lunedì 7 dicembre 2015

Festival ed eventi vari. 33 TFF. JOHN FROM

Portogallo 2015. Di João Nicolau.

L'adolescente Rita si interessa e infatua dell'inquilino del piano di sotto, un bel fotografo, con figlia piccola a carico, che sta esponendo le sue immagini sulla Melanesia al centro culturale locale. L'immaginazione della ragazza e le velleità di conquistarlo plasmeranno il suo tempo e il suo mondo, nel corso di una calda estate condivisa con un'amica, Sara.
“John From” è una figura oggetto di culto in uno stato oceanico e potrebbe venire dall'indicare come “John from America” i soldati di stanza lì nel secondo conflitto mondiale, come spiega Rita quando affibbia questo soprannome all'oggetto del suo desiderio. Un personaggio meno definito, che sta sullo schermo (lei, invece, è quasi sempre in scena) in quanto visto da lei e attraverso i suoi occhi. Le due amiche condividono partecipazioni a feste, sessioni di pettinature e cazzeggi a base di ascolti musicali in camera, oltre che comunicazioni segrete fatte di bigliettini nascosti in ascensore e, da un certo punto, prove di approccio condominiali.
Il film impiega tempo a carburare e ha momenti di stanca, di apparente inceppo, sebbene scusabili con la noia assolata dell'atmosfera in cui è calato, e la cui pigrizia fa un po' sua. Ma vale la pena di seguirlo, ché poi cresce e conquista. In un percorso lento ma che si fa inarrestabile, passando per indizi, magie e nonsense (una lettera che si fa notare svolazzando, una macchina rubata che ricompare all'improvviso), giunge a virare felicemente, con naturalezza e senza giustificazioni ulteriori, nel surreale, ma un surreale integrale, che investe tutto. L'universo in scena, e i suoi personaggi, subiscono un contagio e si fanno sempre più melanesiani. Verde e spiagge sopraggiungono, quel che di strano succede, semplicemente succede e il film diventa davvero della sua protagonista, che ha il permesso e il potere di cambiare la sua vita e ciò che ha intorno. Col sorriso e senza sottolinearsi, John From fa fare da padroni alle ragioni del cinema, inteso come creazione e come magia, e della giovinezza con la sua fantasia. Se l'essere ancora giovani non sembra privo di lati negativi, se il proprio mondo non è all'altezza di quel che si vorrebbe, lo si ricrea, a 360 gradi. Senza che nessuno alla fine si risvegli, perché, appunto, è un film. Un vaffanculo alla realtà reso possibile dalla libertà del cinema, che si chiude con la Lambada (sì, quella del 1989).
Il feeling visivo sembra, confortantemente, quello della pellicola (anche se riportato in digitale), ma lo scrivente non trova conferme. Júlia Palha (Rita) ha nel resto del suo ancora scarno curriculum della tv, mentre il regista, tra le altre cose, il montaggio di L'estate di Giacomo di Alessandro Comodin. Del tutto ignorato dal palmarès del festival, uscirà in patria a marzo: chissà se e quando John From tornerà da queste parti.
A.V.

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