Tit. or.: Den skyldige. Danimarca 2018. Di Gustav Möller.
È
una sera di lavoro per l'agente Asger Holm, momentaneamente confinato
alla centrale operativa, microfono sul capo e terminali davanti. Il
giorno seguente, apprendiamo, dovrà presentarsi in tribunale per un
caso che lo riguarda. Ad un certo punto riceve la chiamata di una
donna: pare essere su un veicolo, insieme a lei c'è il suo rapitore
e a casa ha lasciato due bambini. Cercando di ottenere informazioni,
tra una chiamata e l'altra (e facendosi aiutare anche da un collega
che pare un po' succube), Asger cerca di gestire con attenzione il
caso, che si rivelerà spinoso e in un certo senso lo riguarda.
The Guilty è
una delle maggiori soddisfazioni “di genere” dell'edizione 36: di
genere ma sui generis,
perché trattasi di un thriller “high-concept”, con un
protagonista in scena dall'inizio alla fine (quasi ininfluenti i
colleghi), tutto in due stanze e con gli esterni, e i contributi
degli altri attori, soltanto in audio. Alla domanda più banale, se
regge, se ha tensione – con un pizzico di humour nella prima parte
– , la risposta è: sicuramente sì, tiene molto bene per la sua
ora e venti circa, e ciò vuol dire tanto di cappello alla
sceneggiatura (firmata dal regista con Emil Nygaard Albertsen), asse
portante di un lungometraggio concepito in questo modo. A voler
leggere il tutto in modo un po' più teorico, alla luce dei clamorosi
colpi di scena (inevitabili per non rendere il tutto teso sì ma più
liscio; e benvenuti, perché sebbene qualcosina non sia imprevedibile
non importa, fanno venire i brividi), e di cosa veniamo a sapere del
protagonista, quello che va in scena è lo scacco di una realtà che
va per suo conto, brutale, crudele, triste, alla nostra capacità di
comprenderla e di intervenirvi, messo in scena attraverso il volto di
un uomo (Jakob Cedergren, che in una performance impegnativa non
strafà) che pure abbiamo sempre davanti agli occhi, ma di cui fino a
un certo punto non sappiamo abbastanza, e che si illude, ma noi con
lui, di star capendo quanto accade mentre vi è collegato. Un uomo
che ha sbagliato, che sbaglia ancora, e cercherà, e deciderà, di
fare ammenda: a un certo punto lo vediamo, in un momento critico,
illuminato da un rosso che (sebbene la luce in scena sia
giustificata) si è tentati di leggere come un rimando infernale.
Come se il suo, il nostro inferno di impotenti fosse qui. E anche
“lì”, in un luogo dove si cerca di tenere il controllo su una
fettina di mondo. Anche se, sebbene a danni parzialmente fatti, in
tal senso il film offre uno spiraglio di speranza.
Finito questo ricamo di
parole con cautela per gli spoiler, resta da segnalare il raccolto
del fim al festival: miglior sceneggiatura e premi ex-aequo del
pubblico e per il miglior protagonista maschile, ma anche una
menzione per uno dei premi collaterali, “Gli occhiali di Gandhi”,
con motivazioni quali l'uso del dialogo come strumento di catarsi
nella risoluzione di un conflitto e la mancanza di violenza messa in
scena.
A.V.Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=abaoKA6rn5k
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