Il cinema ritrovato è un festival straordinario, un bagno di classici e cinema muto eccitante per ogni appassionato della settima arte. Otto giorni affollati di studiosi e appassionati da ogni parte del globo, oltre che di giovani e persino belle ragazze, nel pregevole contesto della cineteca di Bologna, col cinema Lumière e dell'ampia sala dell'Arlecchino, a breve distanza. Il programma è variegato e punteggiato da occasioni di vedere rarità, tesori di cineteca sfuggiti all'oblio. Senza contare la perfetta -sin troppo- aria condizionata delle sale. A ciò aggiungiamo anche che il catalogo del festival, così come quello della bellissima mostra allestita alla Cineteca sulle foto dai set western di Angelo Novi, costano solo 5 euro, e se ne conclude che vale la pena seguirlo.
Detto questo, chi scrive preferisce parlarne accennando solo a quanto ha effettivamente visto, nello scorcio di festival seguito. Il papà del cinema americano David W. Griffith era presente con un programma di quattro brevi film del 1909. Semplice (ma con l'utilizzo del montaggio parallelo) e drammatico The country doctor, con protagonista un medico diviso tra il curare la propria bambina e un'altra; il danneggiato A cricket on the hearth, da Dickens, la butta un pò in caciara; simpatico Pippa passes, con la religiosissima, angelica protagonista che al suo passaggio placa ogni proposito di violenza; mentre in The redman's view è messo in scena senza tanti "ma" lo sloggiamento degli indiani da parte di spicci "conquistatori", anche se con una nota morbida nel finale. Nel programma di titoli inerenti alla crisi economica, introdotti dal simpatico Eric de Kuyper, un altro Griffith dallo sguardo non morbido, The corner in the wheat, che racconta di povertà, speculazione e rincaro di prezzi: memorabile l'industrialone che rimane sepolto dal grano. L'inglese An attempt to smash a bank si incentra con toni da comica sulla crisi che colpisce un istituto. In Le trust è di scena lo spionaggio industriale, con una figura di detective privato tra le più sgradevoli e qualche ameno colpo di scena. Die borsenkonigin con Asta Nielsen è stato seguito (mea culpa) nel disperato tentativo di decifrare le didascalie olandesi, comprendendolo "a braccio": affari, amore e disperata gelosia, con una intensa (pure troppo) Asta Nielsen.
Della parziale (la produzione muta e i primi anni di quella sonora) retrospettiva di Frank Capra, Long pants, con uno dei più stupidi e fuorvianti titoli italiani di sempre, Le sue ultime mutandine, permette di vedere all'opera il comico Harry Langdon. Adulto ancora bambino, vestito in modo impacciato, che sogna di saperci fare con le donne, si imbatte nella "pericolosa" Bebe Blair per cui perde la testa. Il film spinge su lunghe e molto divertenti sequenze di comicità slapstick, come il tentativo del protagonista di far fuori la promessa sposa e quando scambia un pupazzo di poliziotto per uno vero (e viceversa). La donna di platino, sonoro, ambientato tra giornalismo e classe altolocata, ha battute efficaci, anche se il personaggio del protagonista è un poco troppo gaggio.
Le proiezioni serale gratuite in piazza Maggiore offrono modo di vedere il bel classico di King Vidor La folla, dalla regia estrosa, inaspettatamente comico senza intaccarne il lato drammatico. Maciste in vacanza, per la retrospettiva sui Macisti intepretati da Bartolomeo Pagano, è molto divertente: il gigante si presenta dal dottore affermando di essere esausto e gli sfascia un tavolo. Come in Maciste, si gioca sul metacinema: Maciste non riesce a fare vacanze tranquille perchè tutti lo riconoscono. Ama la sua automobile Diattolina, che considera come una moglie, come dice alla ragazza americana che è sì carina -pensa il gigante-, ma non efficiente come la vettura. Verso la fine il film prende ritmi da comica, con gag violente inaspettate -estrose uccisioni (non per mano di Maciste) di rivali in amore-. Per la sezione "Alla ricerca del colore dei film", La più grande avventura; vale la pena vedere un film di John Ford su grande schermo in un'ottima copia, anche se chi scrive non riesce a unirsi all'aureola di santità messa sulla testa del regista americano, che, almeno in casi come questo, fa un cinema sin troppo classico e sin troppo americano, dalle emozioni precotte. Opinione espressa con sincerità, senza la volontà di riscrivere la storia del cinema nè di provocare. Simpatica comunque Edna May Oliver nella parte della sveglia signora che si fa portare fuori col letto dagli indiani venuti a incendiarle la casa.
In conclusione, Die drei Marien und der herr von Marana aka Le tre Marie, uno dei pochissimi film sopravvissuti della ballerina e attrice tedesca Anita Berber (definita "Dea della notte" nel programma), è una di quelle chicche che però all'atto della visione annoiano un pò. Film in costume e d'amore curioso, ma pasticciato e che pare lungo.
Alessio Vacchi
Foto da http://www.cinetecadibologna.it/cinemaritrovato2009/ev/immagini.
Detto questo, chi scrive preferisce parlarne accennando solo a quanto ha effettivamente visto, nello scorcio di festival seguito. Il papà del cinema americano David W. Griffith era presente con un programma di quattro brevi film del 1909. Semplice (ma con l'utilizzo del montaggio parallelo) e drammatico The country doctor, con protagonista un medico diviso tra il curare la propria bambina e un'altra; il danneggiato A cricket on the hearth, da Dickens, la butta un pò in caciara; simpatico Pippa passes, con la religiosissima, angelica protagonista che al suo passaggio placa ogni proposito di violenza; mentre in The redman's view è messo in scena senza tanti "ma" lo sloggiamento degli indiani da parte di spicci "conquistatori", anche se con una nota morbida nel finale. Nel programma di titoli inerenti alla crisi economica, introdotti dal simpatico Eric de Kuyper, un altro Griffith dallo sguardo non morbido, The corner in the wheat, che racconta di povertà, speculazione e rincaro di prezzi: memorabile l'industrialone che rimane sepolto dal grano. L'inglese An attempt to smash a bank si incentra con toni da comica sulla crisi che colpisce un istituto. In Le trust è di scena lo spionaggio industriale, con una figura di detective privato tra le più sgradevoli e qualche ameno colpo di scena. Die borsenkonigin con Asta Nielsen è stato seguito (mea culpa) nel disperato tentativo di decifrare le didascalie olandesi, comprendendolo "a braccio": affari, amore e disperata gelosia, con una intensa (pure troppo) Asta Nielsen.
Della parziale (la produzione muta e i primi anni di quella sonora) retrospettiva di Frank Capra, Long pants, con uno dei più stupidi e fuorvianti titoli italiani di sempre, Le sue ultime mutandine, permette di vedere all'opera il comico Harry Langdon. Adulto ancora bambino, vestito in modo impacciato, che sogna di saperci fare con le donne, si imbatte nella "pericolosa" Bebe Blair per cui perde la testa. Il film spinge su lunghe e molto divertenti sequenze di comicità slapstick, come il tentativo del protagonista di far fuori la promessa sposa e quando scambia un pupazzo di poliziotto per uno vero (e viceversa). La donna di platino, sonoro, ambientato tra giornalismo e classe altolocata, ha battute efficaci, anche se il personaggio del protagonista è un poco troppo gaggio.
Le proiezioni serale gratuite in piazza Maggiore offrono modo di vedere il bel classico di King Vidor La folla, dalla regia estrosa, inaspettatamente comico senza intaccarne il lato drammatico. Maciste in vacanza, per la retrospettiva sui Macisti intepretati da Bartolomeo Pagano, è molto divertente: il gigante si presenta dal dottore affermando di essere esausto e gli sfascia un tavolo. Come in Maciste, si gioca sul metacinema: Maciste non riesce a fare vacanze tranquille perchè tutti lo riconoscono. Ama la sua automobile Diattolina, che considera come una moglie, come dice alla ragazza americana che è sì carina -pensa il gigante-, ma non efficiente come la vettura. Verso la fine il film prende ritmi da comica, con gag violente inaspettate -estrose uccisioni (non per mano di Maciste) di rivali in amore-. Per la sezione "Alla ricerca del colore dei film", La più grande avventura; vale la pena vedere un film di John Ford su grande schermo in un'ottima copia, anche se chi scrive non riesce a unirsi all'aureola di santità messa sulla testa del regista americano, che, almeno in casi come questo, fa un cinema sin troppo classico e sin troppo americano, dalle emozioni precotte. Opinione espressa con sincerità, senza la volontà di riscrivere la storia del cinema nè di provocare. Simpatica comunque Edna May Oliver nella parte della sveglia signora che si fa portare fuori col letto dagli indiani venuti a incendiarle la casa.
In conclusione, Die drei Marien und der herr von Marana aka Le tre Marie, uno dei pochissimi film sopravvissuti della ballerina e attrice tedesca Anita Berber (definita "Dea della notte" nel programma), è una di quelle chicche che però all'atto della visione annoiano un pò. Film in costume e d'amore curioso, ma pasticciato e che pare lungo.
Alessio Vacchi
Foto da http://www.cinetecadibologna.it/cinemaritrovato2009/ev/immagini.
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