domenica 31 ottobre 2010

Incompresi. IL CIELO E' SEMPRE PIU' BLU


Italia 1996.

Cominciando con un'ovvietà, il titolo di questo film rievoca in modo diretto la famosa canzone di Rino Gaetano, a cui Grimaldi (ma sceneggiano altri due) si ricollega idealmente, come se il brano fosse lo spunto per trasporre qualcosa di simile su grande schermo. Nel senso che, come nella canzone di Gaetano l'artista elenca una serie di figure e di opzioni di vita, questo film dipinge un affresco sotto il cielo di Roma popolato da una miriade di personaggi. Il che significa un cast molto popoloso, con attori che stanno in scena poco, talora pochissimo. Viene in mente Il giorno più corto, film Titanus del 1963 che assemblava una caterva di nomi noti in apparizioni "speciali" (ma lì c'erano anche star straniere). La canzone di Rino Gaetano, tuttavia, si sente soltanto sui titoli di coda, mentre su quelli di testa c'è Una notte in Italia di Ivano Fossati, mentre un camera car notturno gira per Roma e in un ristorante si svolge una rapina.
Non è esattamente un film a episodi, piuttosto composto da situazioni, o microstorie, i cui fili vengono ripresi quando magari non ce lo si aspetta più, che possono risolversi in un paio di sequenze e che non hanno una conclusione quadrata. Spesso tranches de vie, anche se interpretate da attori consumati, altre volte eventi più straordinari. Qualche volta si sorride, per esempio con Bisio e Rocco Tanica, rispettivamente piazzista di musica e negoziante, che si distinguono con la loro personalità comica. Un Barbareschi ricettatore volutamente antipaticissimo è protagonista di un segmento per così dire "noir", ma il suo è uno di quei personaggi che si perdono nel nulla, abbandonato dal tassista Sergio Rubini. Margherita Buy è una vigilessa inflessibile, quasi sadica nell'appioppare multe. Qua e là, la presenza della morte: un ragazzino che uccide la mamma col martello, Alessandro Haber, stile "lucida follia", che fredda quelli che sembrano essere i suoi datori di lavoro. Sensuale Asia Argento, 17enne che ne ha già visti un sacco a colloquio con il cugino intimidito Roberto Citran. Enrico Lo Verso, postino che ama scrivere, gioca la carta della tenerezza. Monica Bellucci e Alessandro Baricco hanno una sola scena, in cui, come rileva il Mereghetti, lui le tira malamente una pizza. Carlo Croccolo, con occhialoni e capelli rossi ben pettinati, sembra Leone di Lernia. Ivano Marescotti si aggira, muto, inquietante, aprendo e chiudendo il film. Per citare qualche altro nome: Gigio Alberti, Antonio Catania, Iaia Forte, Lorenza Indovina, Lucrezia Lante della Rovere, Silvio Orlando (meccanico), Piero Natoli (muratore), Monica Scattini (barista), Giulio Scarpati, Francesca Neri. Compaiono anche i registi Giuseppe Piccioni, Daniele Luchetti e Salvatores. Andando a rileggere il cast su Imdb, chi scrive ha esclamato "ah sì" a certi nomi, "chi è?" ad altri e "ma dov'era?" ad altri ancora.
Se già ascoltando la pur bella canzone di Gaetano si può esclamare "sì, ma quindi?", cavare un senso dal film di Antonello Grimaldi che non sia il "succede questo ed anche quest'altro" e il divertimento di vedere chi comparirà sullo schermo, è dura, anche se gli va dato atto di non essere un grande quadro accomodante. La visione è liscia, ma lascia poco e sembra superfluo notare che con tutti questi bocconi di personaggi non si crea un'empatia, o un interesse vero per quel che viene raccontato, e per chi non è interessato al cinema italiano solitamente trattato in questa rubrica e/o è abituato a pietanze di cinema più forti può essere un film letale. C'è anche, per una manciata di secondi, Dario Argento, che seduto su una panchina dice ad un altro che in passato aveva timore all'idea che gli apparisse la Madonna. Incasso sui 690 milioni.
Alessio Vacchi

A domanda rispondo. BO SVENSON



Nel 1975 hai interpretato un ruolo di primo piano ne Il temerario di Gorge Roy HIll, film con due celebrità: Robert Redford e Susan Sarandon...
Sì, ero all’inizio della mia carriera e lavorare con attori di quel livello è stato importante per me…

Con I giorni roventi del poliziotto Buford, Punto di rottura e Rapina... mittente sconosciuto diventi definitivamente un protagonista del cinema action. Che ricordo hai di questi film? Mi sono divertito a girarli, ma rivedendoli ora, a distanza di anni, non li considero tra i miei favoriti.

Il tuo primo film italiano è stato Il figlio dello sceicco di Bruno Corbucci. Come sei stato contattato per la prima volta dai produttori italiani? Il mio arrivo in Italia è stato possibile grazie a Helen e Robbie Little, due amici che lavoravano spesso in coproduzioni con l’Italia. Mi hanno segnalato alla produzione e sono stato preso.

Che differenze c’erano tra l’Italia e gli Stati Uniti? Lavorare in Italia è molto più divertente. I rapporti con la troupe erano molto buoni e il lavoro diventava spesso divertimento.

Parlaci di Tomas Milian, protagonista del film… Tomas era una persona piacevolissima. Mi avevano parlato di lui come un uomo molto scontroso ma conoscendolo ho scoperto una brava persona. Inoltre Tomas è un ottimo attore, anche in questi ruoli più leggeri...

Che ricordi hai di Bruno Corrucci? Bruno era un brav’uomo, sempre sorridente e cordiale. Inoltre era anche un bravo regista, dotato di talento e di grande ironia.

In Ritratto di un killer hai lavorato con Jack Palance… Con Jack ho sempre avuto un buon rapporto. Mi sono trovato molto bene a lavorare con lui in questo thriller.

Quel maledetto treno blindato è uno dei tuoi film più celebri. Che ricordi hai di questo film? All’epoca non avrei mai creduto che sarebbe diventato un simile cult. Se avessi saputo che il film avrebbe avuto così tanto successo avrei preparato con più serietà il mio personaggio e avrei bevuto meno vino durante le riprese…

Parlaci di Enzo G. Castellari. Che rapporto hai avuto con questo maestro del cinema di genere? Enzo è una persona fantastica, siamo rimasti molto amici. Ed è anche un grande regista, uno dei migliori con cui io abbia mai lavorato, dotato di un grande talento per le scene d’azione.

Aveva un notevole senso del ritmo… Sì, Enzo ha fatto un ottimo lavoro. Ricordo che costruiva con grande cura tutte le scene d’azione, anche le più complesse. Lo considero un vero specialista del cinema d’azione.

E cosa ci racconti di Fred Williamson, tuo partner nel film? Non abbiamo legato molto. Devo dire che il nostro rapporto non è mai stato buono.

Che ricordi hai di Donald Pleasance, con cui hai lavorato in Le 7 città d’oro e Double Target? Era una persona molto educata e riservata. Ricordo che preparava i suoi ruoli in modo molto scrupoloso, definendo anche i minimi dettagli. Donald era un vero professionista, ma lo ricordo anche come un uomo turbato, molto spesso triste e insicuro di sé e della sua vita.

Parlaci della tua esperienza in Thunder e Thunder 2 e del regista e produttore Fabrizio De Angelis… Fabrizio era soprattutto un imprenditore molto intelligente, oltre ad essere una persona molto interessante. Come regista riusciva a dare un buon livello ai suoi film e come produttore si dimostrava sempre molto abile, con un’ottima conoscenza del mercato internazionale.

Che tipo era Mark Gregory, il protagonista del film? Mark Gregory era un bravo ragazzo, molto timido.

Hai anche preso parte a La sporca insegna del coraggio, war movie di Tonino Valerii… Che esperienza paradossale! Sembrava di essere al circo! Sul set regnava una totale confusione e le riprese venivano interrotte per giorni interi. È stata una lavorazione lunga e difficile. Mi sentivo profondamente a disagio per il povero Tonino, che doveva fronteggiare tantissime difficoltà e terribili circostanze.

Raccontaci qualcosa di Tides of War, film di guerra di Nello Rossati… Nello era un buon regista, dotato e umile, ma anche questo film era un circo. I produttori erano molto invadenti e volevano sempre comandare prevaricando il regista. Troppi capi e troppe opinioni differenti hanno rovinato l’atmosfera sul set.

Che cosa ti ricordi di Double Action e del regista Bruno Mattei? Bruno ha fatto un buon lavoro. Aveva un budget molto ridotto, pochi soldi a disposizione e abbiamo dovuto girare in condizioni difficili. Considerando i pochi mezzi, Mattei ha realizzato un buon film, divertente e con molto ritmo.

In che posti hai girato tutti questi film di guerra ambientati durante la guerra del Vietnam? Erano film girati in luoghi esotici simili al Vietnam. In particolare il film di Mattei è stato girato nelle Filippine e gli altri film nella Repubblica Dominicana.

Con Maniac Killer affronti un genere nuovo nella tua carriera, l’horror. Questo film tra l’altro era una curiosa produzione targata Eurociné, società francese specializzata in film a basso budget per il mercato dell’homevideo… Sì esatto. Ricordo che era una produzione un po’ improvvisata. C’era un'atmosfera troppo rilassata e anche l’impegno generale era scarso…

Quentin Tarantino è un grande fan dei tuoi film, in particolare quelli di produzione italiana. Infatti ti ha riservato un ruolo in Kill Bill e in Bastardi senza gloria. Come valuti questa riscoperta dei tuoi film? Io sono molto grato a Quentin. Lui è uno dei più grandi talenti del cinema contemporaneo e uno dei più grandi registi viventi. Ma è soprattutto una favolosa persona, un ragazzo pieno di entusiasmo e di intelligenza. Inoltre è anche un grande conoscitore di cinema e il fatto che apprezzi cosi tanto il mio lavoro è un motivo di grande onore. Così come vedere quanti fans in tutto il mondo considerino queste pellicole dei veri capolavori di culto.

Un'ultima domanda. Nel 2009 hai recitato in Icarus, l’ultimo film di e con Dolph Lundgren. Come ti sei trovato a lavorare con lui? Molto bene. Dolph è un professionista molto preparato: come attore ha grande carisma e come regista ha un grande talento.

Intervista realizzata da Edoardo Favaron, ottobre 2010. Immagine: cover del dvd regione 1 della serie tv Walking Tall aka Uno sceriffo contro tutti.

Memorabilia. LA CITTA' DEI MOSTRI e IL MARCHIO DI DRACULA

Come pegno a questa giornata di Halloween, aggiornamento con flani horror di qualche decennio fa. Uno dei classici dei 60s diretti da Corman-ispirati a Poe-con Vincent Price, definito senza falsa modestia "il più perfetto film dell'orrore", e il quinto film vampiresco della Hammer, con l'altro signore del genere Cristopher Lee nella parte del vampiro con molta sete.
A.V.

domenica 24 ottobre 2010

Incompresi. Comici allo sbaraglio. BLEK GIEK


Su dvd Eagle (fuori catalogo).
Warning: il seguente pezzo contiene anticipazioni sulla trama e sul finale che possono compromettere la visione a chi non conosce il film ed intende vederlo.

Scellone (Biagio Izzo) è un boss della droga, di cui traffica un tipo particolarissimo: il "blek giek", sostanza nera che ha la capacità di rendere chi la assume morto apparente. Bisognoso di un ricambio di valvole cardiache, si affida al suo dottore di fiducia (Greg), ma l'operazione non verrà effettuata: prima il dottore fa fuori il chirurgo designato perchè è il nuovo amante della sua ex fiamma, poi, nel tentativo di uccidere con un complice l'odiato malavitoso, provoca una piccola strage che lascia vivo, ma assai ferito, il solo Scellone. A Gigino (Lillo), che si risveglia finalmente dalla sua morte apparente, Scellone chiede di andare a cercare aiuto, e questi nel suo peregrinaggio si imbatte in Ragno, ragazzo in crisi d'astinenza, amico del boss e smanioso di provare il blek giek al punto da provocare casini che susciteranno l'ira di Walter, padre di famiglia-spacciatore. Ragno, l'amico Albino e Gigino riusciranno infine a spararsi nel naso la bramata droga.
Ambientato nel napoletano, prodotto da Cattleya, Blek giek è una commedia sopra le righe, un po' surreale e abbastanza pulp, dalla breve durata (circa 75'). E' l'unica apparizione su grande schermo, insieme, di Lillo e Greg, al secolo Pasquale Petrolo e Claudio Gregori, comici, musicisti, teatranti, mattatori della trasmissione di Radio 2 610 (Sei uno zero): anche se i due condividono alcune scene, di fatto non interagiscono mai, grazie allo stato di morte apparente del personaggio di Lillo, che si risveglia quando il personaggio del collega ha lasciato le penne. Nel 2001, anno del film, Biagio Izzo è un emergente: è già stato nel cast dei primi due film di Vincenzo Salemme ed interpreta il suo secondo cinepanettone, Merry Christmas, nelle sale gli stessi giorni di Blek giek, anch'esso proposto poco prima di Natale e che ne esce prevedibilmente con le ossa rotte (302mila euro di incasso*). Qualche passaggio tv notturno difficilmente avrà reso noto questo film anche ai fan di Izzo, che qui mostra da subito, anche stando fermo, il suo stile comico spudoratamente estroverso un po' antipatico, ma che tutto sommato è quasi bravino e il fatto che sia un film corale, anche se costellato di morti, aiuta. La violenza pulp fumettistica è concentrata soprattutto nelle sequenze ambientate nello studio medico, dalla grottesca sparatoria (in cui le armi emettono dei suoni strani) in poi, passando per morti che tornano o sembrano tornare, per concludere con la ridicola fine che per disattenzione fa Scellone.
Il film si lascia vedere divertendo moderatamente. Qualche colpo, a riguardo, lo mette a segno soprattutto Lillo, che stordito dalla droga cammina, comunica e si stupisce di ciò che vede e sente in modo attutito, ad una velocità tutta sua. Anche i siparietti-flash in coda sui risultati del blek giek assunto dai pesci dell'oceano e l'apertura con il tossico Albino che risorge al suo funerale chiedendo ai presenti i soldi per la "roba". Si coglie un'ironia sulla presunta bellezza del drogarsi, a vedere questi personaggi che non vedono l'ora di restare in morte apparente per giorni e ne fanno il motore del loro agire, come fosse uno sballo. Enrico Caria - regista tra l'altro di un altro incompreso ideale, Carogne con Alessandro Haber e più recentemente del documentario Vedi Napoli e poi muori - il film se lo è, oltre che diretto, pure scritto e già che c'era, ha sentito anche il bisogno di esprimersi intepretando una canzone in napoletano, sui titoli di coda. Nel ruolo transitorio della ragazza "contesa" nella prima parte, la bella brasiliana Zuleika dos Santos, già vista ne Il barbiere di Rio con Abatantuono.
Alessio Vacchi

* fonte: http://www.cinemotoreonline.net.

Incompresi. DENTRO LA CITTA'


Italia 2004. Su dvd 01.

Il cinema italiano di genere non è morto. Nonostante lo strapotere autoriale e televisivo, anche nel nostro paese vengono ancora prodotti (molto sporadicamente, purtroppo) dei film meritevoli di attenzione che sanno divertire e al contempo offrire uno spaccato realistico della società. Uno di questi è Dentro la città, riuscito poliziesco ambientato in un commissariato della periferia romana. La pellicola, diretta da Andrea Costantini, mostra uno spaccato impietoso della ingrata vita quotidiana di un gruppo di poliziotti, costretti a confrontarsi con la piccola criminalità, le problematiche legate alla crescente immigrazione, l’indifferenza dei superiori e dei vertici istituzionali e la difficile integrazione nel mondo esterno al commissariato. Questi poliziotti sono infatti asociali, vincolati e limitati a relazionarsi con i loro simili, senza avere spazio per una famiglia e una vita normale. Il carattere quasi episodico del film è dovuto alla scelta degli autori di seguire diverse operazioni: l’arresto di due scippatori, la caccia ai pusher, lo smantellamento di un traffico di auto rubate. L’azione e il coté investigativo sono legati quindi a episodi di microcriminalità, vicini a noi e alla realtà lavorativa delle forze dell’ordine, lontani dalle mastodontiche operazioni interforze tipiche di Hollywood. I personaggi sono caratterizzati da una insolita profondità caratteriale e risultano credibili, con le loro tante insicurezze, con una cronica carenza di sentimenti e di rapporti sinceri, condannati a una solitudine interiore che riflette la desolazione della periferia metropolitana. Il film non sacrifica però l’intento spettacolare e descrive dettagliatamente le procedure investigative, le dinamiche interne a un commissariato (il Tiburtino), i rapporti di potere e i legami con i media. C’è anche spazio per una storia d’amore, con l’unica poliziotta del gruppo (Elisabetta Cavallotti) divisa tra la totale dedizione al lavoro e la tenerezza trovata tra le braccia del collega più giovane (Edoardo Leo).
Dentro la città è girato con uno stile quasi documentaristico, lontano dalla piattezza televisiva tipica delle tante fiction su carabinieri, finanzieri e simili. La steadycam si muove frenetica, attaccata ai corpi e ai volti dei protagonisti, la fotografia di Daniele Massaccesi (figlio di Aristide) illumina con discrezione il paesaggio e gli scorci romani e la colonna sonora concorre ad aumentare il ritmo di un montaggio frenetico e funzionale a rendere credibili agli eventi narrati. Non mancano inseguimenti, appostamenti e scontri a fuoco. Tra questi è notevole la sequenza di irruzione nel covo di una banda di spacciatori: qui Costantini riesce a creare una forte tensione, creando un’atmosfera thriller argentiana carica di suspense, terminando la sequenza con uno scontro a fuoco brutale e ben coreografato. Anche gli interpreti sono credibili e ben calati nei rispettivi ruoli. Giorgio Colangeli è il commissario capo Chessari, poliziotto della vecchia scuola, duro e arrivista, ma stanco di essere vincolato nelle proprie decisioni da superiori troppo lontani dalla realtà della strada. Barba sfatta, viso sciupato dal poco sonno e dalle troppe responsabilità, Colangeli si rivela perfetto in questo ruolo introspettivo. Luca Ward si conferma una delle facce più cinematografiche del panorama italiano, con un viso perfetto per i personaggi che richiedono una preponderante fisicità. Il suo poliziotto è la pecora nera del gruppo, cocainomane e testa calda, sempre in cerca della rissa e di guai. Un epigono moderno del Monnezza (nello stile trucido e coatto) e di Luc Merenda (nel dinamismo con cui affronta le situazioni d’azione). Convincente, Ward è un ottimo contraltare al giovane e pulito Edoardo Leo, qui al suo primo ruolo da protagonista. Anche Rolando Ravello, attore ingiustamente sottostimato (memorabile la sua performance da serial killer in Almost Blue di Infascelli), conferma le sue qualità e riesce a dare spessore e credibilità a un personaggio altrimenti troppo stereotipato. Dentro la città porta una ventata di freschezza nell’arido panorama cinematografico italiano e riesce, nonostante i limiti di budget e la ridottissima distribuzione, a intrattenere rivaleggiando con tanti prodotti medi hollywoodiani. Peccato la ridottissima distribuzione, ma ci auguriamo quindi che possa aprire la strada (insieme a opere di genere come Sbirri, Il solitario...) a un nuovo trend produttivo, mirato a un entertainment intelligente e di qualità. Il cinema di italiano genere non è morto. Forse.
Edoardo Favaron

Memorabilia. 11.12.1980



Da La stampa, la programmazione di un giorno di trent'anni fa nei cinema torinesi. Superfluo notare come la maggior parte dei cinema non esista più, ma il punto è che non esisterà più di lì a pochi anni. Ma qui il numero di sale è ancora tale da giustificare la divisione in zone. E quelle che propongono proseguimenti e seconde visioni sono ancora più numerose delle sale di prima visione. Anche tra queste ultime, sono incluse e non ancora raggruppate a parte le sale che propongono film spinti o proprio hard, qui spesso denominati "commedia erotica": siamo nei primi anni di sdoganamento in sala di questo tipo di cinema e nei titoli ricorre più volte la parola "porno". C'è però anche The World of Joanna del maestro del genere Gerard Damiano. Il cinema italiano propone quasi soltanto commedie, alcune delle quali diventate dei classici dei passaggi tv: c'è Fantozzi contro tutti, fa specie vedere Banfi e Vitali in una sala che oggi è quasi d'essai, ma c'è anche Nichetti. Tra i film tricolori che fanno eccezione, Vacanze per un massacro di Di Leo e Poliziotto solitudine e rabbia. Due sale di seconda visione propongono Urban Cowboy, film con Travolta oggi dimenticato e "a grande richiesta", a dieci anni di distanza, Soldato blu. Si fa notare l'America di via Frejus, poi convertitosi in discoteca dal target maturo, che propone film in edizione orginale "con preascolto su cassetta", iniziativa quantomeno curiosa.
A.V.

domenica 17 ottobre 2010

The book runner. LA PICCOLA CINETECA DEGLI ORRORI


€ 24,50.

Come chi legge questo blog dovrebbe sapere, la storia del cinema è fatta anche da e costellata di operine minori, oscure, non belle magari, ma non per questo non degne di considerazione. Il cinema dei generi e sottogeneri, quello exploitativo, quello che fa dell'eccesso la propria forza, almeno nelle intenzioni. Lo sanno sicuramente anche i lettori di Nocturno, rivista che, da fanzine, si è fatta strada fino alle edicole diventando punto di riferimento per chi segue il cinema di genere e tra le responsabili della sua rivalutazione. Manlio Gomarasca e Davide Pulici, le capocce principali che stanno dietro il mensile, pubblicano per la Bur questo tomo che scheda centinaia di film appartenenti all'universo cinematografico che si diceva e che gli autori definiscono "cinema bis". Non è un dizionario, perchè sarebbe operazione impossibile, piuttosto un'antologia. Ci si tornerà a breve, ora un po' di pars costruens.
In un libro di cinema deve avere la sua parte anche quel che si vede, oltre che quel che si legge, sostengono gli autori. E l'apparato iconografico è uno degli aspetti migliori dell'operazione. Oltre alle foto (spesso con nudità femminili), ci si riferisce alle riproduzioni di manifesti da varie parti del mondo (che Nocturno da qualche mese propone in schede staccabili), le quali proseguono fin durante l'indice. A sorpresa giungono graditissime, ad un certo punto del libro, quattro pagine riempite di piccoli flani, deliziosi reperti cartacei del tempo che fu, con le loro ingenuità, frasi roboanti e talora persino errate.
Non si chiede la completezza ad un libro che non vuole averla ed è noioso stare a cavillare su cosa c'è e non c'è. Ma in questo ensemble di titoli eterogenei, accomunati dalla loro appartenenza al "bis", la scelta dei titoli qua e là lascia perplessi. Sfugge, ad esempio, il motivo dell'inserimento di alcuni film americani (Basic Instinct 2, qualche horror recente), di fronte ai quali si pensa che forse ci sarebbe stato altro di più idoneo. Sembra che gli autori abbiano cercato di ficcarci dentro il più possibile, in modo non sempre centratissimo; va detto comunque che il "caos" è consapevole e dichiarato. I lettori abituali di Nocturno trovano nel libro tante cose che già sanno, ad esempio nei piccoli box riguardo curiosità o spiegazioni di termini e nelle pagine dedicate a decamerotico, slasher, "torture porn", o che hanno già letto nei dossier della rivista, come quello sulla Troma o la fantascienza erotica, per citarne due. Per loro, per chi già suole leggere di cinema "bis" e ne ha almeno un'infarinatura, non è un libro irrinunciabile, soprattutto per il suo riutilizzo di materiali: il fatto che provengano da altrove si intuisce durante la lettura, il confluire nel libro di pezzi eterogenei. In un certo senso è un'antologia sì, ma di anni di Nocturno, un condensato della rivista. Il target più adatto per questo libro sembra essere quello di un curioso di cinema giovane e non schizzinoso riguardo il suo campo di visioni e di scoperte, disposto a lasciarsi trascinare nel fascino perverso della serie B. La piccola cineteca degli orrori è, in definitiva, un tentativo piacevole da sfogliare, stampato su carta di qualità (e non economico), di divulgazione, di introduzione, di sirena allettante verso un "altro" cinema.
Alessio Vacchi

domenica 10 ottobre 2010

Focus on. Steven Seagal: DURO DA UCCIDERE


Usa 1990. Su dvd Warner.

All’inizio della sua carriera, Steven Seagal non sbagliava un colpo, interpretando delle pellicole ben realizzate, curate nei dettagli e ricche di sequenze d’azione. Duro da uccidere, girato lo stesso anno di Programmato per uccidere, conferma questo trend inaugurato l’anno precedente con Nico. L’intreccio è molto basico e ci presenta il detective Mason Storm, tra i pochi poliziotti puliti in un dipartimento corrotto e al soldo della malavita. Venuto in possesso di prove scottanti in grado di incastrare un potente senatore, Storm è vittima di alcuni sicari, che gli sterminano la famiglia e lo riducono in coma irreversibile. Ma Seagal è indistruttibile e dopo sette lunghi anni torna cosciente. Il passato però non tarda a ritornare e i poliziotti corrotti tenteranno in tutti i modi di uccidere Storm, costringendolo a perpetrare una sanguinosa vendetta.
Duro da uccidere è un poliziesco teso ed essenziale, tutto focalizzato sull’azione, vero fulcro della vicenda. Seagal è come sempre monoespressivo, ma nelle sequenze di combattimento si conferma brutale e preciso, anche grazie alle tecniche dell’aikido. Ossa e colli dei nemici si spezzano per i colpi dell’eroe, in un tripudio di sangue e fratture scomposte. Sono numerose le sequenze memorabili, con l’attore impegnato a sgominare bande di teppisti e decine di agenti corrotti a mani nude o con l’aiuto di stecche da biliardo. La scena ambientata in ospedale, in cui un sicario tenta di eliminare Storm costretto su una barella e impossibilitato a deambulare è un concentrato doc di medical thriller e di adrenalina action di alto livello e la resa dei conti finale, con Seagal intento a sterminare i suoi nemici è impreziosita da grandiosi scontri a fuoco e da una sottile ironia (si veda la falsa evirazione dell’impaurito senatore). Sono anche percepibili echi del nostro poliziottesco, nella disillusione con cui è presentata la corruzione delle istituzioni e nella sequenza in cui quattro killer entrano in casa di Storm giustiziando a sangue freddo la moglie e lo stesso poliziotto. Queste figure senza volto, con fucili a pompa e passamontagna, sembrano infatti appena usciti da un film di Umberto Lenzi o di Enzo G. Castellari e a livello iconografico sono molto somiglianti ai malviventi de Il cittadino si ribella.
È anche curioso notare che per la prima volta un eroe seagaliano si innamora, mostrando un lato sentimentale inaspettato. La love story con l’infermierina interpretata da Kelly Le Brock (all’epoca moglie dell’attore) è eccessivamente mielosa e poco credibile, ma fa sorridere vedere l’impassibile campione di aikido lasciarsi andare in effusioni e smancerie degne di un imberbe adolescente. Nel complesso il film risulta comunque pregevole e divertente, anche grazie al regista Bruce Malmuth, che serve al meglio la sua star, regalandogli tanti primi piani e uno stile di ripresa dinamico e coinvolgente. Inoltre è d’obbligo una menzione speciale per la colonna sonora di David Michael Frank, con una partitura rock orientaleggiante tipicamente anni Ottanta, perfetta per dare all’atmosfera un tocco in più. Tra i comprimari si può riconoscere un giovane Branscombe Richmond, nativo americano diventato celebre come compare di Lorenzo Lamas in Renegade. Al centro di Duro da uccidere c’è la vendetta, di cui Seagal diventa simbolo imprescindibile. Molti altri suoi film saranno centrati sul desiderio di vendetta dell’eroe, spinto a combattere contro il male per ripulire le strade dalla peggior feccia. Da questo momento il crimine è avvertito: Steven Seagal è arrivato in città...
Edoardo Favaron

domenica 3 ottobre 2010

Focus on. Steven Seagal: NICO


Usa 1988. Su dvd Warner.

Foto in bianconero che scorrono in sequenza su sfondo scuro. Un neonato, un bimbo, un ragazzo in età adolescenziale. Capelli neri, volto ovale, occhi grandi e sguardo profondo. Sono foto di famiglia, che testimoniano attimi di vita vera e vissuta. Una voce fuori campo le accompagna narrando di un ragazzo di origini siciliane, cresciuto nell’ambiente degli immigrati italoamericani e folgorato dalle arti marziali. Le foto diventano immagini in movimento, i colori si sostituiscono al grigiore dei vecchi ricordi. Il giovane picciotto si è trasformato in moderno sensei, primo istruttore occidentale di aikido nel chiuso Giappone. L’inizio di Nico è l’inizio di una carriera. Un incipit che crea una leggenda. La storia di Nico Toscani è la storia del suo interprete, Steven Seagal. Finzione e realtà si intrecciano e concorrono a definire il background biografico di un personaggio che è proiezione narrativa dell’attore, qui impegnato anche in veste di produttore e sceneggiatore. A parte una breve parentesi durante la "sporca guerra" vietnamita, la pellicola è ambientata nelle strade di Los Angeles, tra quartieri etnici, ghetti e grattacieli.
Nico è un poliziesco vero, che vive della strada e nella strada. Un film perfetto per esaltare la fisicità imponente (1,93 m di altezza) e la grinta aggraziata ma animalesca di Seagal. Il tenente Nicola Toscani è infatti un idealista, un detective senza macchia sempre pronto all’azione e a proteggere i più deboli e le minoranze. Conducendo un’indagine su alcuni narcos colombiani, scopre che la corruzione dilaga anche nelle alte sfere governative e che i servizi segreti appoggiano illegalmente l’importazione della polvere bianca in territorio americano. Nonostante l’ostruzionismo di capi e colleghi individua un’unica strada per la giustizia: agire da solo, facendo ricorso alla sua abilità nelle arti marziali e a un profondo coraggio.
Diretto da Andrew Davis, il film ha un punto di forza e d’innovazione nello stile marziale presentato: l’aikido. Seagal, prima di diventare attore, era infatti stato maestro di questa particolare disciplina (anche come istruttore personale di Sean Connery) e porta sullo schermo tecniche e movenze tipiche di quest’arte giapponese. I colpi inferti ai nemici risultano brutali ma al contempo aggraziati e riescono a unire agilità e forza devastante. I combattimenti corpo a corpo sono numerosi, il vero fulcro della pellicola: l’abilità di Seagal viene esaltata e non ne fa rimpiangere la recitazione monoespressiva e limitata. Oltre all’aikido, Nico assicura anche una massiccia dose di sparatorie e inseguimenti, egregiamente diretti e coreografati. Tra questi sono notevoli lo scontro tra Seagal e cinque malavitosi che culmina con la distruzione di un piccolo supermercato indiano e la scena di tortura finale, in cui il detective Toscani mostra tutta la sua resistenza al dolore e la sua brutalità, frantumando ossa e distribuendo proiettili a grosso calibro. La regia di Davis è funzionale all’azione e riesce a dare il giusto dinamismo agli stunt, senza tralasciare i momenti di introspezione (non moltissimi in verità). La colonna sonora dà ritmo alle vicende, mixando strumenti sintetici a sonorità tipicamente orientali. L’unico difetto è la sceneggiatura, troppo schematica, ma questa carenza viene ampiamente compensata dalla forte dose di adrenalina. È inoltre da notare l’audacia dell’inquadratura finale, un piano fisso sul Campidoglio, mostrato come simbolo di corruzione e ingiustizia.
Tra gli interpreti principali fa piacere ritrovare Henry Silva e Pam Grier, due volti caratteristici del cinema di serie b, rispettivamente nei ruoli del perfido Zagon e della poliziotta Jackson. Silva, ad anni di distanza dai fasti del poliziottesco, presta il suo viso marmoreo a un personaggio stereotipato, rivelandosi però una credibile nemesi del protagonista. Nel ruolo della moglie del detective Toscani, una Sharon Stone intenta a muovere i primi passi nel cinema degli studios. Seagal e Davis torneranno a lavorare insieme nel 1992 con Trappola in alto mare, altro grande successo al box office. Nico è un’opera compiuta, un action urbano di quelli a base di arti marziali e super poliziotti e lancia la carriera di Steven Seagal, promuovendolo subito al rango di action star. Un eroe atipico, non bellissimo né particolarmente atletico, ma dotato di grande cuore e capace di sconfiggere il male con la dirompente forza della violenza.
Edoardo Favaron

Memorabilia. HEIDI TORNA TRA I MONTI


Bei tempi per i bambini, gli anni 70: nelle sale, più numerose di oggi, potevano fruire di una programmazione che comprendeva lungometraggi Disney riproposti, altri con i personaggi Warner Bros, o giapponesi. Come questo film, il cui titolo ambiguo può suonare come un invito, con la beniamina montanara. Il flano, fra virgolette che si aprono e non si chiudono, ci spiega come il film sia un sequel (il regista è lo stesso) ed è preciso nel comunicare cosa vedremo, anche se il leggerlo fa sorgere spontaneo uno "e stica...?".
A.V.