Giunte alla 31esima edizione, le
preziose Giornate del cinema muto hanno celebrato il bicentenario
della nascita di Charles Dickens con una grossa retrospettiva di
opere tratte dai suoi libri. Tra le tante, l'Oliver Twist americano del 1922, con il Jackie Coogan appena stato Monello e
un cattivissimo Sikes; una versione ungherese, narrata in flashback,
più vivida, dove è più presente il personaggio di Monks,
interpretato con occhi perennemente strabuzzati, che Oliver (ma van
considerate le lacune). Un faticoso, abbastanza illustrativo David
Copperfield del 1913, forse il primo lungometraggio inglese, il
primo così lungo da Dickens, con però attori adeguati, un'efficace
illustrazione delle violenze gratuite al protagonista bambino e una
nota umoristica. Due brevi film celebrativi inglesi: in Leaves
from the books of Charles Dickens l'attore Thomas Bentley si mette
in scena nei panni di differenti personaggi, mentre Dickens'
London ripercorre alcuni luoghi immortalati dallo scrittore e ne
immagina certi personaggi oggi. Entrambi con la presenza di un
Dickens rappresentato classicamente, con la sua barba.
Ancora dall'Inghilterra, non
straordinarie ma assolutamente piacevoli, le commedie marine Sam's
Boy e The Skipper's Wooing, per la sezione “W. W. Jacobs,
narratore”, che ha proposto un ciclo di film tratti da opere dello
scrittore realizzate dallo stesso regista (Horace Manning Haynes) e
sceneggiatrice (Lydia Hayward). Il primo vede un bambino orfano
attaccarsi al marinaio in età Sam, asserendo di essere suo figlio ed
entrando a far parte dell'equipaggio di una nave. Sam, sempre più
imbarazzato, scappa, e il ragazzino cercherà altri pseudo-padri. Il
secondo narra di un capitano timido e innamorato che, con la sua
sgangherata ciurma, cerca di rintracciare un marinaio datosi alla
macchia dopo aver creduto di aver ucciso un uomo. Lo scomparso è il
padre dell'amata, la quale ha anche un altro pretendente. Toni
leggeri, umorismo non sbracato e un clima geografico e umano con cui
si entra facilmente in confidenza.
Nella retrospettiva sulla produzione
muta della bellissima Anna Sten, star russa (la cui carriera si è
poi spenta a Hollywood), La ragazza con la cappelliera di Boris
Barnet è risultato tra le migliori visioni della tranche di Giornate
frequentata. La protagonista (bramata anche da un telegrafista), dopo
un primo impatto negativo, offre il suo alloggio ad uno studente
spiantato, facendolo passare per suo marito agli occhi della coppia
di affittuari e datori di lavoro, e del comitato condominiale. Nell'ultima parte, prima che l'amore
trionfi, entra in gioco un biglietto della lotteria vincente che,
elargito come pagamento alla ragazza, sarà oggetto di spietata
bramosia per il viscido padrone di casa. Per questo film prodotto per
promuovere la lotteria di stato, Barnet dichiarò di voler lavorare
con attori e messa in scena invece che focalizzarsi sul montaggio
come altri colleghi del suo paese. Intenso con delicatezza (...almeno
fino alle sequenze finali), come ben sottolineato dal tappeto sonoro
di piano e percussioni, femminista in senso pienamente positivo,
mostrando una protagonista bella, attiva, intelligente e simpatica
(la Sten non amava essere “bambola”), da vedere anche per chi è
restio al muto sovietico, perché leggero per toni e ancor più per
contenuti (ma in linea con altri film del regista, a cui “Il cinema
ritrovato” 2011 dedicò una retrospettiva): non sorprendentemente,
la critica, all'epoca, non gradì.
Sempre con la Sten, dal Museo del
cinema di Buenos Aires (da cui era già emerso il Metropolis semi-integrale) uno dei film ritrovati proposti quest'anno, My
Son di Yevgenii Cherviakov, incompleto e proiettato, con scuse, in
una copia “non professionale”, anche se sarebbe stato gradito
almeno vederlo in 4:3 e non allungato. Una donna comunica ad un uomo
che non è il padre del suo bambino. Prima di un turbolento
accadimento nell'ultima parte, questo è il nucleo del film. Molto
serio, misurato e con un senso di sospeso. Il dimenticato Cherviakov
intendeva mettere in scena le passioni umane, attraverso il volto
umano. Infatti il film contiene lunghi primi piani di grande
intensità e che sembrano al contempo contenere un invito a essere
decifrati. Memorabile un montaggio alternato tra un primo piano
maschile e i chiodi di una bara che vengono battuti.
Stesso anno, stesso paese, La
montagna incantata di Aleksandr Dovzhenko, nella sezione “Il
canone rivisitato”, consapevolmente sconnesso “cine-poema”-inno
all'Ucraina amato da Pudovkin e Eisenstein. Il film percorre momenti
distanti della storia ucraina e del suo popolo, con un anziano
contadino come trait d'union. Dopo dei ralenti iniziali che non
predispongono benissimo si dipana un film che, più a riconsiderarlo
a freddo che durante la visione, ha delle buone carte. Suggestivo e
magico (il vecchio che vuole scacciare il treno credendolo un
serpentone), coi consueti volti inconfondibili marcati URSS, serrate
immagini di panorami urbani e di lavoro verso la fine, così come uno scarto grottesco che risveglia
(il conferenziere che annuncia il suo suicidio sul palco).
Tornando ai ritrovamenti, highlight
della sezione “Riscoperte e restauri” di quest'anno è stato Les aventures de Robinson Crusoé di Georges Méliès, in una copia più
lunga di quella conosciuta finora e colorata a mano. Breve e
folgorante spettacolo d'altri tempi, pienamente mélièsiano nella
struttura, con vivaci colori stesi rozzamente che “squillano”
sullo schermo, accompagnato da un commento originale recitato
dall'attore Paul McGann. Altro film ritrovato, ma sicuramente
meno entusiasmante, il piano dramma con suspance olandese De
Bertha, con la star Anna Bios, una macchina per intercettare i
telegrammi e una nave che rischia di essere costretta a salpare in
condizioni pericolose.
Chi scrive ama il cinema comico muto e
ha scoperto con Hands Up!, titolato da noi La
bionda o la bruna?, l'attore Raymond Griffith, qui nei panni di un
soldato-agente sudista che deve sottrarre un carico d'oro destinato
altrimenti a rimpinguare le casse di Lincoln. Quello di Griffith è,
a differenza dei maggiori comici americani dell'epoca, un personaggio
furbo, un dritto che sa (quasi) sempre cosa fare e come cavarsela,
intelligente e non simpaticissimo. La farsa è leggermente
discontinua ma spesso da levarsi il cappello per le trovate comiche e
i frequenti, veloci capovolgimenti di situazione.
Il ricostruito da varie copie The
Spanish Dancer di Herbert Brenon, ha animato
la serata del 9 ottobre, grazie ad un accompagnamento di chitarre,
percussioni e viola che ha fatto vibrare la sala. La pellicola, con
Pola Negri gitana coinvolta in un intrigo di corte, Antonio Moreno
nei panni di un Don Cesare di Bazan di lei infatuato e condannato a
morte, Wallace Beery come re Filippo IV e Adolphe Menjou cortigiano
intrigante, è assolutamente godibile e scorre armoniosa, anche se si
conclude con un “volemosebbene” un po' discutibile.
L'Italia è stata rappresentata con
Gli spazzacamini della Val d'Aosta, produzione sabauda Pasquali
Film con regista e attori (Cimara, Darville) di fiducia e il piccolo
attore di culto per pochi intimi Tonino Giolino. Film che dovrebbe
avere velleità di denuncia sociale, ma che del lavoro del titolo
mostra poco, prendendo forma in un dramma di affetti a lieto fine. Quasi dignitoso anche se ingenuo.
Della misteriosa casa tedesca
Apollo-Film-GmbH si è visto The Secret Castle/Miss Clever versus
the “Black Hand", detective story con una protagonista che si
traveste da tutto: statua, scolaretta, adescatrice d'uomini, e in cui
si stagliano due momenti che fan ridere la sala: quando tramortisce
un maramaldo permettendogli di passare con voluttà il suo muso sui
capelli precedentemente preparati con una fiala e quando, durante la
scalata di una parete, viene... aiutata da alcuni agenti, con mani
messe “strategicamente”.
Nel programma di cinema delle origini,
due frammenti di Méliès, una colorata danza “del ventaglio” di
Lumière, una nuova selezione dalla Corrick Collection: La peine du
talion, da cui è tratta l'immagine scelta per quest'anno, un
dramma della Edison con inseguimento e incidente stradale, una veduta
italiana, un danneggiato L'enfant prodigue Film d'art Pathé,
il cui inizio è tra le cose più malmesse mai viste su schermo. Il
programma di comiche (degli anni 10) sulla figura della suocera ha visto passare
sullo schermo, tra gli altri, il francese Lucien Cazalis nei panni di
Jobard e Caza, in due comiche simili in cui, per spavento e per una
zuffa, teme di aver ucciso la suocera, il solito esagitatissimo
Polidor, Ernesto Vaser alle prese con una donna che non ne vuole
sapere di lasciare (e lasciar giacere) due sposi insieme, e infine la
maliziosa The Making over of Mother, in cui un genero mette gli
occhi inconsapevolmente sulla suocera.
Segnalabile la ventina di minuti
superstiti, perlopiù danneggiatissimi, di Affinities, commedia
americana del 1923, perché tra i titoli recuperati pochi anni fa al
New Zealand Film Archive e per la parentesi narrativa (in buone
condizioni) sulle relazioni allargate tibetane, in cui ogni donna che
sposa un marito, sposa anche i suoi fratelli. Per ultimo, il trascurabile Le petit nuage, breve film muto nuovo di Renée George, che folgorata dal lavoro come aiuto caposquadra elettricisti sul set di The Artist ha girato in bianco e nero questo primo episodio del suo progetto 7 short films about love. Un amore che nasce fra i tavoli di un caffé e prosegue in un surreale volo su Parigi. Visivamente lindo, ruffiano e abbastanza vuoto e inutile, lascia come ha trovati, anzi un poco infastiditi.
A.V.
In alto, un'immagine da The Spanish Dancer aka La gitana.
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