domenica 30 maggio 2010

Tra pagina e schermo. SENZA UN ATTIMO DI TREGUA


Tit. or. Point Blank. Usa 1967. Su dvd Warner (regione 1).

Uscito di galera, Parker si mette sulle tracce dell’ex-moglie e di un complice che lo hanno tradito. Non si fermnerà di fronte a nulla pur di raggiungere il suo obiettivo, inimicandosi perfino l’Organizzazione…
Fra gli anti-eroi partoriti dalla crime-fiction del ventesimo secolo uno dei più longevi e interessanti resta sicuramente Parker, il professionista della rapina. Creato dal giallista Donald Westlake, che firmava i romanzi di questa serie noir con lo pseudonimo Richard Stark, Parker è stato portato più volte sullo schermo. Questo film di John Boorman è tratto dal primo romanzo del ciclo, The Hunter (uscito da noi col titolo Anonima carogne); e aldilà degli indunbbi meriti artisti, è interessante notare come il Parker di Boorman sia “altro” da quello di Westlake. Sulla carta il Parker di The Hunter è incattivito e smanioso di vendetta, un criminale con un codice d’onore ma trasformato in una belva sanguinaria dopo il tradimento subìto dalla moglie e da un complice che ne era diventato l’amante e la detenzione; premessa per quello che sarà il percorso evolutivo nei romanzi successivi, con il nostro (anti)eroe che pian piano andrà acquistando una maggiore freddezza, risaltando per la sua professionalità e capacità non solo di rimuovere gli ostacoli sul proprio cammino ma anche di accettare l’eventualità della sconfitta. Un vero “duro”, insomma; uno che sa di non avere niente da perdere.
Diverso è il Parker voluto da Boorman; Lee Marvin impersona un fuggiasco, un uomo stanco e amareggiato che dopo l’iniziale molla della vendetta realizza poco a poco che il codice d’onore fra ladri cui si è sempre attenuto non esiste più… o forse non è mai esistito. Nel suo ambiente non ci si può fidare di nessuno; e perfino i gangsters dal grilletto facile si rivelano più affidabili dei delinquenti in doppio petto che li manovrano per poi sbarazzarsene quando non servono più. Parker ha imparato sulla propria pelle questa lezione; e non ci sta a trasformarsi in un burattino. Andrà per la sua strada, sentiremo ancora parlare di lui; ha perso moglie, amici, rinunciando perfino al denaro che gli spettava. Ma, proprio come il suo alter ego letterario, non si è rammollito; la sua fuga non è vigliaccheria, è dettata dal puro istinto animale che gli suggerisce di non fidarsi. Sopravvivere è dura, nella giungla d’asfalto; Parker due o tre trucchi per eccellere in quest’arte è ancora in grado di insegnarli.
Corrado Artale

domenica 16 maggio 2010

Incompresi. DELITTO SUL PO


Italia 2001.

Di Antonio Rezza avevamo già recensito Escoriandoli, il suo primo lungometraggio. Qualche anno dopo ci ha riprovato, per la seconda e finora ultima volta, con questo Delitto sul Po, codiretto con la sodale Flavia Mastrella. Si tratta di un film più piccolo, low budget e misconosciuto, prodotto da Gianluca Arcopinto con la sua defunta e coraggiosa casa Pablo.
In poco più di 70 minuti, il film mette in scena qualcosa che somiglia ad un poliziesco, ma all'insegna dello straniamento e del nonsense. Il commissario impersonato da Rezza, vestito in trench, emerge dalle acque per indagare su quanto vediamo accadere: tre tizi - tra cui l'altro sodale di Rezza Armando Novara ed Elisabetta Sgarbi, ringraziata sui titoli di coda per aver fatto conoscere l'ambientazione - ne accoppano un altro. Rezza pedina, diciamo così, i sospetti, mentre la macchina da presa continua a tornare sul luogo del delitto. Poi li pesca, inevitabilmente: nelle sue parole, "le indagini sono basate sulla visibilità dei sospettati" e "c'erano solo loro tre: chi cazzo dovevo arrestare!?". Gli assassini continuano ad essere sbattuti tra la cella (vedi dopo) e una sala dove vengono interrogati con mimica brutalità, in catene. Un giornalista impiccione viene pure arrestato brevemente e nell'ultima parte le sorprese non mancano: uno dei tre si suicida, un altro evade e vede la Madonna francese (sic). Purtroppo la vede anche il commissario, che ne rimane scioccato. Gli evasi, che ora sono due, ottengono però il fatto loro da parte di... bah, raccontarlo a parole è stucchevole e non rende.
Il tutto è girato in un formato panoramico accentuato da una regia a base di inquadrature con la macchina da presa piegata da un lato, primi piani o riprese dal basso. Le ambientazioni sono limitate, la principale è la riva del delta del Po, in cui avviene il misfatto, in cui l'ispettore continua a muoversi e che funge anche da carcere: una grata di ferro, ficcata nella terra all'occorrenza. Poi c'è il commissariato, una stanza in cui lui entra ed esce maltrattando una donna in divisa ed un uomo, il capitano Harris, a cui sono riservate alcune sequenze in cui si presenta con una frase registrata in inglese, un'introduzione allo Shenker method (sic). Il suono è ostentatamente aggiunto in postproduzione, come accade in molti corti di Rezza. Lui doppia alcuni altri personaggi (che dicono poco), dal canto suo il morto emette una specie di belato e l'assistente del commissario "ruggisce". Ma soprattutto, il film è diviso da alcuni secondi di schermo nero in microsequenze della durata di una trentina di secondi ciascuna, perchè inizialmente concepito in queste pillole destinate alla trasmissione televisiva.
Insomma, al confronto Escoriandoli è un film commerciale. Qui Rezza e Mastrella, oltre a parodiare a loro modo un genere (il commissario tra l'altro riceve telefonate preoccupate da superiori vari), si spingono di più dentro uno sperimentalismo che tocca anche la forma cinematografica e il risultato può estenuare. Alla lunga l'impressione di cazzeggio e di incartamento si fa strada (consapevole, senza dubbio: il commissario stesso esprime il dubbio che il pubblico possa stancarsi!). Ci sono cose geniali (il giornalista ciccione e il suo modo di esprimersi, l'"interpretazione" dei rapporti sessuali), Rezza si ritaglia spazi in cui piazza scenette e monologhi lampo dei suoi, ma l'impostazione del tutto, quasi autosabotatoria, certo non va incontro allo spettatore. Se Rezza piace, qualche sorriso è assicurato, ma non è il lavoro ideale per avvicinarvisi. Sotto, i primi minuti del film.
A.V.

domenica 9 maggio 2010

Incompresi. DE GENERAZIONE



Il film a episodi, vecchia abitudine del nostro cinema popolare, negli anni Novanta è ancora praticato qualche volta: nel 1994, anno di
L'unico paese al mondo, vede la luce pure De generazione, lungometraggio che vede uniti undici giovani registi esordienti in shorts fortemente tendenti verso l'horror. Dopo il premio del pubblico al Mystfest, la distribuzione del film è stata limitata e De generazione è poi comparso in vhs (solo a noleggio) e sulle reti a pagamento. Un film quindi un po' rimosso, che però visto oggi si rivela un tassello interessante nelle carriere di alcuni personaggi e un'operazione con delle carte da giocare, a dispetto del severo giudizio Mereghettiano, che lo liquida come un Adrenaline all'italiana tra Sam Raimi, Avanzi (Guzzanti e Pierfrancesco Loche tra gli attori) e il videoclip.
Dopo una didascalia autoironica, che definisce il film già una pietra miliare, si parte con una sorta di dichiarazione d'intenti: Arrivano i nostri (di Giorgio Bellocchio) vede un agitato Alessandro Haber parlare al telefono con Gillo Pontecorvo (che non vediamo), quando nel suo ufficio irrompono dei giovani zombies (tra essi, i Manetti bros.) che lo costringono alla fuga e a tentare di difendersi con un David di Donatello. Seguono proprio i Manetti col loro "Consegna a domicilio": horror commedia con un giovane alle prese con un corpulento uomo che vuole assolutamente consegnargli un mobile richiesto (a sua insaputa) dalla compagna. Volenteroso e più che sufficiente pure il successivo Just another vampire story (di Andrea Maulà), che mette in gioco il vampirismo venandolo di omosessualità in salsa dandy: in un locale gotico, un tizio ne abborda un altro, il quale cerca di convincerlo di essere un vampiro. Colpo di scena finale.
La tv fa male ai bambini? (di Alberto Taraglio): una bambina, lasciata sola dai genitori a cena con amici, vede animarsi il tv di casa, che si muove e dentro cui uno speaker sembra avercela proprio con lei. Da brividi questo elettrodomestico minaccioso e fa sorridere l'ironia verso l'atteggiamento degli adulti nei confronti del mezzo. In Vuoto a rendere, di Alex Infascelli, c'è ancora Haber nei panni dell'impiegato di un'azienda dalla situazione tesa e precaria. Una volta tornato a casa lo attende una tristezza analoga e un'estrazione di numeri in tv molto particolare. Episodio sicuramente tra i migliori, che traccia in due sequenze un microcosmo alternativo appiccicoso, con ottime atmosfere e un finale a dir poco tranchante. Ruolino muto per Frankie Hi-Nrg.
Prospettive di Asia Argento (costumi della sorella Fiore, aiuti i Manetti) è l'episodio più breve ed il meno afferrabile, molto onirico. Alzo le mani e mi affido alla definizione di cinematografo.it: "un balordo volo panoramico psicoanalitico con un ombrellone sollevato dal vento". Catene (di Antonio Antonelli) vede protagonista Corrado Guzzanti in una delle rarissime sortite al cinema. In una compagnia di amici maschi, alcuni vengono letteralmente ridotti con la catena al collo dalle loro donne. Lui spera di scamparla e conosce una fanciulla che sembra diversa... Palese metafora dell'amicizia maschile incrinabile dalle donne e della ginefobia, carino a patto di non prenderlo alla lettera. In India 21 (di Andrea Prandstraller), un taxista notturno romano ha a bordo un cliente "invisibile": a bordo c'è una borsa e una voce maschile chiede di essere portata a destinazione. L'autista rischia di impazzire, ma il giorno dopo tutto sarà chiaro (...quasi). Finalmente insieme (di Eleonora Fiorini), l'episodio più forte ed efficacemente horror, vede una coppia alle prese coi lavori dentro la nuova casa, ma i due sono vittime di incubi tali da farli agire nella realtà scagliandosi drammaticamente l'uno contro l'altro. Squeak! (di Alessandro Valori), con Asia Argento e le musiche di Federico Zampaglione (insieme a Daniel Bacalov) è invece uno dei segmenti più deboli, in cui la cinefilia esibita e l'autoironia non bastano a convincere. Un gruppetto di scalcagnati squattusi rapisce un tizio sfortunato per girarci uno snuff-movie, ma ci si metterà di mezzo anche un'altra banda che usa le arti marziali. Sui titoli di coda, "Urna" di Elio e le Storie Tese.
Pur cercando sempre di trarre il possibile da ambientazioni ed atmosfere, i risultati sono discontinui, ma con almeno quattro centri su dieci... pollice medio. Paolo Bellizzomi, su cui gli autori si sono divertiti a stimolare domande sui titoli e sulla locandina (vedi sopra), è un attore che compare in ognuno degli episodi.

A.V.

domenica 2 maggio 2010

Focus on. Chuck Norris: SIDEKICKS


Usa 1992. Di Aaron Norris. Su dvd in Francia (4:3, fuori catalogo).

Chuck e i ragazzini. Anche nel suo film precedente, Omicidio incrociato, ve n'era uno con cui stringeva amicizia. Qui un ragazzo è protagonista, e Norris ritorna ad avere un ruolo non di primo piano, come negli anni della "gavetta", ma carico dell'esperienza sui set. L'attore interpreta infatti sè stesso. Barry (Jonathan Brandis, scomparso a 27 anni) è uno studente asmatico grande fan dell'attore, su cui concentra tutta la sua abbondante attività di sognatore anche ad occhi aperti. Si immagina continuamente situazioni in cui combatte a fianco di Chuck. Ma la realtà a cui viene sempre ricondotto è quella della sua scuola, in cui è sfottuto e bullato dal solito prepotente e non riesce a conquistare una ragazzetta. La sua comprensiva insegnante gli fa conoscere lo zio, un ristoratore cinese sui generis che prende ad allenarlo, tra corse ed arti marziali. Le sue scene sono solitamente accompagnate da un tema musicale a base di batteria pesante e notarelle "orientaleggianti", ma la nota più curiosa è che lo interpreta Mako, già incontrato da, o meglio scontratosi con Norris in Triade chiama Canale 6. Comunque, il bullo da' al giovane l'idea di sfidarsi ad un torneone di arti marziali che si tiene da lì a poco. Qui Barry conoscerà Chuck, che accetterà di entrare a far parte del suo team (è necessario essere in quattro per iscriversi).
Avete mai pensato di trovare del metacinema nei film di Norris? Ebbene, qui ce n'è: i sogni del ragazzo sono talvolta parodie di film del nostro, come Rombo di tuono, con lui che esce dall'acqua insieme a Chuck smitragliando i nemici e ancora Omicidio incrociato, di cui viene parodizzata la sequenza di resa dei conti. Altrimenti sono comunque situazioni eccessive, fumettistiche: il sogno di apertura lo vede fiancheggiare il suo idolo nel menare un'orda di ninja, mentre i due roteano scalciando insieme, altrove è torturato da una specie di nazistone mentre Chuck, legato, gli dice di resistere. Vediamo anche Norris alle prese col western, vestito da pistolero in un saloon, ma qui il più lo fa il ragazzo che è sfottuto per aver chiesto del latte ma poi da' una lezione a un ceffo in modo simile a quanto faceva Terence Hill in un suo film ("Su i calzoni!").
C'è dell'ironia nel film, decisamente. Se è normale trovarla nella "tradizionale" sequenza della mandria di prepotenti da sgominare al ristorante (lo fa il cinese), i personaggi sono spesso burleschi: lo è spesso il ristoratore-maestro, lo è l'allenatore montato, trainer del bullo, che disprezza apertamente Chuck e lo sono i vari cattivoni dei sogni. L'ultima parte, ambientata al torneo-esibizione, è un po' lunghetta. Chuck combatte contro il suo "nemico", stendendolo in modo cartoonesco, mentre la sfida tra Barry e il suo rompiballe non avviene con un match diretto ma a suon di prove di sfasciamento mattoni con la mano di taglio. Non si crea un gran rapporto tra Norris e il suo fan, è più una collaborazione ed alla fine tra i due c'è un dialogo che forse è l'ennesimo sogno ad occhi aperti di Barry. Meno peggio di come ci si potrebbe aspettare, in parte scontatello, un po' infantile se si vuole ma almeno con idee autoironiche non da bocciare. Su youtube, al momento, l'intero film è visibile diviso in parti.
A.V.