Italia/Belgio 2016. In sala nel 2017.
Il mite Giulio entra in
un esclusivo e isolato college in montagna, in cui rampolli della
buona famiglia vengono educati a 360 gradi a essere la classe
dirigente di domani. Dopo l'impatto coi bulli – i ragazzi più
grandi, con cui non è possibile un buon rapporto – , Giulio fa
amicizia con un ragazzo che si autodefinisce borderline, Edoardo, che
gli fa conoscere una discoteca/night club, e i due iniziano a
frequentarla clandestinamente. Qui Giulio conosce la giovane escort
dell'est Elena, un'altra anima con cui entra in sintonia e con lei
inizia una relazione. Di fronte all'imposizione da parte dei tutor di
non andare più nel locale, alcuni di loro “evadono”. Anche
Giulio, che una volta fuori si riunisce a Elena. Qui siamo già a un
passo dalla fine del film e si può non rivelare altro.
Accolto alla prima da una
claque sproporzionata rispetto al valore del film, unico
lungometraggio italiano in concorso a quest'edizione (ma francamente
è difficile credere non ci fosse nulla di meglio), I figli della
notte è l'esordio alla regia di
Andrea De Sica, nipote di Vittorio. figlio di Manuel (e quindi
Christian è suo zio), giovane ma non giovanissimo con i suoi 34
anni.
Coprodotto
col Belgio, presentato attribuendogli sforzatamente influenze da
If... , da Bellocchio
e addirittura Lynch (chiaro comunque un richiamo all'innevato
Shining), vi trova
posto anche un omaggio a De Sica Vittorio, nella riuscita sequenza
della fuga cantata dal collegio (vi si sente Vivere,
pezzo utilizzato ne Il giardino dei Finzi Contini).
Visivamente
e sensorialmente lascia il segno. Con una fotografia curata e una
regia che cerca il bello, ha una confezione sopra la media, ma questo
non basta a soddisfare. Non lascia indifferenti, ma “riuscito” è
un'altra cosa.
De
Sica sfoggia uno stile che all'inizio sembra promettente, complici le
atmosfere cupe (vedi la sequenza di bullismo notturno) e l'attesa di
comprendere dove si andrà a parare, anche quanto a cattiveria. Stile
che poi si rivela gonfio, affidandosi a diverse sequenze in
discoteca, che difficilmente vengono male, tantopiù se ci spari
dentro musiche accattivanti come Ti sento
dei Matia Bazar, ma che, superfluamente lunghe, rivelano bene i
limiti e il ciurlare nel manico del regista.
L'atmosfera
è tenuta su, mascherando il non molto che c'è dietro, con l'aiuto
di un tappeto sonoro costellato di bassi che però, ad esempio, in un
passaggio come quello in cui gli amici del protagonista entrano per
la prima volta nel locale, non ha ragion d'essere, in fin dei conti.
Il film mette sul piatto elementi e suggestioni che poi lascia
perdere: oltre al bullismo (non perché lo si volesse veder trattato
come tema, ma è che pure narrativamente a un certo punto viene
spento), quel 10% di horror che ad un certo punto De Sica introduce
ma si rivela, oltre che troppo poco per essere preso sul serio, furbo
nella sua vaghezza.
Il
risultato finale è paradossalmente (dato l'impianto visivo)
striminzito, del film se ne vorrebbe di più ma meglio, e il finale
giunge inaspettatamente, ma non in senso buono bensì facendo
chiedere: tutto qui?
L'impressione
è che De Sica sia un esordiente di lusso, non certo privo di
talento, che abbia avuto l'opportunità di giocare col cinema. Ci
sarebbe voluta una sceneggiatura più completa, con suggestioni più
padroneggiate, ambizioni più definite e idee più chiare (sì, il
protagonista in fin dei conti compie un suo percorso, è il coming
of age di uno squalo, ma di
nuovo, il comprenderlo non compensa...), e a costo di sembrare
liberticidi anche un produttore che gli stesse col fiato sul collo.
Ma stiamo parlando di un film che non è questo e che chissà, forse
verrà.
A.V.
Una clip: https://www.youtube.com/watch?v=Oor6D6EKwag
Una clip: https://www.youtube.com/watch?v=Oor6D6EKwag
Nessun commento:
Posta un commento