Jake e Mati, in quel di
Porto, vivono una storia d'amore che dura l'arco di una notte. Lei
accetta l'approcciarsi di lui in un locale e un feeling,
un'attrazione tra i due emergono subito. Lui l'aiuta a portare
scatole nel suo nuovo appartamento, in cui scatta il sesso. A cui
segue un livello di conoscenza con il dialogo oltre che biblico, e
una tenerezza malinconica prima di finire col riposarsi a nuovo
giorno già iniziato. Lei, però, è già ufficialmente impegnata,
con un uomo più maturo e soprattutto quel che stiamo vedendo
appartiene già al passato. In questa relazione dopo la quale è lui
soprattutto a esserci “rimasto sotto”, come si suol dire, lo star
bene insieme per i due è stata una magnifica parentesi, da
ricordare, sullo sfondo di una città.
La struttura con cui il
film racconta questo brevissimo rapporto di amore e sesso è
originale. Suddiviso in tre pseudo-capitoli, Porto va
avanti e indietro, seguendo meglio un personaggio e poi l'altro,
ritornando su alcuni passaggi, ampliandoli e fermandosi poi su altri
non ancora visti (la cena, che sembrerebbe un primo appuntamento
invece scopriamo essere avvenuta di notte, già dopo l'esplodere
della passione).
La passione scoppia
improvvisa, con un'impellenza da cinema (e complice un piede di lei:
feticisti alert), e tra incredulità e piacere lui e lei mettono
assieme tre amplessi quasi di fila (in barba a quel che si chiama
periodo refrattario). Dopo aver preso questa piega erotico-cerebrale,
il film ne prende una poetica, e mostra ancora più il fianco. Seduti
su una panchina, i protagonisti filosofeggiano, ma lì rischiano di
perdere lo spettatore, nella ricerca di qualcosa di serio da dire
sull'esperienza e le emozioni vissute.
Tutto questo è
“cinematografato” con un'estetica slow dovuta
al ricorso non solo alla pellicola, che con la sua grana contribuisce
all'aura “intima” del film, ma anche a formati diversi, perché
oltre al tradizionale 35mm abbiamo brevi passaggi a 8 e 16mm.
Lucie Lucas, bella e
abbastanza brava, sfoggia nelle scene erotiche un nudo scultoreo.
Purtroppo chi scrive non è riuscito, a differenza di un po' tutti a
quanto pare, a gradire la performance di Anton Yelchin. L'attore
tragicamente scomparso, a cui il film è dedicato (ma ne ha tre
ancora in arrivo), attraversa l'intero film sulla stessa tonalità,
ma così il suo personaggio sembra francamente un rincoglionito, o
come minimo uno in attesa di una pacca che lo distolga dai suoi
pensieri. Se è vero che il suo tratto vocale è quellolì, grattato,
il modo in cui il personaggio è impostato e la sua fissità non
giocano a favore della riuscita del film, anche se vanno nella
direzione che evidentemente il regista brasiliano, all'esordio nel
lungo di finzione, voleva: una sorta di intensità introversa a
dispiegamento lento, o quantomeno modulato, in un mood che
conta più delle parole che vengono dette e cui concorrono anche le
note di piano in colonna sonora.
Un tempo felice, da
assaporare e che sarebbe da fermare (anche perché il “dopo” non
lo è, tra lui che si abbassa a un gesto violento e lei che non ha
azzeccato il nuovo legame); due protagonisti che condividono
un'esperienza percepita come strana ma impossibile da evitare,
qualcosa che doveva succedere (come da parole di lui). Un dolce e
malinconico tributo al bello inatteso che la vita può aprire
davanti, per poi richiudere: quello che Porto ha
da dire arriva, convincendo però parzialmente.
Produce Jim Jarmusch.
A.V.
Il trailer: https://www.youtube.com/watch?v=CIVBl-v0TSk
Il trailer: https://www.youtube.com/watch?v=CIVBl-v0TSk
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