Costi, tranquillo
padre di famiglia, riceve una proposta dal vicino Adrian, in
difficoltà economiche: in cambio di un prestito di denaro, se Costi
lo aiuterà a cercare, nel giardino della vecchia casa dei nonni, un
tesoro nascosto prima dell'arrivo del regime, gli darà metà del
valore di quanto eventualmente trovato. Con l'aiuto di un “esperto”
di metal detector, con cui Adrian presto battibeccherà per la
scarsità di rendimento, si mettono al lavoro e in qualche modo
verranno ripagati.
Per raccontare
questo, Porumboiu, che scrive e dirige, avrebbe potuto (magari...)
premere un po' sul pedale della commedia e tenere in maggiore
considerazione lo spettatore. Invece, sceglie la strada della massima
quietezza, sotto la quale c'è un realismo-minimalismo
lievissimamente venato di quella stralunatezza in cui possono
presentarsi le cose della vita. Quietezza anche recitativa, con
attori estremamente controllati (a costo di risultare in questo modo
insapori, come Toma Cuzin-Costi; meno Adrian Purcarescu-Adrian, il
cui personaggio ha un carattere più difficile) e visivo-cromatica,
con fotografia tranquilla e inquadrature lunghe. Purtroppo, la
quietezza intenzionale si concretizza in piattezza.
Comoara è
francamente troppo tenue, una visione in cui ci si può ampiamente
distrarre senza perdersi niente di particolare, soprattutto
nell'interminabile parte centrale della ricerca del “tesoro”,
senza contare il rischio noia a livelli di guardia. Certo, si
può -e si è fatto: chi scrive è in assoluta minoranza e il regista, che non è uno sconosciuto per i cinefili, ha pure vinto il premio “A certain talent” a Cannes- scavare
(sorry) nel film per coglierne quel che ci sarebbe sotto la totale
limpidezza di quanto si vede sullo schermo; ma, per esempio, le
allusioni al passato di un paese che torna a galla o il fatto che
Costi legga Robin Hood al figlio sono agganci e scavi (sorry
again) teorici che non bastano a compensare l'esperienza
spettatoriale, come non lo è il possibile collegamento con quel che
fa Kaurismaki, né gli avari sorrisi.
Non sono comunque male gli ultimi minuti, in cui il frutto della
ricerca si risolve da parte del protagonista in un gesto “politico”
(alla Robin Hood...), e comprensivi della cover dei Laibach di Life
is life, che quando parte, scuotendo il film in modo autoironico,
fa pensare che un pizzico più di quella grinta la si sarebbe vista
volentieri trasfusa nel film fino lì. Su un film così esposto,
trasparente, fragile nei suoi difetti, magari voluti ma che risultano
tali, non è comunque il caso di infierire.
A.V.
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