domenica 2 novembre 2008

Io c'ero. Festival ed eventi vari. CINEMA. FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL FILM DI ROMA. GALANTUOMINI


Italia 2008. Di Edoardo Winspeare. In sala da novembre.

Winspeare ha dichiarato che voleva assolutamente Donatella Finocchiaro. Solo l'attrice catanese, a suo dire, possedeva quelle caratteristiche che dovevano esserci nel personaggio femminile. Sommando questo sentirsi necessaria al giusto premio come miglior attrice, si può dire che con questo film le sia andata bene.
Qualche cosa di Galantuomini è accostabile a Gomorra, per esempio la grottesca scena del giuramento di fedeltà, che mostra una squallida quotidianità del crimine. Ma Winspeare si muove su una strada più romanzata rispetto al film di Garrone. Più che un film sulla Sacra Corona Unita, è il percorso di una donna che vive ed opera nel mondo della criminalità organizzata, maschile e maschilista. Si sa far rispettare, ma la sua vita sembra solo serietà e sofferenza. Il suo essere una donna, ma che comanda, le viene spesso rinfacciato (la scena in barca) e le frutta quasi una violenza. E' anche madre. La disumanità del crimine è fatta emergere dal progressivo isolamento, messa in pericolo della protagonista femminile (un pò come nella vicenda del sarto di Gomorra). Che si rende conto del mondo in cui vive, ma come fare a smarcarsene? Lei sta in mezzo a, e va a letto con, uomini dalla parte della delinquenza, mentre il maschio ideale è evidente come sia l'amico procuratore, di bell'aspetto e dalla parte della legge, che è pure attratto da lei. Il film ci arriva, soffermandosi sulla loro raggiunta intimità. La donna può finalmente essere “femmina”; ma poi si termina con un finale notevole, sospeso, di quelli che paiono fatti apposta per fare brancolare e innervosire lo spettatore (e dunque assai graditi). Beppe Fiorello se la cava (non è esattamente coprotagonista, come il manifesto può far pensare), e così Gifuni, che è una scelta sensata per un personaggio di uomo mite e probo. Ogni tanto Winspeare fa vibrare della musica e guarda al “suo” paesaggio, quello leccese, ma non c'è banale folklore. Per questo, per l'intensità dell'interpretazione e per lo sguardo registico sufficientemente non televisivo, si tratta di un film soddisfacente.
Alessio Vacchi

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