Tit. or. Bezbog. Bulgaria/Danimarca/Francia 2016. Di Ralitza Petrova. Con Irena Ivanova.
Gana, badante in una
cittadina della profonda Bulgaria, sottrae agli anziani presso cui
lavora i documenti, che il compagno (con cui non c'è -più- sesso,
il piacere che si danno è dato dalla morfina) rivende. La polizia li
conosce e copre questo traffico, anche quando lui “esagera” nello
spaventare un vecchietto che scopre il gioco. L'avvicinamento a Yoan,
paziente che denuncia il furto e viene conseguentemente messo sotto
accusa e minacciato, segna per Gana una possibile riappropriazione
del sentimento dell'empatia, ma è un vicolo cieco.
Progetto nato all’interno
di TorinoFilmLab e premiato col Pardo d’oro a Locarno, Godless è
scritto e diretto da una regista al primo lungometraggio. Ed è
un film rigoroso, indurito e congelato come la protagonista, la cui
espressività e i cui sentimenti sono celati, sembrano lontani, come
in attesa che lo strato che li protegge si sciolga.
In un film nettamente
“autoriale” come questo sembrerebbe forzato parlare di elementi
di genere, eppure lo scheletro del film è riconoscibilmente noir:
perché abbiamo un personaggio che opera e vive in un sotto-mondo
scarso di senso umano, e ne è complice, fino a quando non dice dei
“no”, per un risveglio della coscienza che la porta a cercare di
uscirne e a quel punto di questo sistema diventerà vittima.
Se la sceneggiatura
presenta ellissi decise (e gli stacchi tra le sequenze sono talvolta
bruschi), la scelta più forte che la Petrova opera è quella più
evidente, che condiziona tutta la visione: il desueto formato 4:3.
Scelta espressiva forte, che corrisponde, amplificandolo, al
soffocante che caratterizza lo squallido mondo, per povertà di
livello di vita e morale, di Gana, quasi sempre in scena, anche se
non sempre in campo, sebbene la Petrova le affidi pure dei primi
piani lunghi. Il nostro sguardo restringe questo mondo a un modesto
rettangolo; la regia però non gioca in modo spiccato, tantomeno
abusa, del fuori campo (ed è curiosa un'inquadratura all’interno
di un auto che, tagliando fuori conducente e passeggero al fianco,
somiglia a un 16:9 errato).
A conti fatti, la Petrova
sembra suggerire che una giustizia, lì e ora, non è contemplabile.
Tristemente e francamente, la regista traccia un continuum esplicito
tra la tradizione di “giustizia” durante il regime comunista e la
pseudo-giustizia operata nel film, un sistema che va dal mancato
rispetto della persona alla punizione che copre e permette di far
continuare uno status quo sporco (vedi il dialogo con l’anziano, o
le parole degli agenti in auto nel pre-finale). Però il finale dice
di un'altra forma di giustizia, quella del fato (o di un'entità
superiore), in modo crudele e beffardo, e riallacciandosi
all’avvicinamento alla fede che la protagonista stava compiendo, un
modo alla sua portata di provare ad elevarsi, ad accedere a
qualcos’altro.
Se nella profonda Romania
in cui è ambientato il bel Dogs, altro film presentato nella
sezione TorinoFilmLab quest’anno, la polizia “sta a guardare”,
impotente e inefficace, una situazione delinquenziale di lunga data,
salvo interventi estremi dettati dalla coscienza di un singolo, qui
come detto il riavvicinamento di un personaggio a una morale di base
c'è, ma il ritratto delle forze dell’ordine è negativo a dir
poco. Anche se il mostrare questo potere come depravato anche
sessualmente, tra orge e choking, è superfluo come tassello
in più.
Un esordio dal passo
lento, accidioso; un film compiuto.
A.V.
Il trailer: https://www.youtube.com/watch?v=QnxgAdPDYZ0
Il trailer: https://www.youtube.com/watch?v=QnxgAdPDYZ0
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