lunedì 5 dicembre 2016

Io c'ero. Festival ed eventi vari. 34 TORINO FILM FESTIVAL. LAVENDER

Canada/Usa 2016. Con Abbie Cornish, Dermot Mulroney. 

Jane ama fotografare case isolate. Non ha mai fatto pace coi vaghi ricordi della casa in cui ha vissuto da bambina e in cui era stata testimone (solo?) di un massacro. Ha visioni improvvise di bimbe e le capita di trovare oggetti: momenti che la portano a un incidente dopo il quale perde momentaneamente la memoria. Con marito e figlia, si trasferisce allora proprio nella casa dell'infanzia, non lontano da uno zio ritrovato, dove le visioni si intensificheranno fino a consentirle di fare i conti definitivamente col passato lontano e scoprire chiaramente cosa era accaduto circa trent'anni prima.
Di Ed Glass-Donnelly si era visto anni fa al TFF Small Town Murder Songs, un crime-movie intenzionalmente lasso. Questo Lavender, visto nella sezione “After hours”, è un film che, volendo cercare di etichettarlo, è più pienamente di genere, e in modo più classico (nel mentre, il regista ha diretto il sequel di The Last Exorcism, uscito anche in Italia), ma confrontando (a memoria) i due film, era meglio quando questi benedetti generi li prendeva più alla larga e in modo più personale.
L'approccio visivo del regista è all'insegna dell'ovattato. Si susseguono con una certa placidità visioni a vantaggio della protagonista e dello spettatore, comprese bambine che si fanno correre dietro (ma anche uomini, in un passaggio, non da buttare, nel quale la protagonista si intrappola in un labirinto di balle di fieno).
Il prologo sembra avere qualcosa di promettente, nel darci quadri della scena del crimine staticizzati ed esplorati tridimensionalmente dalla camera, ma la conferma che ci si è sbagliati arriva quando Glass-Donnelly (anche co-sceneggiatore) decide di mostrarci la dinamica del fatto di sangue, il chi e il come. Introdotta in modo pedestre da un personaggio (quello dello psichiatra a cui Jane viene affidata dopo l'incidente) che si discolpa indicando il vero responsabile, è una sequenza cui O'Donnelly dà spessore nella modalità evidentemente prediletta: quella del rallentare il tutto, fino a tornare ad effetti simili a quelli dell'apertura. Funziona così così, e il ridicolo è dietro l'angolo, prima del momento risolutivo di tutto quanto, che è rapido e poteva essere sfruttato meglio.
Se i boo scares sono soft, l'uso della musica, pesante e onnipresente fino a diventare noioso, dà un deciso contributo negativo all'insieme poco convincente. Il risultato complessivo è spuntato, bolso, con tensione e brividi quantomeno discontinui.
Gli interpeti, piuttosto medi, non aiutano ma non è neppure colpa loro se il film è molle: un horror drammatico, quasi per signore, che la dignità di horror la raggiunge ma è molto probabile che scontenti l'appassionato. E conferma in chi scrive i dubbi su un atteggiamento diffuso tra i seguaci dei generi: cosa è peggio, cosa vale più la pena di vedere tra un film che costeggia un genere pur non sentendo il bisogno di metterci mani e piedi, e un film come questo che è di genere ma poco riuscito?
A.V.

Il trailer: https://www.youtube.com/watch?v=-_ltn43Bx9A

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