domenica 1 giugno 2008

In sala. Riflessioni su BE KIND REWIND


L’ultimo film di Michel Gondry denuncia qualche stanchezza; forse il regista francese perde qualcosa, mancando il supporto del trattare di sentimenti -oltre che lo sceneggiatore Charlie Kaufman-. Tuttavia, archiviando anche il solito doppiaggio, mi pare che Be kind rewind sia quantomeno interessante per il portato teorico che se ne può trarre, riguardo temi legati alla creazione e fruizione delle immagini in movimento.
Gondry sta tra un affetto, una nostalgia per il vintage ed un atteggiamento più propositivo. Ha un occhio di riguardo per le cose che rischiano di scomparire: in Eternal sunshine… era la sostanza immateriale dei ricordi, qua, più “nerdisticamente”, sono prima di tutto le vhs. La videoteca del film è un luogo di resistenza alla modernizzazione, baluardo di una diffusione del cinema con l’esclusivo tramite delle ormai obsolete videocassette; anche quando i protagonisti girano, utilizzano una videocamera vecchia, il cui supporto è quello.
Il film ci comunica presto che il posto è fortemente a rischio di sopravvivenza (così da poter simpatizzare di più coi simpatici cialtroni che lo gestiscono). I titoli su cui questo punta sono classici, o almeno film famosi. All’opposto, diretta concorrente del negozio -e di questa concezione, meglio, di questo modo di essere- è la videoteca di una catena: solo dvd, meno titoli ma in maggior numero di copie e “nessuna competenza specifica” da parte di chi è al banco, come viene detto in una esplicita frecciata. Curioso che Gondry “difenda” le videocassette e “ce l’abbia” con i dvd (penso anche al finto spot, in cui un’anziana dice di non saperlo usare) in un periodo in cui si sta facendo strada addirittura qualcosa in più del dvd, l’hd-dvd/blue-ray.
Il valore centrale che emerge dal film è quello della creatività; che però è destinata a venire a patti con la realtà. Lo Stephan di Science of sleep, con la sua Stephan-tv, si faceva “produttore” di sue immaginarie immagini (pardon) in movimento personali in cui si fondevano fantasia ed esperienza; i due videotecari del film prendono a produrre materialmente filmini-remakes, con pochissimi mezzi e tempi super-limitati, ma con ingegnosità. I loro cervelli lavorano alacri, proprio perché devono muoversi. La ricezione dei loro prodotti: se la clientela prima sembra scontrosetta (la Farrow, la ragazza maltrattata da Black), quando scopre questo “nuovo” cinema lo accoglie calorosamente, non solo: fa iniziare una produzione di film fatti su richiesta.
Finchè questa febbrile creatività, questo riutilizzo disinvolto di materiale già esistente, viene bloccata dai piani alti: vestiti eleganti -quindi contrapposti alle colorate divise dei videotecari/filmakers-, i rappresentanti delle majors fanno presente che tutto ciò non è accettabile. Sono “i nostri film”, si difendono i filmakers; no, è qualcosa di parassitario, di abusivo, sostengono gli altri. Questa offensiva degli “amministratori” della cultura porta ad uno stadio ulteriore: dal film su richiesta, passando per il film che coinvolge chi lo richiede, al film della comunità, girato con e per la gente.
Un’escalation partecipativa, che riflette, a suo modo, dinamiche in atto oggi: con youtube e le web tv si va verso una creazione e proposta di immagini in movimento proprie. Il fatto che la comunità reagisca molto positivamente alla proiezione (di un film girato con look old style, poi), conferma questo: come se il pubblico fosse disposto a vedere cose di qualità estetica minore, ma fatte da sé, o “col cuore”. Anche se va rilevato come il lieto fine sia parziale.
Nel mostrare le gesta dei protagonisti, si strizza poi l’occhio ad un certo grado di sovversività: il graffitare il muro all’inizio, il tentativo di sabotaggio alla centrale elettrica, l’irruzione notturna nel negozio rivale a suon di vetri rotti. Anche in un momento delle riprese, essendo non autorizzate, irrompe la polizia. Insomma, Gondry esprime non solo un’anima nostalgica/demodè, a cui va condotta anche la preferenza per i trucchi in scena, qui diegeticamente fatti compiere ai personaggi nelle loro sgangherate riprese, ma dice anche qualcosa su un aspetto dei tempi nostri.                           Alessio Vacchi

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