Il "cinema allo stato puro" è quello costruito per via principale dalle immagini, unite fra loro al montaggio a formare un'idea e di conseguenza una reazione emotiva nello spettatore. D'altronde, il promotore di questo concetto ostenta nelle sua parole un'indifferenza verso il contenuto, a favore della tecnica della narrazione: è con le emozioni suscitate da essa che gli interessava arrivare al pubblico.
Un anno fa è uscita, per Minimum Fax, questa raccolta di interviste al regista inglese. Una cernita di scritti che vanno, con ampi salti temporali, dal 1929 al 1974, anno di quello forse più divertente, una conversazione a tavola con Andy Warhol. E' utile l'introduzione di Sidney Gottlieb nel ricordare con chi stiamo per avere a che fare, affrontando la lettura: con un regista straintervistato, ma la cui grande disponibilità nel prestarsi a questioni sul suo metodo e sulla sua opera non devono portarci a pensare ad una trasparenza. Hitchcock fa uso di ironia, sembra giocare con l'intervistatore di turno per mezzo del suo personaggio, costruendolo -ed è massimamente indicativo a riguardo il pezzo di Claude Chabrol, che aveva subodorato la cosa-. Non che il libro manchi di sostanza, tutt'altro; ma oltre che con la sua filmografia, si ha a che fare anche con la personalità peculiare di Hitchcock. I discorsi vertono soprattutto sul periodo americano del regista e portano alla luce l'inventiva, il pragmatismo, i punti fermi ma anche talune modifiche di opinioni (ad esempio sull'importanza delle star) dell'autore.
Uno dei limiti è la ripetitività, perchè tra un'intervista e l'altra alcune cose vengono ripetute ad nauseam -ad esempio, la questione della differenza tra il giallo classicamente inteso e il film di suspance, o il decrescere della violenza in Psycho-. E peccato ci si fermi prima dell'ultimo film, Complotto di famiglia -in compenso, su Frenzy del 1972 si parla molto- e rimangano dei buchi, dei film del periodo inglese di cui non c'è traccia. Ma è una lettura piacevole che può fungere da complemento ai meno recenti testi sul regista, e se ne esce con un pò di invidia per chi ha potuto venire a contatto col maestro.
Alessio Vacchi
Un anno fa è uscita, per Minimum Fax, questa raccolta di interviste al regista inglese. Una cernita di scritti che vanno, con ampi salti temporali, dal 1929 al 1974, anno di quello forse più divertente, una conversazione a tavola con Andy Warhol. E' utile l'introduzione di Sidney Gottlieb nel ricordare con chi stiamo per avere a che fare, affrontando la lettura: con un regista straintervistato, ma la cui grande disponibilità nel prestarsi a questioni sul suo metodo e sulla sua opera non devono portarci a pensare ad una trasparenza. Hitchcock fa uso di ironia, sembra giocare con l'intervistatore di turno per mezzo del suo personaggio, costruendolo -ed è massimamente indicativo a riguardo il pezzo di Claude Chabrol, che aveva subodorato la cosa-. Non che il libro manchi di sostanza, tutt'altro; ma oltre che con la sua filmografia, si ha a che fare anche con la personalità peculiare di Hitchcock. I discorsi vertono soprattutto sul periodo americano del regista e portano alla luce l'inventiva, il pragmatismo, i punti fermi ma anche talune modifiche di opinioni (ad esempio sull'importanza delle star) dell'autore.
Uno dei limiti è la ripetitività, perchè tra un'intervista e l'altra alcune cose vengono ripetute ad nauseam -ad esempio, la questione della differenza tra il giallo classicamente inteso e il film di suspance, o il decrescere della violenza in Psycho-. E peccato ci si fermi prima dell'ultimo film, Complotto di famiglia -in compenso, su Frenzy del 1972 si parla molto- e rimangano dei buchi, dei film del periodo inglese di cui non c'è traccia. Ma è una lettura piacevole che può fungere da complemento ai meno recenti testi sul regista, e se ne esce con un pò di invidia per chi ha potuto venire a contatto col maestro.
Alessio Vacchi
Nessun commento:
Posta un commento