domenica 5 dicembre 2010

Io c'ero. Festival ed eventi vari. 28 TORINO FILM FESTIVAL. CODICE D'AMORE ORIENTALE

Italia 1974.

Il festival quest'anno ha omaggiato due freschi defunti, due cineasti molto diversi: Chabrol e Piero Vivarelli. Per il quale è stato proiettato questo film, fortemente voluto da Amelio che lo ritiene il suo migliore, nelle parole di Emanuela Martini.
In realtà l'unico motivo per vedere questo film, quel che fa restare sulla sedia, è la sua difficile reperibilità. La trama di base è presto detta: due promessi sposi dalle rispettive famiglie, che non si amano ancora, fuggono insieme per evitare il volere genitoriale ed entrano nella comune di un saggio barbuto che si porta appresso una serie di coppiette a cui insegna pillole di saggezza sull'importanza del libero amore e racconta amene storielle, dalle quali non si capisce bene che insegnamento dovrebbero trarre. Ecco: da un certo punto in poi il soggetto iniziale è nullo (nessuno viene a cercare i due) e sulla stasi si innestano questi racconti visualizzati. Alcuni per mezzo di animazione bidimensionale, con personaggi che si muovono come marionette, hard. Altri "live-action", tra cui una incredibile situazione da barzelletta, con un tizio che si vede applicare dall'amante un'improbabile pasta per l'amore ed è costretto a gettarsi in acqua al grido di "Mi brucia!!". Sciocchissimo quello della cortigiana alle prese con arrapati di cui riesce sempre ad ottenere favori materiali, con i personaggi che si rivestono dal bagno colmi di schiuma. Il più trucido è quello del principe che rinuncia ai suoi privilegi per l'amore di una serva, con lui che viene marchiato a fuoco e lei che rischia di finire con la vagina bruciata; ma pure negli episodi animati abbiamo due amanti che si accoppiano tra le due metà del rivale di lui ucciso e un infante a cui viene impiantata una testa di elefante.
Siamo quindi tra due sottogeneri del cinema italiano dell'epoca: l'erotico-esotico, per ambientazioni e razza dei personaggi, e il decamerotico per il gusto aneddotico. I personaggi, asiatici, sono superdoppiati, con un effetto grottesco, finto, che indispone. Il tono generale, tra gli insegnamenti del saggio e le linee di dialogo stile antico, è serioso come un cavallo, però ci sono delle uscite di cui non ci si capacita e che fanno esplodere la sala. Vivarelli non doveva essere uno stupido, quindi l'umorismo talora è volontario (v. sopra), talora c'è il beneficio del dubbio o il dubbio dell'ingenuità (come nell'inaspettata, breve lezione di kamasutra ad illustrare quanto bene si volevano il principe e la serva), ma più che divertiti si resta basiti. La noia è grande, l'erotismo inefficace a parte qualche nudo e non si vede l'ora di archiviare il film fra le proprie visioni. Vivarelli non ha il senso della misura, come dimostrano le banalmente micidiali scene d'amore, coi corpi che si strusciano al ralenti -ma vanno citati anche i bacetti e sospiri tra le coppie di scappati di casa appresso al saggio, che dovrebbero suggerire il loro amore-, o l'interminabile finale mistico, tra apparizioni divine a sorpresa e attori che si tolgono i loro veli. A riguardo viene in mente anche la sequenza tra le piume di Provocazione. Comunque, è come sparare sulla croce rossa e a sentire l'introduzione di Alberto Crespi e Stefano Della Casa -oltre che a leggere l'intervista a Vivarelli su un recente Nocturno-, è automatico pensare ad un personaggio migliore dei film che ha girato. Bene le lagne musicali di Baldan Bembo e le animazioni di plastilina dei titoli di testa, che insieme creano forse la cosa migliore del film.
A.V.

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