Greg è un
insicuro liceale il cui principale hobby è girare, con l'amico Earl,
dei remake parodici di noti film. Come racconta lui stesso in voice
over, ciò che cambia la sua vita è l'amicizia, inzialmente forzata,
con una ragazza che frequenta la sua scuola, ammalata di cancro. Un
rapporto senza speranza che però inevitabilmente lascia a Greg dei
segni e un'influenza forte, in un certo senso trasmettendogli
sicurezza e maturità.
Film pseudo-indie
“alla Sundance” (dove ha ricevuto i gran premi della giuria e del
pubblico), Me & Earl... è un lavoro che ha tutte le carte
in regola per piacere e infatti è stato molto gradito, a quanto si
legge in rete. Su questa consapevole piacevolezza, che non lo è di
meno per il suo includere anche note aspre, è però il caso in sede
critica di mettere qualche puntino. La commedia dolceamara del 43enne
Gomez-Rejon (il cui esordio nel lungo era stato il remake di The
Town that Dreaded Sundown) piace
facilmente, si diceva, e si comprende che vuole farlo, mascherandolo
appena. Quanto funziona questo mascheramento dipende da quanto si è
sgamati, e/o da quanto si è disposti ad accettarlo. Comunque sia, a
occhi un po' esperti il film appare costantemente pensato, una tela
colorata stesa con esibita disinvoltura -e con una tavolozza
illuminata in modo palliduccio, con luci che entrano dando
morbidezza, che fa parte del pacchetto- di cui però si scorge sempre
l'ordito. Nonostante gli vada riconosciuta una dose di originalità
(anche visiva, perché nonostante l'aria blandamente wesandersoniana,
il chiedersi sempre dove mettere la mdp invigorisce) e non sia certo
un guscio vuoto, il film è al
contempo un meccanismo di cui lo spettatore un po' esperienzato
intravede i fili. E questi fili – o questo ordito – in
alcuni aspetti e momenti sono più evidenti che in altri: i
personaggi del tatuato e “combattivo” professore di storia e
quello dello sciallatissimo padre di Greg sanno troppo di originalità
cercata a tavolino, mentre le estenuate sequenze finali, di morte,
lutto e scoperte postmortem, non è che non funzionino, ma quello che
arriva oltre all'emozione è la coercizione alla commozione dello
spettatore, che “deve” emozionarsi. Anche ad elementi
simpatici-e-bizzarri come i filmini che i due ragazzi girano in
continuazione bisogna un po' sforzarsi di credere, e non convince il barare con lo spettatore, da parte del narratore-protagonista, su una questione centrale nel film. Non male, invece,
l'animazione che simboleggia l'impatto di una ragazza attraente
(Madison, oggetto del desiderio di Greg) sull'”indifeso” maschio
con cui interagisce.
Chi scrive non
l'ha detestato né è stato preso da attacchi di cinefilia militante,
ed è anzi cosa facile il consigliarlo; ma il paradosso è che il
film forse sarebbe stato più riuscito, o perlomeno si sarebbe levato
di dosso le perplessità spiegate sopra, senza questa impostazione di
piacioneria camuffata per persone ironiche e intelligenti. Musiche di Brian Eno. Piuttosto brutto
il titolo italiano, che ricorda quello di una vecchia trasmissione
con Villaggio.
A.V.
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