconoscono il veterano Timothy Bottoms e il figlio d’arte Francesco Quinn; gli altri membri del cast sono attori televisivi senza particolare talento.
Il cane e il poliziotto è quindi un film che regala qualche sporadico momento tipicamente “norrisiano” (le sequenze migliori) che farà gongolare i fan della star, ma complessivamente è più un film per bambini che per gli amanti dell’action e la sua collocazione ideale è quella televisiva.
Edoardo Favaron

The freak show. AMITYVILLE DOLLHOUSE


Usa 1996. Su dvd Stormovie.

Amityville Horror, film del 1979 diretto da Stuart Rosenberg, ebbe un grande successo di pubblico, originando, come ogni trionfo commerciale, una lunga serie di seguiti. Tra questi Amityville Dollhouse, realizzato per il mercato homevideo da Steve White, produttore televisivo qui alla sua prima e unica esperienza dietro la macchina da presa. Il film narra le vicende di una tipica famigliola americana, appena trasferitasi in una inquietante magione rurale. Nel capanno degli attrezzi, il pater familias trova una casa delle bambole che, da buon padre tirchio e disattento, non esita a regalare alla sua figliola di dieci anni. Come già anticipato dal titolo, è questa casa delle bambole a rivelarsi un vaso di Pandora pronto a liberare forze arcane e demoniache. Queste sataniche presenze non tardano a impossessarsi dei componenti della famiglia, facendo prevalere il lato oscuro di ognuno di loro. Il padre diventa brutale e aggressivo (sono espliciti i riferimenti al Jack Torrance di Shining), la madre ha fantasie erotiche sul figliastro e la bimba rischia la morte per l’eccessiva vicinanza con i giocattoli diabolici. Solo il fuoco potrà purificare quest’ambiente imputridito dal male.
Una trama esile e scontata che conferma la prima impressione, chiara fin dai titoli di testa: Amityville Dollhouse è un prodotto similtelevisivo, girato male. White si dimostra incapace di gestire la tensione, utilizzando piani fissi, statici, che paralizzano il ritmo dell’intera pellicola e persino i semplici campi-controcampi nelle sequenze di dialogo appaiono finti e stucchevoli. Gli interpreti sono anch’essi insufficienti, volti senza personalità e senza qualità e il doppiaggio italiano non aiuta a migliorarne la credibilità recitativa. Persino le bamboline malefiche sono ridicole, con un aspetto più simile a strumenti voodoo che al Chucky de La bambola assassina) e in generale il film ha carenza di ritmo, tensione e ironia. Siamo quindi lontani dal valido capostipite della serie come dal discreto seguito diretto da Damiano Damiani (Amityville Possession, 1982). L’unico aspetto degno di nota è il lato melodrammatico, forse involontario, derivato dalle contrastate e burrascose dinamiche familiari, che disgregano il nucleo abitativo più delle presenze sataniche. Volendo forzare le intenzioni di mero intrattenimento dell’operazione, si può infatti ravvisare una critica di fondo all’ipocrisia americana, alla classica famiglia “da Mulino Bianco” presente in tanti film, che sotto la fatua superficie di felicità, nasconde scheletri e fantasmi pronti a venir fuori, magari sospinti da qualche bizzarra forza soprannaturale. Ma nonostante questa possibile lettura sociologica, Amityville Dollhouse rimane un prodotto di scarsa qualità, inconcludente e talvolta ridicolo, buono solo per una serata masochistica all’insegna della totale noia cinematografica.
E.F.

domenica 12 settembre 2010

Focus on. Chuck Norris: HELLBOUND


Usa 1994. Su dvd Stormovie.

Dopo aver decimato cinesi, vietnamiti, russi, terroristi palestinesi e narcos sudamericani, Chuck Norris si trova orfano di antiamericani da sterminare e così decide che è finalmente arrivato il momento di affrontare nientemeno che… un emissario di Satana! Hellbound-All'inferno e ritorno è un film tanto bizzarro da diventare trash e cult. L’improbabile trama, che vede un poliziotto americano affrontare un demone fino in Palestina per salvare l’intera umanità, ne è la prima conferma. L’intreccio è un coraggioso frullato di Indiana Jones, L’esorcista e dei numerosi thriller millenaristici prodotti a inizio anni ’90. Norris cerca di rilanciare una carriera ormai alla deriva, tentando di allargare il proprio target di aficionados agli amanti dei film horror, ma l’effetto è opposto. Pochi spettatori e carriera ancora più in discesa libera: il film viene distribuito solo in vhs (almeno in Usa) e risulta essere una delle opere meno note dell’attore. La dose minima di sparatorie, calci rotanti e inseguimenti anche in questo caso è assicurata, ma non basta a elevare la qualità di quest’opera che non riesce a beneficiare neanche dell’ambientazione esotica (Gerusalemme). E’ però interessante notare come il film anticipi alcuni elementi dell’imminente Walker Texas Ranger: la coprotagonista femminile è Sheree J. Wilson, futura compagna del ranger più famoso di Dallas e per la prima volta l’attore ha un partner di colore (Calvin Levels, attore dal backgorund teatrale mai esploso sul grande o piccolo schermo), contraltare ironico e dissacrante, peraltro anche fisicamente simile al ranger Trivette. Ed è proprio con questo Trivette ante litteram che si aprono dei siparietti da buddy movie che intervallano le scene thriller, frantumando ulteriormente il ritmo già blando e monotono. Norris è granitico e serioso come suo solito ma, in questo contesto simil fantasy, si dimostra eccessivamente rigido e impacciato.
Il regista Aaron Norris, fratello della star, non riesce a dare vigore alle rare coreografie marziali e non dà ampiezza al respiro della messa in scena, conferendo all’intero film un aspetto televisivo simile a un episodio della serie Relic Hunter. Inoltre sono evidenti i limiti di budget, impietosamente mostrati negli scarni effetti speciali e nel prologo ambientato durante le crociate, in cui le poche comparse sono agghindate con costumi degni di una recita scolastica. Anche l’aspetto del demone è esilarante, nonostante il volto e lo sguardo di Christopher Neame risultino naturalmente inquietanti. In questo quadro di globale desolazione qualitativa, bisogna evidenziare un elemento riscontrabile solo a posteriori, che riesce però a limitare la negatività della visione: l’effetto nostalgia, per cui anche un film involontariamente demenziale come Hellbound può essere visto fino alla fine senza spegnere il videoregistratore. Proprio in questa ottica di recupero, Hellbound si rivela un film da guardare con un sorriso smaliziato, apprezzando la sincerità con cui è stata realizzata un'opera come questa che fa dell’intrattenimento, per quanto improbabile, la sua unica ragion d’essere.
Edoardo Favaron

Incompresi. Comici allo sbaraglio. BIBO PER SEMPRE


Italia 2000. Di Enrico Coletti.

Già verso la fine del 2000, quando Bibo per sempre si avvia ad uscire incassando ben poco, Teocoli lascia trapelare di esserne poco soddisfatto. Anni dopo, senza più remore, dirà riguardo la sua carriera nel cinema: "Ho fatto un film che ha visto solo mia madre e da allora non c’è stato più nulla da fare"*.
Teocoli è Bibo Cedrelli, un attore comico, sposato con figlie, che attraversa un momento di crisi esistenzial-lavorativa. Come non si sentisse realizzato, apprezzato, come non sapesse bene chi è e cosa voglia fare. Complice la conoscenza del ruvido senza tetto interpretato nientepopodimeno che dallo scrittore Luis Sepúlveda e dello strambo personaggio di Marco Della Noce, manda in crisi i rapporti coi dirigenti tv e con la moglie (Anna Galiena), fino a trascorrere una giornata fuori casa da barbone. Al termine, come prevedibile, torna alla dimora familiare e ottiene un ridimensionamento più umano del suo impegno lavorativo nei panni di altri.
E' chiaro il parallelo tra cinema e vita, tra Bibo e l'attore-imitatore Teocoli. "Qual'è il vero volto di Bibo Cedrelli?", si legge su un giornale. Il problema non è l'eventuale banalità della "crisi" del protagonista, ma (tra gli altri) che il film sui problemi del mestiere d'attore dice ben poco e balbettando. Bibo sembra un autodistruttivo che fa cavolate improbabili e poi cerca di essere compatito. Ma i toni dolceamari e le note musicali tenere non impediscono allo spettatore di ritenerlo un po' coglione. All'inizio incuriosisce il vedere la preparazione e la messinscena degli sketch, che si formano sotto i nostri occhi (e che coinvolgono la soubrette rumena Ramona Badescu) e che vanno a ramengo. Ma la cosa non risulta credibile e non funziona. Per esempio, quando Bibo registra una televendita per una bevanda energetica, questa è contenuta in grossi flaconi che paiono di detersivo, la scenografia non è realistica, poi arriva Della Noce truccato-sfigurato e dopo aver bevuto distrugge tutto. I manager giacca-cravattati si arrabbiano, ma se sanno che il lavoro di Cedrelli è creare queste buffonerie, perchè lo chiamano e perchè ogni volta se la prendono? E' un aspetto male impostato, al punto che si arriva a chiedersi che lavoro faccia di preciso.
Comunque, Teocoli ha così modo di prodursi in diversi personaggi: Bill Clinton, Hulk Hogan... Inaspettata, giunge addirittura, in un sogno del protagonista che imita il cinema muto (bianco e nero, segni, didascalie, fotogrammi a minore velocità), l'imitazione dell'Harold Lloyd in bilico di Preferisco l'ascensore. E' una cosa che lascia il tempo che trova, ma i critici seri direbbero che è un sacrilegio. Altrove, è come se Teocoli volesse strizzare l'occhio al pubblico, di provenienza televisiva, proponendogli qualcosa di riconoscibile, come l'infilata di imitazioni che chiude il film -Galliani, Maldini tra gli altri - , o proprio guardando in macchina nelle sue performances: sia nell'imitazione di Celentano fatta a favore di camera** che nel bacio finale con la moglie, lei guarda in camera e sorride, chiamando il sorriso spettatoriale, come dire: "Che simpatico quest'uomo!".
Spesso il film sembra un'infilata di situazioni comiche loffie e purtroppo, al posto delle risate, si ha l'imbarazzo. Il peggio sono le due sequenze consecutive in cui Teocoli prima mostra il sedere - ballando nudo nel tentativo di stuzzicare la moglie - , poi sedere e pacco da dietro i vetri della doccia e la scenetta di Nosfy (Nosferatu), col vampiro che perde la dentiera, una di quelle cose che si visionano guardandosi attorno e sperando che non ci sia nessuno. Si aspettano i momenti in cui è in scena la Galiena per sbirciarne il seno materno, ma non è un buon segno. Va meglio con Della Noce: la sua maschera, con quella voce, è un po' stucchevole ma non è male come freak urbano drogacciato, ad esempio quando alla fine fa irruzione al mercato del pesce per fermare l'invasione del mondo delle sardine (sic): Teocoli è narciso ma il film gli concede i suoi momenti. Cameo di Ale e Franz nella parte di due camerieri di ristorante che litigano di fronte ai clienti. In una gag è protagonista una ronda padana.
A.V.

*http://www.davidemaggio.it/archives/11470/teo-teocoli-va-in-pensione-e-tuona-la-mori-e-celentano-strani-e-un-po-egoisti, **http://archiviostorico.corriere.it/2000/novembre/11/Teocoli_mai_piu_amico_Celentano_co_0_0011117237.shtml

A domanda rispondo. BEATRICE RING



In Una notte al cimitero hai lavorato con Lamberto Bava...
Lamberto Bava è un regista magnifico. Ha talento ed è professionale. Con lui è stata una splendida esperienza. Mi ha dato spazio per esprimermi e sapeva dirigermi quando ero tesa. Lo rispetto.

Cosa ricordi di questo periodo, più in generale?
Nei tardi anni 80, il cinema italiano era ad uno stop e tutti i miei amici attori facevano la fame. Ho lavorato in Zombi 3 perchè avevo disperato bisogno di pagare affitto e gas. Deran ed io eravamo molto innamorati e gli davo tutto il supporto che chiedeva. Ho sempre immaginato che sarebbe diventato un grande regista. Ha fatto grandi cose con il film a basso budget con il quale ha esordito dietro la mdp [Interzone, prodotto da Joe D'Amato, ndt]. Ero divisa fra il vivere in Italia, dove stava la mia famiglia e trasferirmi negli Usa dove avrebbe dovuto esserci il mio futuro. Ho viaggiato avanti e indietro per quattro anni prima di decidere che avevo bisogno di stare in Usa per migliorare il mio inglese e lavorare in un contesto più stimolante e professionale.

Film come quelli, comunque, hanno avuto grande successo non solo in Italia...
Beh, dipende cosa si intende per successo. Anche la malaria e la peste hanno avuto molto successo. Se si amano i film low budget e gore allora sì, è un successo. Quando Zombi 3 fu proiettato in anteprima al Fantafest di Roma, la mia cara amica Marina Loy ed io dovemmo andarcene dopo dieci minuti, perchè il pubblico faceva "boo" e rideva ad ogni cosa.

Cosa ne pensi della produzione horror italiana degli anni Ottanta?
Non ne ero particolarmente fan e non capisco questa moda. Ho avuto sfortuna per anni dopo Zombi 3 ed è mia ferma convinzione che i film horror siano uno strumento che trasporta paura ed energie negative nelle stanze dove la gente vive e nelle loro anime, in altre parole sono molto insalubri. Non guardo mai horror. La gente lavora negli horror e nel porno per fare soldi in fretta e anche questo è segnale di un compromesso che finisce col costare. Non credo nelle scorciatoie, o sono illegali o alla fine si pagano.

Anche in Interzone hai lavorato con Deran Serafian, come in Zombi 3.
Deran e io ci frequentammo da lì ed eravamo stati scelti insieme perchè eravamo amici di Claudio Fragasso. Lui è un caro amico di Deran.

Veniamo allora alla sceneggiatrice Rossella Drudi e a suo marito Claudio Fragasso...
Rossella è un'ottima scrittrice e non penso che abbia mai ricevuto il credito dovuto per il suo lavoro. Era solita affittare una stanza in un hotel sul litorale di Bracciano, provincia di Roma e scrivere una sceneggiatura lungo una settimana o due. Deran ed io amavamo stare con lei e Claudio, erano una coppia amabile e talentuosa.

In Sicilian Connection hai lavorato con Tonino Valerii.
Tonino Valerii è un grande regista. Mi è piaciuto lavorare in Sicilian Connection, la location, il cast e la troupe erano fantastici. E' stato come crescere insieme per settimane e poi, quando torni a casa, sapere di aver fatto qualcosa di fantastico. Valerii ha un grande occhio per l'azione ed il dramma e ha molto rispetto per gli attori. Sedevamo per ore a cena in Sicilia parlando della storia di giganti italiani come De Sica e Gassman. Tonino è intellettuale e di buon senso. Ci reincontrammo sei mesi dopo a Tokyo per la promozione del film e facemmo il tour di molti canali tv e feste. Sono stata molto fortunata ad essere scelta per andare in Giappone, c'erano altre attrici italiane più importanti di me in ballo come Dalila Di Lazzaro e Marina Suma ma hanno voluto me. Ho potuto alloggiare per tre settimane all'Imperial Hotel, di lusso, insieme a Deran, con un traduttore e un autista. In hotel abbiamo incontrato il nostro amico Gary Busey che ci ha presentato a Mel Gibson, che stava promozionando un suo film. C'erano enormi cartelloni con la mia foto e scritte giapponesi e la gente voleva stringermi la mano e chiedermi il nome. Avevo 23 anni ma ho avuto una delle più incredibili esperienze della mia vita. Lo devo a Valerii e a Deran che mi hanno aiutato quando sono stata scelta.

E di Aldo Lado, con cui hai girato Rito d'amore, cosa puoi dirci?
Anche Aldo Lado è un intellettuale e un grande regista. E' un uomo che scava profondamente nella psicologia dei personaggi. Nonostante il film in cui abbiamo lavorato era finanziato in parte da un fondo governativo ed era a basso budget, il direttore della fotografia aveva avuto una nomination agli Oscar due decenni prima, quindi sapevo che sarei apparsa benissimo nel film. Lado usava un direttore di casting veramente abile, loro due mi fecero uno scherzetto... Preciso che quando sono tornata dagli Usa, Deran ed io abbiamo rotto perchè ero divisa tra la vita a Roma, la mia carriera da attrice e un futuro con lui, ma era troppo presto per fare dei piani. Quindi ero una persona arrabbiata, dal cuore spezzato e molto motivata. L'ufficio dove Lado curava il casting era in una via centrale e trafficata di Roma e ho dovuto parcheggiare in doppia fila la mia macchina, rischiando una multa. Mentre leggevo, quest'ometto dagli occhiali rotondi di fronte a me ha fatto dei commenti stupidi sul mio accento francese e mi ha fatto subito innvervosire. Così ho iniziato a urlargli che era un idiota e che odiavo aver perso il mio tempo e intanto un altro ometto con una barba bianchissima è spuntato da una porta e mi è corso incontro a braccia aperte chiamandomi: "La mia Natalie!": questo era Aldo Lado. Anche il direttore del casting a questo punto sorrideva e i due erano soddisfatti. Ho capito che il provino era stato un provino di vita reale! Ero confusa e felice e iniziammo le riprese qualche settimana dopo. Un giorno Lado venne da me in panico totale alle 7 del mattino mentre mi truccavo. Ci siamo seduti su un teatro alla De Paolis, su due grandi cuscini e con aria molto seria mi disse "Abbiamo un problema": aveva guardato i giornalieri mi voleva diversa da come apparivo. In realtà non mi aveva mai dato alcuna indicazione, era una parte molto interessante, la mia prima davvero importante, ma non ero stata diretta dall'inizio alla fine. Il film uscì in Giappone ma là non ero stata invitata. Era pauroso pensare che l'uomo che mi incarcerava per mangiarmi, nel film, ora fosse invitato alla premiere col resto della stampa. Ero inseguita dall'idea che sarebbe venuto a cercarmi quando sarebbe stato di nuovo affamato di carne... Lado ha anche coprodotto Farinelli, una coproduzione europea di cui sono appassionata, mi sarebbe piaciuto lavorarci.

Veniamo a Dimenticare Palermo.
Dimenticare Palermo, come Sicilian Connection, si incentra sulla mafia siciliana e non sono sicura che il pubblico Usa sia sensibile a riguardo come gli italiani. Ma nel film mi sembra evidente che la chimica tra Belushi e Mimi Rogers non ci sia. Ho solo poche battute nel film ma ho voluto farle molto bene, prendendo lezioni di ecitazione da una famosa insegnante a Roma e ho fatto estese ricerche su Francesco di Sveva, sulla cui tomba si svolge la scena. Ho anche letto di tutto su Rosi e scoperto che è noto per girare i suoi film nei posti esatti dove sono avvenuti i fatti che narra. Così, quando ho scoperto che la tomba in Sicilia dove stavano posizionano la macchina da presa e le luci era quella di qualcun'altro, a molta distanza da quella vera, sono andata da Rosi a chiedergli perchè non stesse girando sul posto "reale", come faceva di solito. Ricordo che mi diede un'occhiataccia e chiese al suo assistente chi fossi e se potessi levarmi di torno. Molti anni dopo a Losa Angeles, lavoravo al Getty Center come segretaria esecutiva e gli impiegati con cui lavoravo mi chiesero se avessi lavorato in un film con Belushi: l'avevano trasmesso in tv la sera prima e questo mi fece contenta.

Quali sono i tuoi registi italiani preferiti?
Purtroppo molti registi con cui mi sarebbe piaciuto lavorare non ci sono più, come Antonioni, Rossellini, De Sica, Visconti, Truffaut e Sergio Leone, che ho incontrato e con cui ho bevuto champagne nel suo ufficio al mio quindicesimo compleanno! Seguo Pupi Avati, Salvatores, Lizzani e registe donne di grande talento come Cristina Comencini, Byambasuren Davaa (La storia del cammello che piange) e sicuramente anche Lina Wertmuller. Altri famosi registi italiani che non sto nominando hanno usato il loro talento per il guadagno e non per esprimere le loro idee, quindi non possono conquistarmi.

Intervista di Edoardo Favaron, 2008. Seconda parte. Foto da www.pauraprod.com.

domenica 5 settembre 2010

Io c'ero. Festival ed eventi vari. CANNES 2010, 12-23/5. THE EAGLE PATH


Thailandia/Hong Kong/Usa 2010.

Jean Claude Van Damme è un habitué del Festival di Cannes. Ogni anno, con la sua casa di produzione Rodin Entertainment, presenta le sue ultime fatiche produttive e interpretative nella sale del Mercato del cinema. Quest’anno le attenzioni degli appassionati (tanti) e degli addetti ai lavori (pochi) si sono rivolte verso The Eagle Path, diretto, interpretato, sceneggiato e prodotto dall’attore belga. La premiere si è tenuta in una sala cittadina, lontana dai flash dei paparazzi e dal tappeto rosso. Una cornice insolita ma adatta all’anticonformismo dell’attore e consona alle atmosfere del film. Ma la pellicola, nonostante l’entusiasmo con cui è stata introdotta al pubblico dal suo creatore, si è rivelata una cocente delusione.
The Eagle Path narra le vicende di Frenchy, un tassista francese che lavora a Hong Kong (!), che viene coinvolto da una misteriosa femme fatale in un confuso intrigo che coinvolge le triadi, la mafia russa, un bordello di lusso e i traumi del protagonista che tornano prepotentemente da un passato traumatico. In questo film la trama è secondaria, un pretesto per enfatizzare la psicologia ambigua e contorta del protagonista, attanagliato dal complesso di edipo e quasi autistico nella sua costante attonicità. Van Damme realizza una pellicola indefinibile e indecifrabile, che ambisce a essere opera d’arte quasi wharoliana ma si rivela miseramente povera sia di contenuto che di qualità realizzative. Come regista aveva dato prova di buone capacità di messa in scena nel più che dignitoso La prova, ma con The Eagle Path si perde in sentieri impervi e tortuosi (come il “sentiero dell’aquila” che dà il titolo al film), abbondando in ralenti ingiustificati e in innumerevoli primi piani che dovrebbero enfatizzare i tormenti del personaggio ma finiscono per frantumare la tensione narrativa. I flashback sull’infanzia tormentata del tassista si susseguono senza dare elementi utili a decifrare l’enigmatica trama e risultano stucchevoli e melodrammatici. Anche i coprotagonisti Claudia Bassols e Adam Karst sono poco credibili e sembrano usciti dalle pagine patinate di una rivista di moda. Si rimpiangono le facce patibolari di tanti comprimari che hanno affiancato l’attore nelle sue pregevoli pellicole passate e anche le sequenze d’azione, nonostante dovrebbe trattarsi di un film action, sono poche. Tra queste è unicamente degna di nota un’omerica sparatoria tra l’eroe e alcuni malavitosi ambientata tra i vicoli putridi e fangosi della piovosa colonia cinese, in cui Van Damme dà prova di una efficacia tecnica rimpianta nel resto della pellicola. La musica è a tratti mielosa e non concorre a migliorare il film, mentre la fotografia si inserisce senza infamia e senza lode negli standard dei direct to video. A livello interpretativo Jean Claude ritenta la carta dell’introspezione, cercando di ripetere (senza grande risultati) i picchi recitativi raggiunti nell’ottimo JCVD e nel tostissimo Universal Soldier Regeneration (vera sorpresa dell’action recente), ma il suo volto stanco e il suo sguardo disilluso non bastano a dare spessore a un personaggio irrisolto e poco definito.
Van Damme ha voluto andare oltre le proprie effettive capacità autoriali, perdendo il controllo del narrato. Ne è dimostrazione il finale, che si rifà alle vette simbolico-metaforiche di 2001 Odissea nello spazio (qui al posto dei primati ci sono immagini del moderno degrado consumistico come hamburger, alberi abbattuti, la bomba atomica) ma non è altro che la peggiore chiusura possibile del peggior film di un attore che, nonostante questo scivolone, continua a essere marchio di qualità nell’arido panorama dell’action contemporaneo. Ci auguriamo che, dopo questa parentesi arty e naif, Van Damme torni a fare il suo sporco lavoro, salvando il mondo altre decine di volte e regalandoci piccole grandi perle capaci di soddisfare i nostalgici amatori del "vero" cinema d’azione.
Edoardo Favaron

In sala. I MERCENARI



Chi scrive va pazzo per i film d'azione, sin da bambino quando passava le lunghe estati davanti alla tv, a dilettarsi con le peripezie di Van Damme & co. E spesso fantasticava di un film che unisse sullo schermo tutti i più grandi interpreti di quel cinema. Ora il sogno degli amanti dell'action si è concretizzato.
The Expendables (da noi semplicisticamente I mercenari) è arrivato ed è prima di tutto un film di attori, muscoli, sangue e sudore. Stallone riesce a creare uno dei cast più incredibili dell’ultimo ventennio, unendo grandi star del genere e vecchie glorie, dando vita a un film imprescindibile e imperfetto, che non si può fare a meno di amare. Già dal prologo Sly trascina gli spettatori in un mondo che odora di cadaveri e cordite: una nave al largo della Somalia, ostaggi e pirati, presagi di morte. I mercenari entrano in scena con proiettili, granate e coltelli. E’ solo l’inizio ma in questi primi minuti sta il "senso" del film. Azione, sangue e ironia, una somma tipica dell’action anni 80-90, a cui Stallone dimostra apertamente di ispirarsi. I riferimenti e le citazioni si sprecano. La trama, molto povera e priva di veri colpi di scena, è il difetto principale del film e unisce elementi presenti in opere come Lo specialista, Man of War-L’ultima missione, Danni collaterali, Rambo 2, Il ponte del dragone, Delta Force, Missing in action... : la sceneggiatura risulta un semplice canovaccio su cui innestare una miriade di sequenze d’azione. E il vero punto di forza della pellicola è questo. Stallone spinge il suo anfibio sull’acceleratore, in un tripudio di esplosioni, sparatorie e combattimenti corpo a corpo, superando quantitativamente anche John Rambo, che rimane però un'opera più matura e compiuta. La regia è essenziale e funzionale, la mdp si muove frenetica durante l’azione e si immobilizza durante i momenti riflessivi e introspettivi (...sì, c’è spazio anche per lacrime e sentimenti).
Le scene d’azione sono pirotecniche, girate con gusto compiaciuto per il grand guignol, tra sangue in CG, corpi che letteralmente esplodono (gustosissimo Dolph Lundgren armato di lanciagranate nel prologo) e ossa che sonoramente si spezzano. Ogni elemento della messa in scena trasporta nel vivo del conflitto, in mezzo a questo team duro e scanzonato: Stallone esibisce i corpi, i muscoli scolpiti e tatuati dei suoi interpreti, icone di un certo cinema. Lui ripropone l’eroe impavido interpretato in numerose pellicole, ma non monopolizza la scena, lasciando abilmente spazio ai compagni. Jason Statham simboleggia il cinema action moderno, una sorta di figlio adottivo di Stallone, pronto a prendere il testimone lasciato dal "grande vecchio". Jet Li, poco valorizzato e penalizzato da un impietoso doppiaggio, è il simbolo del cinema hongkongese a base di arti marziali e velocità. Randy Couture e Terry Crewes sono stati scelti per la loro mole imponente e i loro trascorsi nel wrestling, come Steve Austin. Eric Roberts torna ad affrontare Stallone sedici anni dopo Lo specialista e si conferma funzionale ai ruoli di villain, con un volto scavato e sornione, dando un leggero spessore a un personaggio bidimensionale e stereotipato. Al suo fianco fa piacere rivedere Gary Daniels, attore marziale mai esploso nel cinema mainstream, protagonista di una miriade di film direct to video (tra cui Fist of the North Star, ispirato a Ken il Guerriero). Ma su tutti stanno Dolph Lundgren e Mickey Rourke: il gigante svedese presta il suo viso segnato a un personaggio complesso e forse irrisolto, il traditore del gruppo. Roccioso, ironico, convincente nella sua interpretazione, è sempre esaltante vederlo impugnare un’arma o sferrare colpi ai malcapitati avversari (esaltante lo scontro con Jet Li), dimostrandosi uno dei pochi attori della sua generazione ancora in grado di essere credibile come “duro a morire”. Mickey Rourke, guida morale del gruppo, è come sempre immenso; il suo corpo disfatto si inserisce perfettamente in questa galleria di patibolari e il monologo in primissimo piano, tra lacrime e denti d’oro è quasi shakespeariano. Parlando dei rimpianti ed errori di una vita sembra fare un’amara riflessione sulla sua esistenza di ribelle amato e rinnegato da Hollywood. Guest stars di rilievo, Bruce Willis e Arnold Schwarzenegger, presenti insieme a Stallone in una scena che diventa istantaneamente cult.
Stallone riesce quindi a raggiungere il suo scopo, realizzando un film che è un revival e un rilancio di un cinema che rischia di diventare un mero reperto archeologico. Nonostante le carenze strutturali evidenziate (trama, personaggi poco definiti), I mercenari è un puro divertissement, un grande giocattolo mirabolante che per un’ora e mezza ci prende per mano e riporta indietro nel tempo, in quell’epoca in cui il cinema d’azione regalava piccoli capolavori destinati, come i loro interpreti forzuti, a diventare leggenda.
E.F.

A domanda rispondo. BEATRICE RING


L'attrice francese racconta la sua esperienza nel cinema italiano degli anni 80. Senza peli sulla lingua. Enjoy...

Partiamo da Zombi 3... Dove è stato girato?
A Los Banos, nelle Filippine, a due ore e mezza da Manila attraverso una strada molto accidentata. Los Banos è un luogo di villeggiatura famoso per i fanghi (e per le zanzare!).

Lucio Fulci...
Fulci era un uomo anziano e scorbutico. Era molto malato sul set ed aveva una pancia enorme (come una donna incinta di 9 mesi), camminava tenendosi una mano su questo pancione. Una volta l'ho toccato, era molto duro, da "santone". Il poveretto si stancava facilmente sul set e lo abbandonava per farlo dirigere ad altri, come il direttore della fotografia o i responsabili degli stunt che hanno finito per aggiungere molte loro scene che non erano sullo script. Era veramente sboccato e imprecava senza soste, era volgare e cattivo con tutti eccetto sua figlia, che era tranquilla e non si faceva notare. Non gli prestavamo molta attenzione e viceversa. Ogni pochi giorni doveva andare a farsi estrarre l'acqua dalla pancia, facendo la strada dissestata che portava all'ospedale di Manila. Francamente, non lo rispettavo. Non avevo visto nessuno dei suoi film ma sapevo che non era interessato a lavorare seriamente sulle capacità degli attori e che i suoi interessi erano l'orrore e gli effettacci, ma volevo essere il più professionale e distaccata possibile. In due occasioni ci scontrammo. Aveva ideato una scena dove svenivo mentre correvo e sembava che morissi. Il cameraman era di fronte a me mentre giacevo a terra. Fulci si arrabbiava perchè continuavo a muovermi e non "morivo", quindi urlava "Muori puttana Eva, muori - ma questa non muore per la miseria, che ca**o!". Ero mortificata ma finchè la camera filmava potevo solo stare lì sulla schiena senza dire nulla.
In un'altra scena che abbiamo girato e rigirato, entravo in una stazione di servizio abbandonata e camminavo chiedendo se ci fosse qualcuno in giro. Fulci continuava a dire che avrei dovuto sembrare preoccupata ed agitata ma siccome non c'era nulla per cui intimorirsi non volevo andare in "overacting". Sapevo che tutti gli altri attori lo stavan facendo ed ero molto preoccupata che poi il film finisse coll'esser visto da un regista che mi avrebbe giudicata una cattiva attrice. Così ho continuato a rifare la scena, forse 20 volte. Quel che ricordo chiaramente è che Fulci era sempre più furioso e continuava ad imprecare e urlare, ma io continuavo a recitare la scena proprio come l'avrei fatta in una produzione americana. Devo dire che sono contenta di aver fatto così, perchè rivedendola la mia recitazione è dignitosa, anche senza l'aiuto di Fulci. Che poi ha fatto qualcosa di indecente, dopo quella scena. Ha detto ad uno stunt, alla quarta ripresa, di strizzare davvero il mio collo mentre mi attaccava, e ne ho riportato contusioni serie. Voleva una reazione forte e l'ha avuta, è una scena dove sto per essere strozzata a morte... perchè sto per essere strozzata a morte! Non potrò mai perdonargli le vessazioni cui mi ha sottoposto per questo stupido filmetto.

Il film è stato finito da Bruno Mattei e Claudio Fragasso...
Non c'ero quando ripresero a girare altre parti del film. Dopo che finirono di lavorare con noi, avevo sentito dire che il film era troppo corto e che avevan dovuto girare più scene, con un altro regista.

Che ne pensi del tuo personaggio, Patricia?
Mi piaceva che guidasse una bella macchina e che si dimostrasse una donna indipendente e forte.

E delle scene di azione?
Cosa intendi per "scene di azione"? In certe scene sembra un film di Ridolini...

Altri aneddoti sulla tua esperienza nel film?
Quando sono giunta nelle Filippine, l'agente alla dogana ha lasciato passare tutti eccetto me perchè avevo un passaporto francese e la Francia è l'unico paese da cui richiedono un visto. Avevo passato 22 ore su un aereo ed ero veramente esausta. Per permettere di pagare la tariffa extra per il volo, parte dell'equipaggiamento della troupe era stato spedito a mio nome, quindi se io non potevo sbarcare, non poteva essere prelevato. Un agente è rimasto nella stanza accanto mentre stavo in un hotel in attesa di volare a Hong Kong il giorno dopo e ottenere un visto al consolato filippino. Deran [Serafian] ed io stavamo assieme, quindi è venuto con me. Ho ricevuto una lettera dalla Flora film che mi dichiarava come star di Zombi 3 e in quanto tale avevo bisogno del visto. All'ambasciata, i due addetti hanno letto la lettera e riso a crepapelle. Poi con un sorriso mi han detto che non potevano darmi un visto, perchè il mio passaporto sarebbe scaduto entro cinque mesi. Ero veramente stufa del tutto. L'ambasciata francese mi è venuta in aiuto e in due ore avevo un nuovo passaporto e sono tornata a Manila. Quando avevo fatto i miei bagagli a Roma, avevo pensato di stare andando ad una vacanza: ho messo via cappelli, pareo e costumi da bagno pensando che mi sarei goduta i fine settimana alla spiaggia. Ma una volta lì, eravamo nell'entroterra, quindi non c'era l'oceano. Era caldo ed umido ed eravamo circondati da acque fangose, che trasportavano milioni di insetti ovunque. E' stato un ritorno alla realtà abbastanza triste. Quando sono entrata nell'atrio dell'hotel dove alloggiavamo, ho visto su un tavolo piatti da cena con due enormi scarafaggi corazzati che mangiavano gli avanzi. Ho urlato, per far capire agli inservienti degli insetti: loro li han guardati e mi hanno riso in faccia. Ho capito di essere finita all'inferno. Questi scarafaggi erano dovunque e la cosa peggiore era che erano impossibili da uccidere, anche se li calpestavi correvano via velocemente. Di notte ci dovevamo coprire con le lenzuola fino al collo. Dicevano che gli scarafaggi scalavano i muri e una volta in cima ricadevano sui letti o sul pavimento rumorosamente.
Dopo tre settimane di set, il mio corpo era coperto di punture di zanzara. Un giorno, uscita dalla doccia, sono rimasta nuda di fronte allo specchio con un evidenziatore e ho fatto un cerchio intorno ad ogni puntura sul mio corpo: ne ho contate 33. Una settimana dopo, ho avuto la febbre alta e non potevo lavorare. Ho chiesto di fare l'esame della malaria e un dottore locale è arrivato con un infermiera, ha preso un campione del mio sangue che è risultato negativo. Non c'era stato tempo di vaccinarsi per la malaria perchè siamo entrati nel cast meno di una settimana prima di prendere l'aereo. Ci sono voluti molti giorni per guarire dalla febbre, non so quanti, mi sentivo come drogata, stavo lì seduta sul mio balcone tutto il giorno a guardare la gente del posto, i cani e i bambini che giocavano nel fango. Pensavo che non avrei più rivisto la mia famiglia e la mia casa. Nel fine settimana, arrivavano le prostitute e cercavano i membri della troupe, sebbene molti fossero sposati, era triste. Deran ed io conservavamo i nostri spiccioli per la guardarobiera, faceva carità per la gente in prigione. Un fine settimana decidemmo di visitare Pax San Juan (famosa attrazione turistica con la sua cascata) e scoprimmo che era un posto noto anche per la prostituzione minorile, spesso bambini sotto i dodici anni e che i loro maggiori clienti venivano dall'Europa e dall'America. Ci dissero che le famiglie potevano vendere i loro figli per 1000 dollari e venivano raggruppati in questi bordelli. A tredici anni venivano scaricati perchè troppo vecchi per la clientela e finivano suicidi, criminali o in prigione. La povertà era ovunque e dopo aver visto i polli mangiare la spazzatura ai lati della strada, non ho più voluto ordinarli al ristorante.
Tornando al set, il caldo era tremendo, i condizionatori lavoravano senza sosta ma di notte alcuni che erano rotti facevano un gran rumore ed era dura prendere sonno. Alle 5 di mattina qualche volta un gruppo di preghiera veniva a cantare nel cortile fino alle 7. Alle 9 il calore era così intenso che tutti volevano tornare a casa. Una delle attrici era famosa per le sue abilità sessuali ed alcuni uomini blateravano delle sue qualità. Ero nervosa al pensiero che lei cercasse il mio ragazzo e speravo che loro due non finissero insieme. Un'altra strana coppia si era formata durante la lavorazione, ma preferisco non parlarne... si facevano un sacco di battutacce su loro due. Bisogna capire che in sei settimane, la mente svaporava a causa del clima, della povertà e disperazione tutto attorno... Addirittura ho poi scoperto che due persone dall'Australia erano ricercati per criminalità e stavano nascondendosi nelle Filippine ed in Malesia!
Il primo giorno di riprese, eravamo su una sponda di fiume che ho immediatamente riconosciuto come il posto in cui è stato girato Apocalypse Now. Ho visto quel film forse otto volte, adoro Martin Sheen, Robert Duvall, la fotografia, la regia ecc. La gente sul set mi confermò quell'impressione e ne fui molto contenta. Il prezzo dell'acqua era così caro che la produzione decise di servire solo soda sul set, e così non potevamo mai dissetarci. Ad un tratto non ce la feci più e decisi di vuotarmi sulla testa una lattina di soda all'arancia: grave errore. Era appiccicosa e gli insetti mi vennero addosso. I filippini della crew vennero in mio soccorso e mi pulirono. Impossibile avere acqua, che incubo! Gli stuntmen venivano sostituiti settimana dopo settimana. Realizzai che dovevano aver lavorato per pochi dollari al giorno, erano assolutamente sfruttati. Nella scena doeve cadono da un tetto, non c'era nulla su cui atterrare se non sporcizia. Ad ogni ripresa li vedevo farsi male alle gambe, alle caviglie e andarsene via tenendosi l'un l'altro con facce sofferenti. Al che Fulci utilizzava un altro gruppo di stunt e così via, ad ogni ripresa la stessa storia. Nella scena in hotel dove gli zombie vengono sparati, dell'esplosivo era caricato sotto i vestiti e assicurato al torace degli attori. Dopo la scena, han tolto loro gli indumenti e i loro corpi eran feriti dove c'era l'esplosivo perchè non avevano adeguata protezione sulla pelle, finivano contusi e ustionati.
Gli uccelli che si vedono in strada a muoversi lentamente erano stati iniettati di aria. Era terribile veder queste grosse siringhe infilate negli animali, la stessa siringa bestia dopo bestia. Il responsabile degli effetti diceva che non sarebbero morti, sarebbero solo stati semiincoscienti per mezz'ora. Non appena gli uccelli sembravano riprendersi e poter volare, lui accorreva e iniettava altra aria. Ero in lacrime, ma che potevo farci: a Fulci stava bene e nessun'altro protestava. Se fosse oggi, chiamerei l'associazione per la protezione degli animali dal cellulare, ma eravamo in mezzo al nulla. Dopo la venuta dell'uragano e aver abbandonato l'hotel, ho scoperto che gli uccelli, nelle loro gabbie, erano stati lasciati là dentro durante la tempesta ed alcuni erano morti. Due di essi mi commossero molto e li ho fotografati. Stavano vicini l'un l'altro, sembravano aver sofferto così tanto che non parevano neppure più uccelli. Forse ho ancora le loro foto.

Cosa ne pensi degli effetti speciali e del gore di questo film?
Ridicoli. A chi vuole vederlo, dico di comprare una confezione di pile per il telecomando, di modo da utilizzare il fast forward durante il film.

Intervista di Edoardo Favaron, 2008. Prima parte. Foto da Zombi 3.

Incompresi. I MIEI PIU' CARI AMICI


Italia 1998. Su dvd Cecchi Gori.
Warning: il seguente pezzo contiene anticipazioni sulla trama e sul finale che possono compromettere la visione a chi non conosce il film ed intende vederlo.

Non è passato un secolo, ma poco più di un decennio da quando Alessandro Benvenuti aveva preso a girare film con una certa costanza e considerazione critica. Un periodo iniziato con Belle al bar del 1994 (già a fianco di Eva Robin's) e conclusosi con questo film. L'attore tornerà alla regia cinematografica solo nel 2003 per Ti spiace se bacio mamma?.
Un gruppo di amici che lavorano nel mondo dello spettacolo riceve da un amico che non vede da anni, Alessio, l'invito a unirsi a lui per il suo compleanno ed essi lo raggiungono in un castello fuori mano. La diffidenza degli amici verso di lui ha un motivo: Alessio aveva scritto una commedia su di loro, I miei più cari amici, ma l'aveva fatta interpretare ad altri. Ma il padrone di casa sta nascondendo loro delle cose e scopre le sue carte man mano. Prima di tutto, vuole far interpretare finalmente a loro la commedia, per saldare i conti. In mezzo a battibecchi, strani eventi causati forse da presenze fantasmatiche e prove sul palco poco serene, il colpo di scena decisivo giunge a circa 2/3: gli ospiti del castello sono ripresi e spiati ad opera di un regista senza scrupoli. Siamo nel 1998, il Grande fratello deve ancora venire e l'operazione viene definita come una grande "candid camera". Alessio si stufa di questa situazione che ha accettato per debiti di gioco, dice finalmente agli amici la verità e insieme pongono fine allo show, recitando di fronte alle telecamere nascoste.
Prodotto da Cecchi Gori come il precedente Ritorno a casa Gori, I miei più cari amici vede un Benvenuti che pare impegnato a consolidarsi, perfezionarsi ed alzare il tiro come autore di commedie saporite e corali. Si pone a capo di un cast mica male: i fidati Athina Cenci e Vito (attore gay debolissimo e ipocondriaco), Eva Robin's (pornostar dalla scarsa autostima, che si sente capace di comunicare con gli uomini solo tramite il sesso), Alessandro Gassman (playboy che però fa cilecca con le due stuzzicanti cameriere), Zuzzurro e Gaspare in una delle loro rarissime sortite su grande schermo (il duo Bric e Brac), Umberto Smaila nei panni del regista laido e sgranocchiante - la cui presenza aumenta l'effetto sorpresa - , in piccoli ruoli Flavio Bucci, Gianmarco Tognazzi, Roberto Ciufoli e Tiziana Foschi della Premiata Ditta, Marco Messeri.
Benvenuti gira sempre a suo modo, la sua regia è marcata e si fa notare per i movimenti di macchina (qua e là superflui, certi dolly...). Sin dall'introduzione dei personaggi procede veloce, ad alto voltaggio, anche disordinato. Sembra volere stringere gli attori e le loro battute in quadretti dal ritmo conciso e simpatici. Un metodo non incompatibile con quello di Pieraccioni, ma Benvenuti è più bravo e non cerca sistematicamente la risata. Come volesse dimostrare di saper fare del cinema: non solo di saper girare, perché si sente la volontà di scrivere, nonostante le battutacce, una sceneggiatura degna di questo nome (Benvenuti la firma insieme al giornalista e scrittore Alberto Ongaro), con battute curate che però, spesso, odorano di copione. Le tematiche si intravvedono abbastanza chiaramente: l'arte che riprende la vita, la vita che diventa arte (o meglio, tv), la confusione fra realtà e finzione-messinscena - certe modalità di Alessio di proporsi agli amici ( i fuochi a cena, il fiammifero acceso al buio), gli amici che si accordano per recitare e lo fanno fino alle estreme conseguenze (simulando un omicidio), all'insaputa dello spettatore-regista diegetico - . Forse Benvenuti ha meno da dire di quanto sembra, ma l'intrattenimento non è stupido e meglio le sue accuratezze che la sciatteria.
Battute non male. Dopo che Alessio ha dichiarato che farà conoscere agli amici l'anziana madre, "Ma non era orfano?", "Da piccolo"; il guardiano degli schermi tv che si distrae uscendo ad osservare la Robin's (che nella vita è un trans, per inciso) che si spoglia e fa il bagno: "Che donna!"; Alessandro Gassman che urla in un litigio: "Io sono un moderato! E voto Pierferdinando Casini perchè mi dà fiducia!...".
Alessio Vacchi

Incompresi. Comici allo sbaraglio. AFFETTI SPECIALI



Ecco a voi il film dei Gemelli Ruggeri, ovvero Luciano Manzalini ed Eraldo Turra, coppia comica attiva in televisione dagli anni Ottanta. I due interpretano questo film a fine di quel decennio, quando ottengono popolarità sul piccolo schermo con L'araba fenice di Antonio Ricci, ma Affetti speciali è un'esperienza che casca nell'invisibilità. Peccato per loro, ma è pane per questa rubrica. Lo sfortunatissimo film in questione, alla cui sceneggiatura collaborano, non è il loro unico lungometraggio, ma è l'unico da protagonisti ed ha una datazione "slittante": in una scena si vede un calendario del 1987, su alcune fonti è dato come 1988, sull'astuccio della vhs è 1989, ma risulta uscito limitatamente solo nel 1991.
Due fratelli molto diversi, non solo fisicamente ma anche caratterialmente: Cris, di stazza, è un "uomo che ama le donne": con i suoi sorrisi stampati, fa cedere come niente fosse quasi tutte le donne che incontra, senza fare niente, come fosse predestinato a un tranquillo piacere. Ivano è strano al limite della malattia mentale, vive in un mondo mentale tutto suo, comunica a suo modo ed anche il suo lavoro è singolare: ogni mattina va a piedi a presidiare un poco trafficato passaggio a livello. La loro vita comunque trascorre placida, i due sostanzialmente si vogliono bene e vivono con la anziana madre e sua nipote (Sabina Guzzanti). Quando la madre si sente male e viene ricoverata, l'unico modo per tenerla in vita è affidarsi alle costose cure di un medico privato (Felice Farina, il regista): questi la piazza su di un imponente apparecchio frankensteiniano, con leve e luci, dove la donna resta a vegetare. Certamente qualcosa si è incrinato nella vita dei due, a cui piacerebbe tornare a vivere "come prima": anche Cris è teso e addirittura fa cilecca con la assistente del dottore. Sarà il gesto "matto" di Ivano a sbloccare le cose, spegnendo il macchinario maddoctoriano in un tripudio di scoppiettii e fumi. Nell'ultima "poetica" inquadratura vedranno sorgere di notte all'orizzonte la scritta "Fine".
Film particolare questo, che sarebbe facilissimo stroncare. Esile, surreale, è impostato su di un ritmo adagiato e stralunato che ben si accompagna alla recitazione dei due protagonisti, o più precisamente al personaggio di Ivano. Anche le battute sono pronunciate in modo staccato le une dalle altre e neppure gli snodi narrativi importanti accelerano il ritmo del film, che resta sostanzialmente "orizzontale". Tenero, quasi toccante, il film trasmette a tratti, complice il bel (quasi eccessivamente) tema musicale, un senso di drammaticità esistenziale, il che è già qualcosa; pure le ambientazioni desolate sono consone.
Certo, la polpa è poca, il film sembra sempre viaggiare ad un metro da terra con la sua leggerezza senza planare mai e non tutte le situazioni funzionano: le battute mattoidi di Ivano talora strabordano nell'imbarazzo. Le risate sono ben poche, sovrastate da qualche sorriso e da un senso persistente di malinconia. Piero Natoli ha due piccoli ruoli: il camionista borchiato che aggredisce (si fa per dire) Ivano e un dottore, Remo Remotti è un venditore ambulante. La Guzzanti invece si ritaglia uno spazio comico che sembra anticipare il suo futuro, quando il suo personaggio intervista con voce alterata la zia.
A.V.

Memorabilia. PORNO VINTAGE



Un "Memorabilia" piccante, a base di film vietati ai minori risalenti all'epoca in cui certe cose si cominciavano a vedere in sala. I piaceri privati di mia moglie e Penetration sono flani datati 1978. Se l'"erotica moglie" ha un grande successo, il pubblico di Jasmine la Rouge è persino fremente ed incontenibile (sembra di vederlo muoversi sulle seggioline), anche se non erano ancora anni di hard vero e proprio nelle sale italiane, se non di contrabbando. Digitando su Google "Jasmine la Rouge penetration" si ottengono una serie di link relativi a Jasmine Rouge, attrice hard rumena (bionda) attiva ora. La pornocarovana dovrebbe risalire al 1981: qui, castamente, non ci sono immagini, se non quelle che si possono creare in mente figurandosi il plot descritto sul flano, con cowboy e pellerossa una volta tanto uniti ad aspettare la speciale carovana.
A. V.