domenica 7 settembre 2008
Incompresi. NON CHIAMARMI OMAR
Italia 1992.
«Staino si è lasciato prendere la mano dall'ottimismo e dall'autoincensamento, affermando che il suo film è "bello e divertente". In tutta franchezza, questo non è vero». Le spietate Segnalazioni Cinematografiche così commentavano, con la voglia di ristabilire la verità su questo film scritto, sulla base del suo libro Nudi e crudi, dal grande disegnatore Francesco Tullio Altan (quello di Cipputi e della Pimpa, per chiarezza), insieme a Sergio Staino, che dirige.
Il film si apre seguendo la camminata di un bacarozzo, accompagnata dalla folle Alfonso 2000 di Rocco Tanica e Claudio Bisio. Straniante, ma il cast che appare è da leccarsi i baffi: Gastone Moschin, Stefania Sandrelli, Ornella Muti, Gianni Cavina, Corinne Clery, Elena Sofia Ricci, Barbara D'Urso, Michele Mirabella, Antonello Fassari... Lo sviluppo del film fa godere un po' meno. Pellicola corale, Non chiamarmi Omar racconta di un dottore (Moschin) che dimentica una scottante valigetta lasciatagli sul taxi (guidato da Cavina, con a fianco la moglie Sandrelli) da un uomo mediorientale. Ospite di una trasmissione radiofonica in cui si dovrebbe parlare d'amore (condotta da Mirabella), il chirurgo si troverà a guidare in diretta l'operazione di un ferito messo sotto dal tassista, mentre: la moglie del ferito (Muti), con un figlio degenerato, reincontra il suo vecchio marito (Fassari) legato all'operazione; il delinquente straniero sta sulle tracce della Sandrelli -che ha la valigetta-... Ed il quadro non è completo.
Capisco che non sia allettante da leggere, ma non lo è neppure particolarmente da vedere. Se non altro nella parte centrale le scene coi vari personaggi si succedono rapide. Qua e là si può ridere, ma la storia rimane un po' astrusa, priva di sufficiente mordente e motivazione, mentre la regia non brilla: l'unica idea significativa è il taxi che, all'inizio, si muove (ma è palesemente fermo) completamente circondato dalla nebbia della città. Commedia grottesca e “rocambolesca”, ambientata in una città brutta e nebbiosa, con vaghezze di satira -il primario che traffica, naziskin che passeggiano per le strade, la D'Urso che minaccia di fare un casino e cita pure la P2-, il film non è indigesto, né di certo imperdibile.
Comunque il cast non ne esce male. Due le presenze più degne di nota: Mirabella conduttore, che sta collegato con un ospedale, scatena cortocircuiti col vero conduttore di Elisir, mentre Vinicio Capossela ha un ruoletto e porta al film alcune canzoni, tra cui quella finale. La Sandrelli è dolce, Corinne Clery sembra prendere il giro il suo essere (stata) sex symbol, Elena Sofia Ricci è bella coi capelli corti nella parte di un onorevole dalle risposte pungenti, mentre la Muti appare per gran parte più dimessa. Tra l'altro le donne ne escono “meglio” anche a livello di personaggi, perchè verso la fine del film si fanno strada solidarietà e furbizia femminili. Titoli di coda allegri in cui ogni personaggio si presenta al pubblico ammiccando in macchina, con in sovrimpressione un'appellativo per ciascuno. Uno di quei film italiani strani i quali stuzzicano la curiosità (almeno di chi scrive), ma che durante la visione ti fan chiedere quante fossero le speranze, da parte dei realizzatori, che il prodotto sarebbe stato apprezzato. Bisogna ammettere che il manifesto, disegnato da Altan, nella sua... semplicità autoriale sia meglio riuscito del film. E non inganni la nudità delle due figure femminili.
Alessio Vacchi
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