Il protagonista di Pity
– nel film i personaggi non
hanno un nome – è un avvocato che vive immerso in una tristezza e
serietà luttuose: la moglie è in un letto d'ospedale, con scarse
possibilità di una ripresa. Piange ogni mattina, parla della sua
situazione e del suo status di semi-vedovo, viene compatito e “coccolato” (una
vicina gli prepara regolarmente una torta) dalle persone con cui
viene a contatto, rimprovera il figlio quando lo sente suonare al
piano un motivo felice, e si avvicina morbosamente ma educatamente
alla vita di una coppia di clienti il cui padre è finito male.
Finché succede l'insperato, ma in un certo senso anche il non
voluto: la consorte torna. La sua vita dovrebbe svoltare in positivo,
ma lui vorrebbe continuare a vivere e stare come prima, a venir
visto stare male.
Cosa ci si può attendere
da una commedia nera greca contemporanea, con questo soggetto,
scritta (insieme al regista) dallo sceneggiatore abituale di Yorgos
Lanthimos? Un film così. Non che sia un male, se stile e spirito del
cinema di quel regista sono nelle proprie corde. Lo spunto (degno di
un double bill con Ride,
per il tema della dimensione sociale del lutto) è ottimo,
nell'intingere penna e sguardo in parti della nostra psicologia
spiacevoli da esporre: quanto ci può piacere essere oggetto di
attenzioni pur sfruttando una circostanza tragica. Provare dolore è
noto che non faccia stare bene, ma per il protagonista è
un'abitudine che è andata a nutrire la sua vita, e le parole altrui
un routinario – vediamo situazioni analoghe ripetersi più volte –
conforto quotidiano non tanto per quel che prova, ma per la sua
identità. Certo, nulla di tutto questo traspare dal suo volto:
alcune cose che pensa e non dice, parti del suo piano si può dire,
passano attraverso cartelli come pagine di un diario. Ma la
recitazione è completamente asciugata dell'espressione emozionale,
lui è impassibile dall'inizio alla fine, in un film messo in scena –
come preventivabile – attraverso uno stile a essenziali tableaux
poco vivants, e una macchina
da presa che si muove sporadicamente, il tutto bagnato da irruzioni
di musica alta (in tutti i sensi).
Da
un certo punto, all'insorgere delle sue difficoltà nel continuare a
comportarsi e a essere oggetto dello stesso trattamento di prima, il
film si apre ad alcuni momenti di un divertimento che mette un poco a
disagio, perché assistiamo allo smantellamento di un modo di vivere
di un uomo e delle sue idee chiare e fissate a riguardo. Pity
è sicuramente programmatico
nella sua veste cinematografica, prima che nel portare il suo assunto
e la traiettoria del protagonista (che vuole vivere come in lutto...)
a “inevitabili” estreme conseguenze. Un cinema chiuso e spietato,
anche se col sorriso; non per tutti i palati, ma abbastanza riuscito
nel porci di fronte un personaggio il cui costitutivo dark
side parla di noi.
A.V.
Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=Cj-skgdrZ5g
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