Italia 1992. Di Mario Orfini.
Warning: il seguente pezzo contiene anticipazioni sulla trama e sul finale che possono compromettere la visione a chi non conosce il film ed intende vederlo.
A cinque anni di distanza da Il burbero, Adriano Celentano torna al cinema per l'ultima volta. Sempre per le feste natalizie, ma in un progetto slegato dai suoi successi degli anni 80 e da Castellano & Pipolo. Contrariamente a quei film, stavolta il riscontro è terrificante (115 milioni di lire di incasso). Ma per quanto poco riuscito, Jackpot può meritarsi qualche considerazione. I credits dicono di un film con presenze di peso: nel cast trovano posto un mito come Cristopher Lee e una vecchia gloria come Carroll Baker, la fotografia è di Luciano Tovoli, il montaggio del premio Oscar Pietro Scalia, i costumi del nominato agli Oscar Maurizio Millenotti, alle musiche c'è anche Giorgio Moroder. Invero, sono sprecati per questa storiella. Un gruppo di bambini geni lavora in una fondazione (alla faccia della gerontocrazia!), capeggiata da una signora (la Baker) che vuole ritornare ad essere giovane. Cercano così il metodo perfetto per fare ringiovanire, sperimentando su una cavia umana virtuale che da vecchia diventa giovane (altro che Benjamin Button...) e ipotizzando un mondo popolato da bambini. Celentano diventa il loro "maestro di idiozia": capitato lì per caso, viene assunto per alleggerire le menti troppo concentrate dei bambini. Riesce a insegnar loro qualcosa, ma ci sarà una amara scoperta che rimetterà in discussione il progetto della signora.
Le tematiche che emergono sono quelle della vecchiaia, dell'utopia di un mondo perfetto, dell'utilizzo della scienza, della tecnologia virtuale (e qui il film risulta inevitabilmente datato). Ma anche, per contro e più celentanamente, del seguire una vita naturale, a contatto col mondo esterno: i suoi insegnamenti ai bambini sono espressi in sequenze infantilmente stucchevoli, che abbassano il film ad un target molto giovane (nonostante occasionali volgarità). Non è la sola cosa stucchevole: lo sono anche le smorfie e la mimica del personaggio di Swift, uomo virtuale, che vive e comunica tramite uno schermo azzurrato. Anche la voce di Totò Cascio, al limite della sua popolarità, non è una delizia, ma passiamoci sopra, perchè i piccoli attori non fanno una cattiva figura.
Se per larga parte il film pare involuto, e dopo aver messo le sue carte in tavola si dipana senza la minima tensione narrativa, nell'ultima parte compie uno scarto di drammatizzazione e ci conduce al mondo virtuale creato dai piccoli geni. Qui c'è qualche colpo di scena, il cui maggiore è lo scoprire che si tratta non di un'utopia ma di una distopia: i bambini, lasciati a sè stessi, sono liberi di essere carogne e, come una grossa gang, stanno schierati su un'impalcatura che ricorda quella della trasmissione di Alba Parietti Macao. Ergo: la scienza non deve superare certi limiti naturali, bisogna accettare la vita: non vivere rinchiusi a studiare e non sottrarsi all'invecchiamento. Mentre Lee ha una piccola parte di servitore, Celentano ha dalla sua qualche momento di exploit danzereccio e mimico, compreso un ballo in coppia che non sarà a livello di quello con Charlotte Rampling in Yuppi du (film recentemente sconciato da lui stesso, tra parentesi), ma può rendere Jackpot perlomeno consigliabile ai suoi fans. Una frase rimarchevole: "L'amore è una questione di udito: ti parlo, ti parlo e tu non mi senti...".
Alessio Vacchi
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