Francia 2018. Di Michaël
Dacheux.
Léa e Martin, giovani e
più o meno carini, stanno vivendo a Parigi e sono stati insieme. Lei
fa la guida turistica, lui trova un nuovo posto in cui stare
nell'appartamento di un ex compagno di studi, vorrebbe fare il
regista, scrive un copione e tiene corsi di programmazione
cinematografica. Per entrambi ci sarà una svolta sul piano
sentimentale, più o meno temporanea: lei si infatua di un solitario
signore agée che vive su una barca, a lui che è bisessuale
succederà qualcosa col coinquilino Bastien. Léa e Martin si
rincontreranno, ma intanto la vita va.
Scritto dal regista,
dotato di una fotografia molto chiara e rassicurante (anche se non
super-cinematografica), è un film di vite in assestamento, di
naturale ricerca - e relative illusioni - di qualcosa di appagante, scandito in stagioni: e qui è difficile non pensare a Rohmer,
ma il modo in cui il film lo ha fatto venire in mente a chi scrive -
cinemagay.it rileva anche rimandi a Paul Vecchiali, a cominciare
dalla presenza di Pascal Cervo e François
Lebrun - va chiarito. Se la città di Parigi è quasi un
personaggio, ed è coinvolta in un modo che più diretto non sarebbe
possibile – attraverso le spiegazioni di una Léa che ne sembra
soddisfatta – , il disegno dei suoi film (quelli del ciclo dei
“Racconti delle quattro stagioni” e “Commedie e proverbi”, si
intende), quell'intrecciarsi dei personaggi, il dialogo, insomma le
caratteristiche che hanno fatto amare il regista qui sono lontane. E
le si rimpiange. Perché quel che invece c'è è tenue. Poteva venir
sostenuto un po' meglio da una recitazione più fresca, che invece è
leggermente artificiosa (Adèle Csech-Léa, la sua inquilina
hostess), o da personaggi più approfonditi e in cui si potesse
'entrare' di più. Non è andata così, e anche se il film sembra non
porsi particolari problemi, confidando in modo tranquillo sulla sua
“francesità”, il risultato è che a volte si pensa ai fatti
propri, mentre sullo schermo passano le tranches de vie dei
personaggi.
Il motivo della selezione
a un certo punto diventa chiaro (sebbene il film sia già approdato a
vari festival, Cannes compreso): l'esplicito omaggione a Jean
Eustache, protagonista di una delle retrospettive di quest'anno,
attraverso una Bernadette Lafont nella parte di sé stessa. La
vediamo per la prima volta a una proiezione di La mamain et la
putain, e poi condividere alcuni
momenti coi personaggi, da amica. Ma la cinefilia non basta né
coinvolge, né è in qualche modo elaborata. Un'operina, non
antipatica ma trascurabile.
A.V.Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=MtP0bY7WdE4
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