domenica 16 marzo 2008

Tra pagina e schermo. THE NIGHT FLIER


Usa 1997. Di Mark Pavia. Con Miguel Ferrer. Su dvd De Agostini, Hbo (regione 1).

La fedeltà ad un testo letterario nella trasposizione in celluloide si rivela particolarmente ardua quando il testo in questione è un raccontino di poche pagine. Subentra per gli sceneggiatori il problema di “allungare il brodo” e nel contempo non smarrire l’incisività che era alla base del successo riscosso sulla pagina scritta. In tal senso possiamo dire che Mark Pavia ha svolto egregiamente il proprio lavoro: il presente film è infatti un piccolo ma grazioso esempio di cinema dell’orrore ben fatto, che riesce a mantenere lo spirito del racconto kinghiano che l’ha ispirato pur sacrificando necessariamente qualcosa alle esigenze produttive. La sceneggiatura smarrisce la continuity che caratterizzava il racconto (il reporter Dees è un personaggio già apparso in un precedente romanzo di King, La zona morta), ma ne mantiene intatte le caratteristiche di fondo. Ferrer è assai convincente nel ruolo del giornalista cinico e disilluso, ridottosi a pubblicare articoli di bassa lega per giornalacci scandalistici; come nel racconto, è un uomo che dietro l’apparente mancanza di scrupoli che il proprio mestiere gli impone si tormenta con interrogativi sull’eticità di manipolare le notizie e far leva sugli istinti più bassi del lettore per vendere. Identica l’idea di mantenere in ombra la figura dell’aviatore-vampiro fino al confronto finale, stesso citazionismo autoironico (il succhiasangue si fa chiamare “Renfield” in omaggio ad uno dei personaggi del Dracula di Bram Stoker, e proviene da Salem’s Lot – ovvero, la città maledetta immortalata nell’omonimo romanzo di King sui nosferatu), stesso sapiente ricorso alla tensione e al gore. Anche il sottofinale, col confronto fra il giornalista e il vampiro nella toilette dell’aereoporto teatro dell’ennesima strage, è reso in maniera fedele e con adeguata capacità di spaventare (bellissima la trovata degli specchi che non riflettono il vampiro intento ad orinare); accentuando se possibile nei dialoghi il parallelismo fra il reporter e il mostro, accomunati dallo stesso bisogno necrofilo di vivere a contatto con la morte violenta (“siamo simili, tu ed io”). Il film prende le distanze dal racconto nella conclusione: se infatti sulla pagina Dees sceglie l’autoconservazione, rinunciando ad indagare ulteriormente sulle scorrerie sanguinarie del non-morto pur di salvare la pelle, nel film sceglie l’autoimmolazione, affrontando le risposte alle sue domande tramite un confronto diretto col mostro e i segreti da esso celati; perché scrutare nell’abisso per Dees significa anche confrontarsi coi propri fantasmi personali, con la tenebra che si porta dentro. E i fantasmi hanno le fattezze degli zombies che hanno fatto la fortuna del cinema horror anni 70/80; larve che rappresentano simbolicamente la putrida essenza di cui sono composte le notizie con cui il protagonista si guadagna da vivere e lo perseguiteranno fino alla sua morte. Morte che non porrà fine alla perversa eredità da lui lasciata e pronta ad essere raccolta da una giovanissima reporter, più ambiziosa e scafata del povero Dees (e forse ignara di votarsi allo stesso oscuro destino del suo predecessore).                                                                      Corrado Artale

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