domenica 14 novembre 2010

The freak show. THE HOUSE OF THE DEVIL


Usa 2009. Di Ti West. Su dvd Dark Sky (regione 1).

The House of the Devil è un film che fa paura. Un film atipico e fuori moda, che va controcorrente rispetto al moderno trend del new horror, fatto di torture e splatter.
La pellicola è ambientata alla fine degli anni Settanta, in una piccola cittadina universitaria, dove vive la giovane studentessa Samantha. In difficoltà con l’affitto, decide di accettare una proposta di lavoro apparentemente semplice e senza rischi: fare la baby sitter per una sera. Giunta nella casa in cui prestare servizio, scoprirà che la realtà è ben diversa; in quella antica e imponente dimora si cela il male più folle e crudele e la timida ragazza dovrà fare ricorso a tutta la sua grinta per aver salva la vita. La trama non è il punto di maggiore forza del film, con un intreccio essenziale e lineare. I dialoghi sono pochi ed ermetici e per tre quarti della pellicola non succede nulla di sconvolgente. Solo piccoli dettagli, segnali che presagiscono il pericolo imminente. The House of the devil è infatti un’opera di atmosfera, incentrata interamente sulle dinamiche della messa in scena, con il solo fine di creare una tensione concreta e realistica. West utilizza con grande maestria la cinepresa, presentandoci gli eventi in maniera "oggettiva" e quasi documentaristica; incede in modo cauto, lento, con un ritmo trattenuto e mai frenetico, che però non annoia. Ogni scelta stilistica riesce ad avvicinarci empaticamente alla giovane protagonista e fa partecipare attivamente al suo turbinio di emozioni e di paure. Inoltre West (impegnato anche come sceneggiatore e montatore) è abilissimo a ricreare l’atmosfera tipicamente seventies, grazie a un accorto uso della scenografia e della fotografia, senza però cadere nella trappola dello sterile revival (cosa peraltro dimostrata dai tanti remake dei capolavori horror anni ’70). L’aspetto quasi hitchcockiano della prima parte del film viene poi sovvertito negli ultimi venti minuti, in cui la violenza deflagra in modo improvviso e brutale. I placidi vecchietti che la ragazza dovrebbe accudire si rivelano degli spietati satanisti, pronti a officiare una messa nera in piena regola, in cui non mancano pentacoli, animali sacrificati e coltelli affilati pronti a lacerare la carne virginale di Samantha. West mette il piede sull’acceleratore e aumenta in modo vertiginoso il ritmo di regia, con un montaggio più frammentato e frenetico. Il delirio della ragazza e la dilagante follia degli adoratori del demonio ci catturano e ci trasportano in un incubo apparentemente senza fine. L’ultimo frammento della pellicola è un pezzo di cinema di gran classe, che fa raggelare il sangue per il realismo della lucida follia di cui può essere capace qualsiasi essere umano. Anche degli anziani apparentemente innocui.
Il cast è funzionale e ben assortito. La protagonista Jocelin Donahue, pressoché sconosciuta e quasi all’esordio, è perfetta e rende in modo esemplare le insicurezze della giovane e sola studentessa, dando prova di una elevata capacità interpretativa. I veterani del cinema bis Tom Noonan (Manhunter, Last Action Hero, Scuola di mostri) e Mary Woronov (Death Race 2000, Cannonball, The Devil’s Rejects) sono crudeli ed enigmatici al punto giusto grazie ai loro volti segnati e spiritati e fa sempre piacere rivedere Dee Wallace, vera icona dell’horror indipendente (Le colline hanno gli occhi, L’ululato, Cujo). The House of the Devil è quindi un’opera degna di un’attenta visione, ben realizzata e di forte impatto emotivo, che riesce a catturare anche gli spettatori più smaliziati senza far ricorso a futili effetti speciali, dimostrando che un’accurata e intelligente messa in scena può ancora essere la giusta strada per una nuova gloriosa stagione del cinema del terrore.
Edoardo Favaron

domenica 7 novembre 2010

Io c'ero. Festival ed eventi vari. ToHorror Film Fest 2010, Torino, 20-23/10. OCCHI


Italia 2010. Di Lorenzo Bianchini.

Ritorno di Bianchini all’horror, dopo Radice quadrata di tre e Custodes bestiae. L’elemento perturbante di questa sua nuova fatica cinematografica è rappresentato dal tempo: qualcosa che è legato a tragici eventi del passato è pronto a fare irruzione nel presente per portare con sé orrore e morte, in una cornice che mescola arte figurativa ed esoterismo. Il plot guarda principalmente ai gotici nostrani di una volta: al centro di tutto un pittore convocato presso una sinistra dimora per il restauro di alcuni affreschi, fra funesti presagi e visioni notturne da incubo. Non mancano ovviamente gli affettuosi omaggi al genere e una certa ironia (la figura del custode della villa, testimone di strani fenomeni che non viene creduto poiché la sua mente è minata dalla follia); e fra i modelli ispiratori della sceneggiatura possiamo senz’altro annoverare M. R. James per la capacità sottile di evocare presenze spettrali e impalpabili e H. P. Lovecraft per le atmosfere putride e malsane. Fantasmi, allucinazioni, rumori notturni; e il protagonista che scivola sempre di più nella pazzia, mentre le barriere del tempo vengono infrante. Una terribile malattia che mina il corpo e la psiche avrà ragione di lui, com’era già avvenuto per i precedenti ospiti della villa; e naturalmente non può non tornare in mente quel classico letterario che è La maschera della morte rossa di E. A. Poe. Anche stavolta la pestilenza ha origini probabilmente naturali ma diventa strumento di un’imperscrutabile volontà superiore, sorta di flagello biblico destinato ad affrettare l’avvento dell’Apocalisse. Malattia del fisico e dell’anima, marciume interiore da cui nessuno è immune che affiora esternamente sotto forma di infezione; estinzione della materia e della speranza. Abilissimo nel costruire plot efficaci coi pochi mezzi a sua disposizione, Bianchini confeziona una ghost story inquietante e lontana dagli effettacci, il cui punto debole risiede forse in uno svolgimento un po’ statico anche se, dati gli intenti, contribuisce comunque a creare l’atmosfera giusta.
Corrado Artale

Focus on. Steven Seagal: PROGRAMMATO PER UCCIDERE


Tit. or.: Marked for Death. Usa 1990. Su dvd e blu-ray Fox.

C’era un tempo in cui il nostro Steven realizzava pellicole tostissime e pregevoli come Programmato per uccidere, in cui è in grandissima forma, duro e implacabile, una macchina di morte mossa soltanto dall’istinto della vendetta. Il film è un’originale miscela di poliziesco e thriller, con un’ambientazione innovativa e perfettamente funzionale (il mondo della mafia giamaicana), in cui si inseriscono alcuni elementi horror e soprannaturali (il voodoo e la santeria). Seagal è John Hatcher, detective della narcotici con un passato nelle forze speciali, che si trova a fronteggiare il dilagante traffico di stupefacenti gestito dalla rampante malavita africana. Quando gli spacciatori sparano alla sua nipotina, decide di intraprendere una personale e brutale crociata finalizzata alla distruzione del cartello giamaicano, guidato dal sanguinario Screwface. Lo aiutano Max, amico ed ex marine e una antropologa esperta di magia nera. La pellicola è suddivisa in due tronconi: la prima parte si svolge tra le strade di una metropoli statunitense e ha toni tipicamente hard boiled, densa di sparatorie e con una propensione per l’aspetto investigativo. La seconda parte è ambientata nella terra di Bob Marley, con l’eroe intento a estirpare il male alla radice. Anche questo segmento è un turbinio di sparatorie e combattimenti, potenziati da un’atmosfera esotica e al contempo opprimente.
Programmato per uccidere è ricco di momenti esaltanti: l’intrusione dei cattivoni in casa della sorella del poliziotto, l’irruzione nel covo dei trafficanti, lo scontro all’arma bianca con Screwface, i combattimenti con gli spacciatori che finiscono immancabilmente con ossa sonoramente spezzate e la fuga dalla villa di proprietà dei narcos, vero tripudio di proiettili e di corpi dilaniati. Ma il momento migliore è il prologo, ambientato in un bordello messicano che odora di corpi e sudore. Seagal si appresta a effettuare uno scambio di droga sotto copertura, ma viene scoperto. Le parole lasciano il posto ai fucili a pompa e non c’è pietà per nessuno, rimane solo istinto di sopravvivenza. I fatiscenti corridoi del lupanare diventano un letale tunnel dell’orrore, da cui è possibile uscire solo grazie ai proiettili. Un incipit perfetto che anticipa le qualità altamente adrenaliniche del film. La regia di Dwight H. Little è sorprendentemente accurata, in grado di esaltare i momenti action e di costruire una forte tensione nelle scene thriller. Il background horror dell’autore (aveva diretto Halloween 4 e Il fantasma dell’opera con Robert Englund) viene fuori nei toni dark e semihorror dati dal mondo della magia nera e si esplicita nella scena in cui sono contrapposti a distanza una santera e il malefico Screwface.
Da notare anche l’accorto utilizzo del montaggio, che raggiunge picchi degni di Michael Mann, come nella sequenza in cui i nostri eroi costruiscono e preparano le armi da usare nell’attacco alla fortezza nemica, costruita a ritmo della partitura rock composta da James Newton Howard. Un gran bel pezzo di cinema, che esalterà ogni amante dell'action. Seagal è spietato, credibilissimo sia quando impugna la sua Smith & Wesson che quando si esibisce in brutali mosse di aikido e, come suo solito, non smarrisce mai l’innata eleganza nei movimenti marziali. L’attore ancora una volta incarna un eroe "buono", puro nel cuore e portatore dei classici valori morali americani. Il detective John Hatcher è infatti l’incarnazione dei principi conservatori-patriottici tipici dell’era Bush (senior, ovviamente). Gli fa da spalla Keith David, grande caratterista con al suo attivo una sterminata filmografia nel campo del cinema di genere. Completano il cast Joanna Pacula, Tom Wright e Basil Wallace, il cui sguardo raggelante rende al meglio l’enigmaticità e la crudeltà di Screwface. Programmato per uccidere è un’opera di pregio, che gioca intelligentemente con vari generi, regalando un’ora e mezza di ottimo cinema. Da notare che in apertura fa una comparsata Danny Trejo, ex galeotto e volto tra i più veri e vissuti del cinema americano; lui e Seagal si ritroveranno vent’anni più tardi sul set di Machete di Robert Rodriguez, ma la star sarà Trejo e Seagal solo un comprimario di lusso. Impietose ironie del cinema.
Edoardo Favaron

Il trailer

Memorabilia. TEMPO DI GUERRA TEMPO D'AMORE


Flano del 1965 per questa commedia bellico-romatica. Cinque punti a favore e cinque contro la visione del film, per far capire cosa il pubblico debba aspettarsi da un film "sovversivo" e inadatto a spettatori tutti d'un pezzo.
A.V.