lunedì 7 dicembre 2015

Festival ed eventi vari. 33 TFF. TE PROMETO ANARQUÍA

Messico 2015. Di Julio Hernández Cordón.

Miguel e Johnny, giovani skater e amanti, tirano su qualche soldo vendendo sangue loro e altrui alla delinquenza organizzata. Finché questa pratica non li coinvolge in un affare molto grave.
Hernández Cordón ha affermato che voleva attenersi a una sceneggiatura, ma non è andata così. Si apre e si slabbra, è quel tipo di film, ma senza perdere di vista il processo di una storia, i gesti dei personaggi e relative conseguenze. Se lo stile non cerca, di solito, una vera empatia coi personaggi, si finisce lo stesso “nel” film, complici anche delle buone scelte di colonna sonora, e anche per uno spettatore non cinefilo dovrebbe essere potabile. Col suo sguardo un po' distaccato e di testa, quindi, ma non distratto, Te prometo anarquía è fresco e fluido e se all'inizio l'impatto estetico sa un po' di video, poi non lo si nota più. Il rapporto tra i due ragazzi (col terzo incomodo costituito da una ragazza, Adri, che Johnny frequenta), e i loro dialoghi molto naturalistici (tra punzecchiature, cazzeggio e insulti) non sono le cose più interessanti del film, ma il mondo in cui si muovono, mostrato con l'utilizzo di long takes, è credibile. Ed è un contesto in cui il lavoro è una dimensione non pervenuta – tra giovani, adulti che fanno sport, delinquenti e trafficoni – che si apre (anche se trattasi di lavoro non qualificato) solo verso la fine, quando i protagonisti cambiano aria. Long takes come quello in cui il gruppo di giovani si muove in skate; o la cruciale, molto buona sequenza del doppio affare, col delinquente in cappellino che mette sotto, senza fare nulla di eclatante, Miguel e fa quel che deve fare con gli esseri umani-merce.
Certo, di fronte all'enormità del gesto in cui i protagonisti si lasciano coinvolgere e di cui diventano increduli complici – deportazione e massacro, fuori dalla vista, di decine di malcapitati – , la loro reazione non sembra neppure eccessiva: è vero che scorre del sangue, ma interiormente non ci sono sconvolgimenti, non ci sono sui volti dei protagonisti e neppure nel film o nella sua forma. Questo lascia un sapore strano: è spiegabile con lo sguardo “esterno” del regista, è eccesso di leggerezza oppure è che, si teme, l'accaduto in quel mondo non sia cosa non contemplabile, “solo” un incidente grave ma non insuperabile dal punto di vista del senso di colpa perché non al di fuori del possibile.
A.V.



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