domenica 11 dicembre 2011

Io c'ero. Festival ed eventi vari. 29 TORINO FILM FESTIVAL, 25/11-3/4/2011. SUICIDE CLUB


Giappone 2002. Di Sion Sono.

Il film più famoso del regista giapponese cui quest'anno è stata dedicata la sezione “Rapporto confidenziale” si apre con una sequenza di suicidio collettivo scioccante e anch'essa relativamente nota. Ma ce n'è una similare e migliore ed è quella del suicidio dal tetto della scuola, che inizia come un gioco fatto per parodiare quel gesto e diventa un atto estremo compiuto col groppo in gola e con pochi indecisi che tentennano. Cosa o chi c'è dietro queste infornate di suicidi compiuti come riti premeditati? La polizia indaga sulla traccia di un rotolone composto da quadretti di pelle umane e un sito web. Ma le morti non si fermano, anzi e la verità sembra inafferrabile. Dopo la cattura di apparenti “colpevoli”, una ragazza si avvicina ad un'altra verità.
Ci sono quindi atmosfere di suspance, gore e indagine poliziesca, ma il film sta molto stretto sotto l'etichetta di un genere, meno sotto quella più generalista di “drammatico”. Sembra che Sono abbia tenuto volutamente a maglie larghe questi elementi per suggerire altre cose. Come una desolata solitudine esistenziale, uno sguardo triste sul proprio paese che si percepisce perlomeno un paio di volte, durante il montaggio alternato di alcuni suicidi individuali e in metro quando il commissario torna a casa. Ed è suggerita, non si dà realmente anche la risoluzione del caso: ci sono degli arresti, poi il film torna sulla pista del gruppo musicale di ragazzine, suggerita al pubblico già da un bel pezzo, ma non porta a qualcosa di soddisfacente. Suicide Club è un film che gioca più volte con bei ribaltamenti sulle aspettative come questo, come la fine delle due infermiere o i falsi allarmi per gli agenti sulla banchina della metro.
Crudo (nonostante gli spruzzi gore che accompagnano le cadute dei suicidi facciano sorridere), crudele (la telefonata dopo il massacro casalingo) e talora onirico (il “backstage” del concerto), convince meno nel segmento coi ragazzi sadico-goderecci del Suicide Club, kitsch e dove la violenza sembra rispondere un po' troppo alla volontà di stupire. Per i ragazzi suicidi del film, vita e morte sembrano alternative dal pari valore, anzi il gettarsi nella morte è affrontato come fosse un gioco, persino col sorriso sulle labbra, che solidifica per sempre un legame solidale con i compagni. Di fronte a un tale annullamento di valori (e la voce delle telefonate, per paradosso, fa prediche), la polizia brancola completamente, chiedendosi se sono suicidi o omicidi, se chi ci rimane è un criminale o meno, se c'è una forma di consapevolezza o sono emulazioni-ripetizioni del dramma visto all'inizio. Nonostante tutto, questo film mortifero si conclude con qualcosa di interpretabile come una sorta di invito alla vita, pur nella forma di un modesto balletto di teens.
A.V.

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