Italia 2002. Di Roberto Burchielli.
Chi scrive ha di recente scritto una Tesi sul cinema musicale italiano, dimenticandosi clamorosamente e colpevolmente di questo film. Rimediamo. Aurelio Milano inventa un dispositivo, il trasognatore, in grado di interferire con i sogni delle persone in modo da cambiare e correggere i loro pensieri. Con esso, prova ad istillare nell'amata Chiara, candidata a sindaco di Genova, che non lo considera proprio, di essere l'uomo giusto (con risultati grotteschi: sbaglia direzione del flusso di messaggio, che arriva ad una squadra di pompieri...). L'apparecchio viene però rubato da tre tassisti (tra i quali Claudio Nocera, scomparso nel 2004), i primi ad aver accettato di essere testati, che lo usano per arrivare al successo professionale - persuadendo chiunque a utilizzare i loro taxi - e "politico" - cercando di soffiare la poltrona a Chiara - . L'effetto del trasognatore, però, si può interrompere: tramite i baci.
Nonostante la loro discreta notorietà anche televisiva, il primo e unico film con i Cavalli Marci, distribuito da Medusa, viene ingiustamente snobbato e rifiutato dal pubblico. Si tratta di un vero e proprio musical, quindi un oggetto raro per il cinema italiano e in effetti è proprio un film alieno, che sembra venire da un'altra dimensione. E, sorpresa, si tratta di un film riuscito. Benissimo orchestrato, fila come un treno senza far calare mai l'attenzione, con una perfetta tempistica di sceneggiatura e montaggio. Reinventa la realtà con fantasia, umorismo e professionalità. Le sequenze musicali dimostrano un buon uso delle comparse e degli spazi urbani, fiducia nei propri mezzi: non mancano spettacolari, colorate inquadrature dall'alto, alla Busby Berkeley per così dire, ma i momenti migliori sono un paio di serrati medley di canzoni che si incastrano l'una nell'altra a comporre una sorta di dialogo, operazione simile a quelle effettuate dal gruppo sul palcoscenico (v. youtube). Talora invece sembra di vedere balletti di uno show tv in acido. Si tratta di una favola, che si conclude con un lieto fine e i "cattivi" che vengono puniti, mentre viene consacrato l'amore. Ma prima, mette quasi i brividi la sequenza al talk show politico, coi tre che spadroneggiano sicuri di vincere con la loro modesta proposta politica, spalleggiati da tutti coloro che han subito il lavaggio del cervello, trattando malissimo la rivale.
Un film pulito, sorridente, perfettamente conchiuso, non indegno di un musical della Hollywood d'epoca, in cui è evidente l'impegno di talenti al lavoro. Non per tutti i gusti forse, un po' stucchevole magari - nella maschera così solare di Michelangelo Pulci - , ma senz'altro da riscoprire. Troppo strano e fuori da qualunque moda per avere successo. A fare un po' da "padrino" all'operazione, Gino Paoli, che torna al cinema 40 anni dopo Urlo contro melodia nel Cantagiro '63 e fa varie brevi comparsate nei panni del fantasma del padre del protagonista.
Alessio Vacchi
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