Italia 1969. Su dvd Raro.
Fernando Di Leo ha messo in chiaro che la sua trasposizione del romanzo di Scerbanenco I ragazzi del massacro andava considerata “altro” dal libro; insomma ne aveva sfruttato lo spunto riadattandolo alle proprie esigenze creative, pur mantenendosi fedele all’assunto di base. In effetti, sebbene il plot sia il medesimo (l’indagine poliziesca sullo stupro e l’assassinio di una maestrina da parte dei suoi allievi in una scuola serale per giovani disadattati) le differenze sono palesi. Identici il taglio realistico, l’atmosfera torbida con cui l’autore scava nei meandri di una Milano corrotta e degradata in cerca della verità; medesima idea che ad istigare i giovani delinquenti sia stato un adulto, un “cattivo maestro”. Ma il personaggio di Duca Lamberti, il detective della situazione, viene drasticamente modificato. Svaniscono il suo passato di medico, la sua nuova identità di Maigret “prestato” alle forze dell’ordine; al suo posto abbiamo un poliziotto cinico e disilluso, i cui metodi brutali nascono non tanto dall’esigenza di estirpare scientificamente il male e metterne al nudo i punti deboli (retaggio dei trascorsi clinici del protagonista letterario) quanto dall’amarezza di chi ormai dispera di poter combattere il crimine coi metodi tradizionali previsti dalla legge. In tal senso il Duca Lamberti interpretato da Capponi anticipa la stagione dei commissari di ferro che popoleranno il cinemsa poliziesco italiano degli anni 70 grazie ad interpreti come Enrico Maria Salerno, Franco Nero, Maurizio Merli, Luc Merenda.
Anche più drastiche le modifiche al personaggio di Livia Ussaro, che da amante e collaboratrice di Duca si trasforma in assistente sociale apparentemente ingenua ma estremamente determinata (viene mantenuta l’idea di una love story col protagonista, che sulla carta l’aveva conosciuta nella sua prima indagine letteraria, Venere privata). Perfino il movente del delitto cambia: nel romanzo a guidare la furia sadica dei ragazzi era il parente di uno di loro, spinto dal desiderio di vendetta; nel film c’è sotto una sordida storia di abusi sessuali e pederastia. Ed è nella chiusa filmica che individuiamo la profonda differenza, la più importante, fra romanzo e trasposizione cinematografica. Se infatti Duca nel libro si rivelava meno spietato delle apparenze, aprendo il proprio cuore alla comprensione e confessando a Livia di provare una certa pietà per gli autori del massacro, così non avviene per il Duca cinematografico. Le sue parole sono gravate da un senso di sconfitta e sfiducia nelle istituzioni: ormai i giovani assassini sono segnati da ciò che hanno fatto, difficilmente potranno essere riabilitati. E l’adulto che li ha manipolati e corrotti usufruirà di tutte le attenuanti e scappatoie garantite dal sistema giudiziario, pronto a tornare in libertà e riprendere le proprie nefande attività. Finale più nero del nero, dunque; anticipatore della futura piega noir che prenderanno le opere che hanno reso grande il cinema poliziesco di Fernando Di Leo.
Corrado Artale
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