Usa/UK 2010. In sala dall'11.2.2011.
Con i telefonini imbustati come Fox vuole per le sue anteprime, è passato al festival il nuovo film di Danny Boyle, su un soggetto-bomba, da brividi e ispirato a una storia vera. Quella di Aron Ralston, l'arrampicatore rimasto vari giorni intrappolato in un profondo canyon a causa di un masso caduto tra il suo braccio e la parete rocciosa.
L'inizio del film è all'insegna di uno sfrenato vitalismo che riflette quello del personaggio, come se Boyle e il suo co-sceneggiatore Simon Beaufoy ce la mettessero tutta per farci familiarizzare in fretta con questo simpatico estroverso. In apertura c'è persino qualcosa di apparentemente demodè, lo split screen, su immagini di folle che fanno sport, che si muovono, pregano: il movimento e la presenza umana, tra le cose che poi verranno meno. Infatti, improvvisa, giunge la costrizione a star fermo per Aron, che raduna gli oggetti che ha nel suo zaino, centellina la sua acqua, si filma con la videocamera covinto di registrare l'ultimo saluto, fa modesti tentativi con un coltellino.
Boyle affronta la sua materia in un modo, in un certo senso, radicale e di petto, ma non imprevedibile per uno che aveva diretto Trainspotting: a fronte di un soggetto quantomai claustrofobico, mette in campo tutte le sue possibilità per animare un film che in teoria vedrebbe un solo attore recitare in un solo luogo per la maggior parte del tempo. Flashback, visioni, soggettive vere o simulate, lunghe, spericolate (ad esempio, quella che parte da lui per arrivare all'irraggiungibile vettura del protagonista, nel cui cofano sta qualcosa da bere). L'inquadratura più singolare è forse quella dentro il braccio di Aron. Si insiste sul liquido, con inquadrature da dentro la borraccia, prima piena d'acqua, poi di urina. Tra le idee che funzionano meglio, ci sono quelle che esprimono un'amara ironia: un estemporaneo montaggio di spot di bibite e il far sentire Lovely Day di Bill Withers, tra le canzoni pop che il film propone soprattutto nella prima parte.
Uno dei temi che più emergono è quello della solitudine: il protagonista si pente amaramente dell'abitudine di non dire a nessuno dove va e si trova ad avere una compagna fittizia, mentale di persone care: il ricordo di una ex, la propria famiglia riunita. Nonostante gli ovvi momenti di scoramento, il film pare anche un elogio alla forza di volontà e allo spirito di resistenza, dato che Aron non perde il suo senso dell'umorismo e infine decide il gesto estremo, in una scena molto sensoriale e impressionante, di amputarsi il braccio. James Franco è discreto, senza esaltare. Il film è convincente, anche se, pur mantenendo molto abilmente l'attenzione spettatoriale, non trasmette tutta la tensione o l'emozione di una vicenda così estrema e se ne esce pressochè indenni. Toccante, alla fine, vedere il vero Ralston.
A.V.