Francia/Canada 2008. Di Pascal Laugier.
La visione più forte del festival è stata introdotta dalla bella Mylene Jampanoï, in una mise ben diversa da quella con cui la si vede su schermo, e da Pascal Laugier che ha raccolto scontati applausi augurandosi che il nostro cinema torni a fare film come li faceva nei 70s e dedicando il suo lavoro a Dario Argento. Il cui cinema c'entra poco con Martyrs, è un punto di riferimento che andrebbe scordato accingendosi alla visione. Dopo Saint Ange, il regista francese firma un film che si potrebbe inserire nel filone dei cosiddetti torture-porn, ma andiamo con ordine.
Nella prima parte il film gioca di accumulo, anche sonoro. Sembra un film di vendetta, sebbene sia così brutale da far immaginare che potrà prendere altre pieghe, e insieme un film di fantasmi, di presenze mostruose. Ma la creatura brutta che tormenta la ragazza e consente i boo-scares è irritante, mentre poi il film andrà a sottrarre con altra efficacia. Infatti, procedendo con alcuni colpi di scena, la pellicola cresce. Quando giunge al punto di svolta della prigionia della protagonista, denuda il (sotto)genere, e lo porta alle estreme conseguenze, sbattendo in faccia allo spettatore una violenza “banale” e reiterata, su un personaggio inerme, senza marchingegni strani alla Saw o trovate splatter, a cui non c'è scampo, senza nemmeno essere sempre grafico (penso all'operazione, non mostrata, o al tirarsi indietro quando la giovane decide di lasciarsi andare a quanto le accade). In questo modo scavalca gli steccati del medio film di genere e colpisce più duro, arrivando ad assumere un senso, fino ad un colpo di scena non così gratuito. L'etichetta di horror gli sta stretta: anche se, assumendo che l'horror sia il cinema della morte, Martyrs vi rientra appieno. Della catarsi ci si fa beffe. In sala, a parte chi la abbandona, qualcuno ride, commenta e alla fine se ne va scontento, ma sembrano le classiche reazioni di superiorità con cui si cerca di prendere le distanze da una pellicola così radicale e violenta. Martyrs si merita una visione seria, non coi popcorn in mano, anche perchè rischierebbero di andarvi per traverso. E meglio non vederlo con la propria ragazza.
Alessio Vacchi
Nella prima parte il film gioca di accumulo, anche sonoro. Sembra un film di vendetta, sebbene sia così brutale da far immaginare che potrà prendere altre pieghe, e insieme un film di fantasmi, di presenze mostruose. Ma la creatura brutta che tormenta la ragazza e consente i boo-scares è irritante, mentre poi il film andrà a sottrarre con altra efficacia. Infatti, procedendo con alcuni colpi di scena, la pellicola cresce. Quando giunge al punto di svolta della prigionia della protagonista, denuda il (sotto)genere, e lo porta alle estreme conseguenze, sbattendo in faccia allo spettatore una violenza “banale” e reiterata, su un personaggio inerme, senza marchingegni strani alla Saw o trovate splatter, a cui non c'è scampo, senza nemmeno essere sempre grafico (penso all'operazione, non mostrata, o al tirarsi indietro quando la giovane decide di lasciarsi andare a quanto le accade). In questo modo scavalca gli steccati del medio film di genere e colpisce più duro, arrivando ad assumere un senso, fino ad un colpo di scena non così gratuito. L'etichetta di horror gli sta stretta: anche se, assumendo che l'horror sia il cinema della morte, Martyrs vi rientra appieno. Della catarsi ci si fa beffe. In sala, a parte chi la abbandona, qualcuno ride, commenta e alla fine se ne va scontento, ma sembrano le classiche reazioni di superiorità con cui si cerca di prendere le distanze da una pellicola così radicale e violenta. Martyrs si merita una visione seria, non coi popcorn in mano, anche perchè rischierebbero di andarvi per traverso. E meglio non vederlo con la propria ragazza.
Alessio Vacchi
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