1967: siamo sul finire della moda del
cinema spy. Dagli Usa vengono James Bond e i suoi epigoni, come
l'oggi dimenticato agente Flint di James Coburn che suggerisce il
nome al nostro eroe. Ma ci si muove anche in Europa, tanto che si
definiscono “eurospy” le relative produzioni o coproduzioni
spionistiche. In Italia, poi, escono un florilegio di titoli che,
come si usava nei nostri generi, spremono il limone a più non posso,
con agenti dalle sigle varie, da 008 a 077 a 3S3. E qualche parodia:
più note quelle con Buzzanca (i due James Tont,
Spia spione), meno
questa, che è l'unico film da protagonista per Vianello, nei 60s comunque attivissimo al cinema, e il primo
da regista per Mariano Laurenti.
Una
razza aliena sta creando fortissime tensioni tra i paesi della Terra:
riesce a controllare le menti umane quel tanto che basta a dar luogo
a comportamenti, dichiarazioni improprie che fanno nascere
improbabili incidenti diplomatici. L'obiettivo è far arrivare i
terrestri a una guerra che autodistrugga l'umanità e lasci campo
sgombro ai marziani (il cui punto debole è il contatto coi pesci)
per insediarsi. C'è solo una persona, secondo la Nato, che può
intervenire: “il superman” Flit, agente dalle mille risorse
(Raimondo Vianello). Che si mette alla ricerca del gruppetto di
biondi alieni (vestiti in tutina moscia grigia, ça
va sans dire) nascosti nelle Alpi svizzere, mentre deve sfuggire
all'agentone sovietico Smirnoff (Fernando Sancho), che lo ha già
tentato di fucilare. Intorno a lui anche l'aliena Aura (Raffaella
Carrà, inizialmente in improbabili panni maschili) che passerà dal
tentare di sedurlo all'essere dalla sua parte.
Scritto
da Bruno Corbucci, il film è una sciocchezza (tra l'altro: se tutte
le nazioni sanno che cosa sta succedendo, perché si arriva a un
passo dalla guerra lo stesso?) simpatica e leggermente noiosa, forse
meno demodé dei nostri spy-movie “seri” e che non vale meno, per
dire, del primo James Tont
buzzanchiano. Varie locations come di prammatica (Parigi, Berlino) e
gadget: ovviamente gli
alieni hanno un visorino portatile per comunicare a distanza e col
loro capo, mentre Flit si scava una fuga sottoterra con un rasoio
elettrico e usa la sua stessa testa come “cervellone” - inserisce
un fogliettino con informazioni in un orecchio, il cervello elabora e
lo fa uscire dall'altro - . Flit è un mezzo superuomo, pieno di sé,
durissimo a morire, stimato a livello globale, con un piccolo harem
ai suoi piedi, e sempre pronto a menare le mani di taglio nella
classica mossa marziale base dell'epoca, a costo di sbagliare più
volte obiettivi.
Tra le
cose più divertenti i titoli di testa animati, che scherzano sulla
natura italiana e di serie B del film: il nome di Vianello è
inserito fra quelli di famosi attori stranieri, e lo stesso per la
Carrà (Greta Garbo, Marlene Dietrich...) e per Sancho (tra Kirk
Douglas, Jean Gabin e altri) prima che vengano cancellati gli
intrusi. Musiche di Verdi, Beethoven e Wagner? No, di Bruno Canfora;
e Laurenti condivide inzialmente il suo cartello con nomi quali John
Ford e Hitchcock. Dal punto di vista umoristico si può ancora notare
qualche allusione sessuale e omosessuale: il tassista che, vedendo
Flit placcare in vettura la Carrà in versione maschile (conciata da
paggio del '700), commenta “Più gli anni passano e più ce ne
sono”; “È
un maniaco sessuale”, commenta il marito di una coppia a cui Flit
vuole fare annusare un pesce morto; di classe, invece, l'accennata
gestualità con cui Flit accompagna la frase “Tu la Terra la
conosci già”, rivolta a una tizia che aveva giaciuto con lui e,
alla fine, vorrebbe reclamarlo per sé e toglierlo da Aura. Nel
pre-finale, poi, Vianello supera Gran Torino
di Eastwood sul piano “armi fatte con le dita”.
La “fotografia a colori ultrapop di
Tino Santoni” ricordata da Marco Giusti nel suo Dizionario dei
film italiani stracult (pag. 847) è
purtroppo azzerata nella copia che oggi tramanda il film, una
registrazione da Italia 7 molto modesta e sbiadita al punto da
lambire qua e là il bianco e nero. Nella stessa scheda del film, una
dichiarazione di Laurenti che rivendica di essere stato il
primo a volere la Carrà bionda.
Alessio Vacchi
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