Venezuela 2013. Di Mariana Rondón.
All'interno
di un casermone nella periferia di Caracas vive Junior, col
fratellino bebé e la madre Marta. I pensieri di Junior sono rivolti
al riuscire a lisciarsi la massa di capelli crespi, fare una bella
foto di classe (che però costa) prima che ricominci la scuola e,
complice la nonna nera da cui qualche volta la madre lo lascia,
diventare un cantante. Con Marta, però, il bambino ha un rapporto
infelice: lei lo mal sopporta e non c'è feeling tra i due.
Sicuramente
uno dei film migliori tra quelli nuovi visti da chi scrive al
festival, vincitore per la miglior sceneggiatura e la migliore
attrice (Samantha Castillo), Pelo malo è
scritto bene, credibile e forte di personaggi interessanti. Se
la violenza dell'ambiente dove i protagonisti vivono è solo evocata
(si parla di violenze sessuali, si sentono spari a distanza), quello
che tarpa le ali alla serenità di Junior è la vita con la madre.
Marta, vedova, attualmente senza lavoro e impegnata nel tentativo di
recuperare l'impiego precedente di vigilante, è una donna presa da
sé, dalle cose che deve fare e i posti in cui deve recarsi, sempre
seria, con una tendenza al comando nei confronti del figlio maggiore
(“Devo essere d'esempio”, dice ad un certo punto). Sembra patire
la difficoltà del vivere; la sua insicurezza e la sua incertezza del
futuro la rendono indurita e quasi incapace di lasciarsi andare.
Anche se ha dentro di sé un'energia, anche sessuale e legata al
sentirsi donna, che qualche volta viene fuori (per esempio nel ballo,
che da allegro si fa aggressivo, con Junior o nella scena di sesso al
volo con un fusto del palazzo: buona scena erotica, non così
gratuita).
E
questo figlio un po' introverso, lei non lo accetta e non lo capisce.
Quando lui la fissa, lei si irrita: “Non guardarmi così”. Ma poi
è lei a guardarlo corrucciata, quando si comporta in modo strano (o
che percepisce tale). Junior è praticamente considerato un elemento
di preoccupazione in più; figuriamoci il sospetto, in cui questo si
traduce, che sia omosessuale.
La
Castillo è sicuramente molto brava nei panni di questo personaggio
di madre non snaturata, ma che sbaglia; un personaggio che sarebbe
schematico, e non farebbe un buon servizio al film, liquidare come
negativo, anche se raggiunge uno sgradevole punto basso quando fa sì
che suo figlio guardi, per riportarlo sulla via dell'essere “uomo”,
mentre lei si lascia possedere dal capo. Di conseguenza, si sta dalla
parte del simpatico bambino, mentre lei suscita pena. Le scene con i
divertenti dialoghi fra lui e l'amica, determinata nel volersi far
fare una foto da miss, fanno storia a sé.
Un
film felicemente affrancato da convenzioni, che lascia in bocca un
sapore dolceamaro: alla qualità del film e alla catchiness della
canzoncina Mi limon mi limonero
cantata da Henry Stephen (che spicca in una colonna sonora altrimenti
molto parca), si contrappongono l'asprezza di questo rapporto
madre-figlio come non è corrente vederne al cinema e un finale non
consolatorio (al bambino però è concessa una piccola soddisfazione
sui titoli di coda). P.S. Tutto questo superando l'imbarazzo del
cartello iniziale della società di distribuzione: FiGa Films.
A.V.
Il trailer: http://www.youtube.com/watch?v=CoaGhgJXAMs
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