Tit. or.: The 13th warrior. Usa 1999. Su dvd Buena Vista.
Un romanzo che potremmo quasi definire “antropologico”, Mangiatori di morte: nel narrare l’incontro fra un ambasciatore arabo e un clan vichingo, Michael Crichton s’era divertito a sottolinearne le differenze culturali e il comprensibile imbarazzo da parte di entrambe le fazioni, così dissimili in usi e costumi e nella concezione che possiedono del mondo che le circonda. Come può un arabo giustificare la pratica dei sacrifici umani con cui i vichinghi onorano la dipartita di un guerriero? Come far capire a dei vichinghi sbevazzoni il valore che un buon musulmano dà all’astinenza dall’alcol? Simili problematiche non sfiorano più di tanto la trasposizione cinematografica di John McTiernan: al regista interessava realizzare un buon film d’avventure, quindi si è concentrato sugli aspetti del romanzo che meglio rispondevano al progetto, tralasciando il resto. Qualche accenno umoristico alla cavalcatura del protagonista, oggetto di dileggio da parte dei rustici danesi che la paragonano ad un cane per le dimensioni ridotte; un buffo episodio in cui l’ambasciatore mediorientale si vede concedere una licenza alcolica e può partecipare alle libagioni organizzate dai suoi ospiti, in quanto la loro bevanda è Idromele e quindi non strettamente vietata dal Corano (lì la proibizione riguarda qualsiasi estratto dall’uva).
Facezie hollywoodiane che tralasciano l’interessante esempio di “narrativa da viaggio” fornito dal testo di Crichton; e la lotta dei vichinghi contro una misteriosa tribù paleolitica dedita a riti cruenti e ad un arcaico culto in onore dell’Orso (episodio presente anche nel romanzo) accentua i toni orrorifici, trasformandosi in una lotta all’ultimo sangue fra Luce e Oscurità, civilizzazione e barbarie. Elementi assenti dal libro, dove anzi viene tracciato un interessante parallelismo fra le due civiltà, apparentemente lontane nel tempo ma accomunate da analogo senso di appartenenza ad un nucleo sociale che difende la propria esistenza e guarda con sospetto ad elementi estranei. Quanta differenza corre effettivamente fra gli efferati adoratori dell’Orso e i selvaggi Berserker vichinghi? In fondo, è possibile che gli uni discendano dagli altri. In tal senso viene radicalmente modificato anche il finale del libro, decisamente più ambiguo e irrisolto dell’ending eroico concepito da McTiernan per il film (decisamente più adatto alle platee in cerca di un innocuo action d’evasione). La scelta del fascinoso latino Antonio Banderas come attore protagonista ben riassume la visione ludica e poco interessata alla verosimiglianza storica dei produttori.
Corrado Artale
Un romanzo che potremmo quasi definire “antropologico”, Mangiatori di morte: nel narrare l’incontro fra un ambasciatore arabo e un clan vichingo, Michael Crichton s’era divertito a sottolinearne le differenze culturali e il comprensibile imbarazzo da parte di entrambe le fazioni, così dissimili in usi e costumi e nella concezione che possiedono del mondo che le circonda. Come può un arabo giustificare la pratica dei sacrifici umani con cui i vichinghi onorano la dipartita di un guerriero? Come far capire a dei vichinghi sbevazzoni il valore che un buon musulmano dà all’astinenza dall’alcol? Simili problematiche non sfiorano più di tanto la trasposizione cinematografica di John McTiernan: al regista interessava realizzare un buon film d’avventure, quindi si è concentrato sugli aspetti del romanzo che meglio rispondevano al progetto, tralasciando il resto. Qualche accenno umoristico alla cavalcatura del protagonista, oggetto di dileggio da parte dei rustici danesi che la paragonano ad un cane per le dimensioni ridotte; un buffo episodio in cui l’ambasciatore mediorientale si vede concedere una licenza alcolica e può partecipare alle libagioni organizzate dai suoi ospiti, in quanto la loro bevanda è Idromele e quindi non strettamente vietata dal Corano (lì la proibizione riguarda qualsiasi estratto dall’uva).
Facezie hollywoodiane che tralasciano l’interessante esempio di “narrativa da viaggio” fornito dal testo di Crichton; e la lotta dei vichinghi contro una misteriosa tribù paleolitica dedita a riti cruenti e ad un arcaico culto in onore dell’Orso (episodio presente anche nel romanzo) accentua i toni orrorifici, trasformandosi in una lotta all’ultimo sangue fra Luce e Oscurità, civilizzazione e barbarie. Elementi assenti dal libro, dove anzi viene tracciato un interessante parallelismo fra le due civiltà, apparentemente lontane nel tempo ma accomunate da analogo senso di appartenenza ad un nucleo sociale che difende la propria esistenza e guarda con sospetto ad elementi estranei. Quanta differenza corre effettivamente fra gli efferati adoratori dell’Orso e i selvaggi Berserker vichinghi? In fondo, è possibile che gli uni discendano dagli altri. In tal senso viene radicalmente modificato anche il finale del libro, decisamente più ambiguo e irrisolto dell’ending eroico concepito da McTiernan per il film (decisamente più adatto alle platee in cerca di un innocuo action d’evasione). La scelta del fascinoso latino Antonio Banderas come attore protagonista ben riassume la visione ludica e poco interessata alla verosimiglianza storica dei produttori.
Corrado Artale
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