Tit. or. Up in the Air. Usa 2009. In sala dal 15 gennaio 2010.
Sarà una copertura o vero amore, la storia di George Clooney con la miracolata Elisabetta Canalis? Non ci frega, tantopiù che chi scrive non ha visto il film alla presenza dei due. Quello che ci interessa è che Clooney sia un attore pregevole, che fa piacere vedere sullo schermo. In Up in the Air veste il suo personaggio con disinvoltura, simpatia, agio; non fa chissà che, ma talora riesce a far ridere tutta la sala soltanto con la mimica facciale. Attore e personaggio paiono fondersi, mantenendo intatta l'attorialità di Clooney ma anche credibile il carattere interpretato. Sarà una banalità, ma viene in mente Cary Grant. Jason Reitman, nome emergente della commedia, è un regista furbo: Thank You for Smoking, accomunabile a Tra le nuvole per la presenza di un protagonista maschile che svolge un lavoro sgradevole, era un film provocatorio ma un pò inconcludente, Juno, con una grande Ellen Page (e a questo punto è il caso di dire che i protagonisti Reitman se li sceglie bene), era un film vivace e apparentemente anticonformista ma ruffiano e familista. Fermi tutti: non che sia per forza un male, il familismo. Ma andiamo con ordine.
Clooney è un licenziatore di professione, pagato da capi poco coraggiosi per comunicare ai dipendenti il benservito, con charme, cercando di non deprimerli e di far balenar loro la possibilità di un futuro. Amante dei viaggi in aereo con cui si sposta da uno stato americano all'altro per lavoro, intreccia una relazione molto occasionale con un'altra accanita viaggiatrice. Ci sono altre donne, nel film: una giovane collega, che con l'idea di licenziare tramite collegamento web rischia di fargli perdere il posto, e che lui si trascinerà qua e là per iniziarla al mestiere. Anna Kendrick interpreta simpaticamente questa figura apparentemente sicura e tutta d'un pezzo, destinata ad ammorbidirsi ma, forse per fortuna, non ad avere una storia col protagonista. Poi c'è una delle sorelle, prossima a sposarsi, per il cui conto lui porta in giro una sagoma di cartone raffigurante lei ed il futuro marito, per fotografarla su sfondi diversi, fornendo così loro un surrogato di viaggi che non hanno fatto, che non possono fare, al contrario di lui.
Reitman è astuto, si diceva, anche perchè il film tocca il tema assolutamente attuale della crisi e del lavoro che può interrompersi da un momento all'altro, soffermandosi più volte sulle reazioni perlopiù incredule dei licenziati, fino ad arrivare a un picco di drammaticità nella scena dell'inumano licenziamento che si compie da due stanze adiacenti. Il film, dopo una prima parte più sorridente e vivace (ma il dialogo solo a tratti si accende in stile slapstick), ne fa seguire una seconda più seria, dai sorrisi più malinconici, coincidente con gli ultimi fuochi lavorativi del protagonista e la presa di coscienza della sua solitudine. Il personaggio vorrebbe mettere la testa a posto, ma non riesce, forse non ha costruito abbastanza per poterlo fare. La vita è meglio se vissuta in compagnia, il contatto umano è importante. Tutto giusto ma il film calca troppo la mano, come non si fidasse dell'intelligenza spettatoriale, nel comunicare alla fine il messaggio familista e che una vita vissuta come quellalà, non paga: gli ex licenziati che ricordano come hanno tirato avanti grazie alla loro famiglia sono pleonastici.
A.V.
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