Carolina
(Chiara Martegiani, compagna di Mastandrea dal cv cinematografico
scarno) è vedova di fresco. L'indomani ci saranno i funerali del
marito Mauro: cerimonia importante, per la quale è previsto
anche l'arrivo di telecamere: lui è morto durante il
lavoro in una fabbrica centrale in quella cittadina. Mentre il figlio
Bruno si prepara a un'eventuale intervista con un amico - per fare
bella figura agli occhi di una coetanea - , il padre di Mauro (Renato
Carpentieri) passa la giornata con gli ex colleghi, tra
considerazioni amare e un pranzo, finché l'altro fratello, quello
messo da parte (Stefano Dionisi), verrà a cercarlo. Intanto,
Carolina ha un problema: non ce la fa a esternare il dolore che
ritiene opportuno e richiesto, e che gli altri si attenderebbero. Non
è tanto un mancato amore per chi non c'è più, ma quel che prova
non la fa arrivare alle lacrime. Forse deve ancora metabolizzare:
fatto sta che non riesce a piangere. Però ci prova.
Mastandrea,
col suo co-sceneggiatore Enrico Audenino, porta avanti il film su
queste tre tracce parallele. La protagonista sta fra le mura di casa,
con il figlio e con chi la va a trovare e le racconta di sé, quasi
che le lacrime fossero un pretesto (con simpatico cameo di Milena
Vukotic, impicciona che pensa di darle lezioni di vita); quella del
figlio con l'amico è la parte più apertamente umoristica del film,
mentre quanto riguarda Carpentieri è più drammatico. Se dovendo
etichettare il film lo si può definire una commedia, i toni di
questi segmenti sono comunque suscettibili di cambiamenti.
Nel
personaggio di Bruno, Mastandrea sembra mettere sulla scena un
surrogato che compensi la sua mancanza davanti alla macchina da
presa. E qui, se non la protagonista, lo spettatore ride: forse c'è
un leggero calcare la mano in questi passaggi (complimenti però ad
Arturo Marchetti, che sembra un commediante “sgamato”), tuttavia
va ammesso che quando il film vuole suscitare quella reazione ci
riesce, così come quando, a un certo punto, preme il pedale della
commozione.
Il
difetto più evidente che si può imputare a Ride è
allo stesso tempo qualcosa che non disturba la visione, anzi: un
leggermente eccessivo appoggiarsi – un lasciar fare – alla
bellezza e alla forza delle canzoni scelte, a cominciare da quella
Dancing With Tears in My Eyes degli
Ultravox che accompagna la prima prova di commozione che vediamo
compiere alla protagonista. Mentre una nota di merito va a
all'essersi accostati al tema del lavoro e relative morti, in modo
non consolatorio. Ma a parte dei possibili puntini sulle “i” si
tratta di un esordio sostanzialmente riuscito, un lavoro che ha una
sua freschezza, in cui si percepisce un piacere di fare del cinema,
di mettere in scena delle situazioni (vedi anche la nota dolce del
finale accompagnato da E sei così bella:
sebbene poi quel finalissimo lo si poteva evitare). Uno di quei film
che ci mette poco a sintonizzarsi con chi lo guarda e a farsi voler
bene: peccato che non sia stato di questo avviso il pubblico delle
sale, che lo sta condannando a un grande e non giusto insuccesso.
A.V.
Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=QkeOHTr7Pzg
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