Enrico (Valerio Mastandrea) ha un lavoro più unico che raro:
persuadere i manager irresponsabili a lasciare le aziende. Quando la
coppia di dirigenti della multinazionale in crisi Lievi scompare
improvvisamente, il delicato ingresso nel cda dei figli - il giovane,
inesperto e idealista Filippo e la giovanissima Camilla – è
seguito da Enrico da vicino. Questi intanto, a un livello personale
ma che va a tangere anche l'aspetto lavorativo, ha a che fare con una
misteriosa ragazza straniera dal nome impronunciabile che il
fratello, scaricandola con irresponsabilità, gli fa trovare in casa.
A otto anni di distanza da Non pensarci Zanasi torna a un
lungometraggio con un film di stile, toni e poetica riconoscibili ma
al contempo con qualcosa di diverso e cambiato. La felicità...
spesso sembra restio a essere una commedia. Non riesce a fingere
di non essere in tempi di crisi, di aziende che rischiano, di
delocalizzazioni e di persone che non capiscono che futuro avranno.
Con tutto questo bello scenario, è come se ci fosse poco da essere
spensierati. E il passo del film si adegua, complessivamente lento e
pensoso, persino al limite della noia. Non c'è molto da ridere,
sembra dirci il film; ma regolarmente lo si fa lo stesso, perché con
regolarità Zanasi si affida alla consumata naturalezza comica di
Mastandrea.
All'ispirazione
nobile comunque non corrisponde un risultato all'altezza. Ci sono dei
problemi nella faticosa presentazione dei personaggi minori, Filippo
dovrebbe essere studente universitario ma ha parole e atteggiamenti
da ragazzone capitato lì da chissà dove e, legato a questo, lo
scontro tra ragioni del mercato e l'ingenuità ed estraneità ad
esso, che dovrebbe sottolinearne la mancanza di fattore umano, è
trattato in modo molle e semplicistico. Questo senza contare lo
strano lavoro del protagonista e la scarsa chiarezza di quel che
effettivamente fa, aspetti su cui converrebbe chiudere un occhio.
Se la freschezza
solita del regista c'è meno, c'è sempre lo sguardo simpatetico e
fiducioso verso i giovani, lo sfacciato gusto di girare, di muovere
la macchina, di mettere in scena inserendo canzoni scelte e inserite
in modo non casuale, a costo di creare sequenze al limite del fine a
sé stesso o comunque non di movimento narrativo (come quella coi
ragazzi in skate verso la fine). D'altronde, congruamente alla sua
anima, non è qui che va cercato uno script di ferro, anzi: il film
può essere paragonato a dei grandi puntini di sospensione, tantopiù
alla luce di un finale -anzi, di un doppio finale, considerati i due
piani, il futuro dell'azienda e il rapporto tra Enrico e la
fanciulla- molto aperto e sospeso, di quelli che sicuramente il
pubblico medio non gradirà. E che però, saldandosi con una
memorabile sequenza di congedo sui passi di Michael Jackson (sic), ha
una malinconia che resta e in cui non dovrebbe essere difficile
riconoscersi.
Hadas Yaron,
25enne israeliana già vincitrice di alcuni premi, tra cui quello per
l'interpretazione in Félix et Meira al
TFF 2014, è ottima, bella e fresca: il suo personaggio
conquista anche per la simpatica svagatezza che però talora prende
in contropiede. Battiston poco rilevato.
Alessio Vacchi