Portogallo 2015. Di João Nicolau.
L'adolescente Rita
si interessa e infatua dell'inquilino del piano di sotto, un bel
fotografo, con figlia piccola a carico, che sta esponendo le sue
immagini sulla Melanesia al centro culturale locale. L'immaginazione
della ragazza e le velleità di conquistarlo plasmeranno il suo tempo
e il suo mondo, nel corso di una calda estate condivisa con un'amica,
Sara.
“John From” è
una figura oggetto di culto in uno stato oceanico e potrebbe venire
dall'indicare come “John from America” i soldati di stanza lì
nel secondo conflitto mondiale, come spiega Rita quando affibbia
questo soprannome all'oggetto del suo desiderio. Un personaggio meno
definito, che sta sullo schermo (lei, invece, è quasi sempre in
scena) in quanto visto da lei e attraverso i suoi occhi. Le due
amiche condividono partecipazioni a feste, sessioni di pettinature e
cazzeggi a base di ascolti musicali in camera, oltre che
comunicazioni segrete fatte di bigliettini nascosti in ascensore e,
da un certo punto, prove di approccio condominiali.
Il film impiega
tempo a carburare e ha momenti di stanca, di apparente inceppo,
sebbene scusabili con la noia assolata dell'atmosfera in cui è calato, e la cui pigrizia fa un po' sua. Ma vale la
pena di seguirlo, ché poi cresce e conquista. In un percorso lento
ma che si fa inarrestabile, passando per indizi, magie e nonsense
(una lettera che si fa notare svolazzando, una macchina rubata che
ricompare all'improvviso), giunge a virare felicemente, con
naturalezza e senza giustificazioni ulteriori, nel surreale, ma un
surreale integrale, che investe tutto. L'universo in scena, e i suoi
personaggi, subiscono un contagio e si fanno sempre più melanesiani.
Verde e spiagge sopraggiungono, quel che di strano succede,
semplicemente succede e il film
diventa davvero della sua protagonista, che ha il permesso e il
potere di cambiare la sua vita e ciò che ha intorno. Col
sorriso e senza sottolinearsi, John From fa
fare da padroni alle ragioni del cinema, inteso come creazione e come
magia, e della giovinezza con la sua fantasia. Se l'essere ancora
giovani non sembra privo di lati negativi, se il proprio mondo non è
all'altezza di quel che si vorrebbe, lo si ricrea, a 360 gradi. Senza
che nessuno alla fine si risvegli, perché, appunto, è un film. Un
vaffanculo alla realtà reso possibile dalla libertà del cinema, che
si chiude con la Lambada (sì, quella del 1989).
Il feeling visivo
sembra, confortantemente, quello della pellicola (anche se riportato
in digitale), ma lo scrivente non trova conferme. Júlia
Palha (Rita) ha nel resto del suo ancora scarno curriculum della tv,
mentre il regista, tra le altre cose, il montaggio di L'estate di
Giacomo di Alessandro Comodin.
Del tutto ignorato dal palmarès del festival, uscirà in
patria a marzo: chissà se e quando John From tornerà
da queste parti.
A.V.
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