Usa 1996. Su dvd Stormovie.
Amityville Horror, film del 1979 diretto da Stuart Rosenberg, ebbe un grande successo di pubblico, originando, come ogni trionfo commerciale, una lunga serie di seguiti. Tra questi Amityville Dollhouse, realizzato per il mercato homevideo da Steve White, produttore televisivo qui alla sua prima e unica esperienza dietro la macchina da presa. Il film narra le vicende di una tipica famigliola americana, appena trasferitasi in una inquietante magione rurale. Nel capanno degli attrezzi, il pater familias trova una casa delle bambole che, da buon padre tirchio e disattento, non esita a regalare alla sua figliola di dieci anni. Come già anticipato dal titolo, è questa casa delle bambole a rivelarsi un vaso di Pandora pronto a liberare forze arcane e demoniache. Queste sataniche presenze non tardano a impossessarsi dei componenti della famiglia, facendo prevalere il lato oscuro di ognuno di loro. Il padre diventa brutale e aggressivo (sono espliciti i riferimenti al Jack Torrance di Shining), la madre ha fantasie erotiche sul figliastro e la bimba rischia la morte per l’eccessiva vicinanza con i giocattoli diabolici. Solo il fuoco potrà purificare quest’ambiente imputridito dal male.
Una trama esile e scontata che conferma la prima impressione, chiara fin dai titoli di testa: Amityville Dollhouse è un prodotto similtelevisivo, girato male. White si dimostra incapace di gestire la tensione, utilizzando piani fissi, statici, che paralizzano il ritmo dell’intera pellicola e persino i semplici campi-controcampi nelle sequenze di dialogo appaiono finti e stucchevoli. Gli interpreti sono anch’essi insufficienti, volti senza personalità e senza qualità e il doppiaggio italiano non aiuta a migliorarne la credibilità recitativa. Persino le bamboline malefiche sono ridicole, con un aspetto più simile a strumenti voodoo che al Chucky de La bambola assassina) e in generale il film ha carenza di ritmo, tensione e ironia. Siamo quindi lontani dal valido capostipite della serie come dal discreto seguito diretto da Damiano Damiani (Amityville Possession, 1982). L’unico aspetto degno di nota è il lato melodrammatico, forse involontario, derivato dalle contrastate e burrascose dinamiche familiari, che disgregano il nucleo abitativo più delle presenze sataniche. Volendo forzare le intenzioni di mero intrattenimento dell’operazione, si può infatti ravvisare una critica di fondo all’ipocrisia americana, alla classica famiglia “da Mulino Bianco” presente in tanti film, che sotto la fatua superficie di felicità, nasconde scheletri e fantasmi pronti a venir fuori, magari sospinti da qualche bizzarra forza soprannaturale. Ma nonostante questa possibile lettura sociologica, Amityville Dollhouse rimane un prodotto di scarsa qualità, inconcludente e talvolta ridicolo, buono solo per una serata masochistica all’insegna della totale noia cinematografica.
E.F.
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