domenica 10 maggio 2009

Io c'ero. Festival ed eventi vari. DA SODOMA A HOLLYWOOD 24. UK 1979/2009-FROM ASHES TO ASHES TO THE COMMON PEOPLE GENERATION



Merita di essere notata la considerazione del GLBT Filmfestival verso la musica pop. Oltre alle esposizioni di dischi nel locale (quest'anno quelli di Judy Garland), le proiezioni in tema sono quantomeno interessanti. Come questa selezione di music videos di brani di provenienza inglese, "dove si sono preferiti quei videoclip che hanno maggiormente influenzato la (contro) cultura giovanile dei giorni nostri". Consideriamone alcuni dei venti proposti.
Si comincia con dei classici di David Bowie: Life on Mars è piena preistoria del videoclip, affidato semplicemente a lui in scena circondato dal bianco, mitigato dai suoi colori -il vestito e il contorno occhi azzurro, la chioma rossa-; Heroes, quattro anni dopo, è la stessa storia un pò peggio, con l'artista in scena, illuminato, al centro senza neppure un look che incuriosisca. In Ashes to ashes Bowie è invece conciato da Pierrot in riva al mare, con colori possibili solo all'epoca (1980): malinconicamente weird. Con Fade to grey dei Visage è ancora avvertibile che siamo ai primi veri passi del videoclip, con lo sfondo nero, la posizione centrale dei soggetti, le inquadrature fisse, compensati dalla messinscena di visi e corpi modificati dal trucco. Love will tear us apart mostra i Joy Division che suonano, coi colori che a volte se ne vanno in acido. Gli Smiths di This charming man cantano al chiuso ma su un tappeto di fiori, mentre per There is a light that never goes out Derek Jarman sovrappone alle immagini di un ragazzo dormiente quelle di due che si baciano, di fiamme, di visioni urbane. Con un salto temporale di nove anni si passa ad uno dei video più belli e vitali della selezione: il colorato Common people dei Pulp diverte con Jarvis Cocker rimpicciolito portato a spasso su un carrello, con gli improbabili movimenti in loop, di ballo (qualche anno prima dei Rem di Imitation of life) e di vita quotidiana (ricordando i Residents di The gingerbread man). Waking up degli Elastica, più semplice, è comunque degno di nota per le inquietanti presenze nude sedute mentre la band si esibisce, e per la regia che si muove zoomando sui volti o vicino ad essi, e poi correggendosi. Bella la trovata dei Blur che in Charmless man rovinano la vita del protagonista trovandoglisi continuamente di fronte a suonare, in qualunque posto. Serio e malinconico So young dei Suede, che a parte il gruppo in bianco e nero ed in pose varie, con le sue immagini di viaggio e di un falò trasmette l'idea di un'addio all'infanzia. Michael per i Franz Ferdinand, dalla fotografia fredda, è claustrofobico nello stipare spazio e inquadrature con le presenze umane in scena, la band e la gente che balla, ancora, in loop, fino a che il gruppo non subisce delle curiose "mutazioni" genetiche. Più narrativo e dotato di un intro L.S.F. per i Kasabian, che si esibiscono in un carcere femminile in cui sta nascendo una rivolta, di cui è oggetto utile l'armonica del cantante. Musica-ribellione-inversione di ruoli, anche se il pezzo dei Kasabian non è certo sovversivo. Everyday I love you less and less per i Kaiser Chief è diretto da Tim Pope, che negli anni Novanta ha diretto alcuni film ma è poi tornato a girare videoclip. Giocato sul mondo visivo parallelo dei raggi X, col gruppo scheletrito. These grey days, Eight Legs, in un bianco e nero povero, è tenero nel giocare sull'inversione di gravità, col povero cantante che apre confezioni che gli si svuotano in faccia e si vede piovere addosso dal basso.
La selezione di video si incarta un pò in quest'ultima parte, con una serie di brani recentissimi e tritati dall'airplay radiofonico e la cui influenza sulla cultura giovanile è decisamente da dimostrare. E' pur vero che anche questi, ascoltati con l'audio di una sala cinematografica, acquistano più sapore: come Daddy's gone dei Glasvegas, Lucy the castle dei Twisted Wheel che nel seguire un pezzo veloce sta vicino a volti, strumenti, gente che balla e svolge il suo dovere, The last of the English roses di Pete Doherty che è bruttino ma propone un coraggioso bacio gay alla fine. Il pubblico applaude spesso ed effettivamente ci si diverte.
Alessio Vacchi

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