domenica 16 maggio 2010

Incompresi. DELITTO SUL PO


Italia 2001.

Di Antonio Rezza avevamo già recensito Escoriandoli, il suo primo lungometraggio. Qualche anno dopo ci ha riprovato, per la seconda e finora ultima volta, con questo Delitto sul Po, codiretto con la sodale Flavia Mastrella. Si tratta di un film più piccolo, low budget e misconosciuto, prodotto da Gianluca Arcopinto con la sua defunta e coraggiosa casa Pablo.
In poco più di 70 minuti, il film mette in scena qualcosa che somiglia ad un poliziesco, ma all'insegna dello straniamento e del nonsense. Il commissario impersonato da Rezza, vestito in trench, emerge dalle acque per indagare su quanto vediamo accadere: tre tizi - tra cui l'altro sodale di Rezza Armando Novara ed Elisabetta Sgarbi, ringraziata sui titoli di coda per aver fatto conoscere l'ambientazione - ne accoppano un altro. Rezza pedina, diciamo così, i sospetti, mentre la macchina da presa continua a tornare sul luogo del delitto. Poi li pesca, inevitabilmente: nelle sue parole, "le indagini sono basate sulla visibilità dei sospettati" e "c'erano solo loro tre: chi cazzo dovevo arrestare!?". Gli assassini continuano ad essere sbattuti tra la cella (vedi dopo) e una sala dove vengono interrogati con mimica brutalità, in catene. Un giornalista impiccione viene pure arrestato brevemente e nell'ultima parte le sorprese non mancano: uno dei tre si suicida, un altro evade e vede la Madonna francese (sic). Purtroppo la vede anche il commissario, che ne rimane scioccato. Gli evasi, che ora sono due, ottengono però il fatto loro da parte di... bah, raccontarlo a parole è stucchevole e non rende.
Il tutto è girato in un formato panoramico accentuato da una regia a base di inquadrature con la macchina da presa piegata da un lato, primi piani o riprese dal basso. Le ambientazioni sono limitate, la principale è la riva del delta del Po, in cui avviene il misfatto, in cui l'ispettore continua a muoversi e che funge anche da carcere: una grata di ferro, ficcata nella terra all'occorrenza. Poi c'è il commissariato, una stanza in cui lui entra ed esce maltrattando una donna in divisa ed un uomo, il capitano Harris, a cui sono riservate alcune sequenze in cui si presenta con una frase registrata in inglese, un'introduzione allo Shenker method (sic). Il suono è ostentatamente aggiunto in postproduzione, come accade in molti corti di Rezza. Lui doppia alcuni altri personaggi (che dicono poco), dal canto suo il morto emette una specie di belato e l'assistente del commissario "ruggisce". Ma soprattutto, il film è diviso da alcuni secondi di schermo nero in microsequenze della durata di una trentina di secondi ciascuna, perchè inizialmente concepito in queste pillole destinate alla trasmissione televisiva.
Insomma, al confronto Escoriandoli è un film commerciale. Qui Rezza e Mastrella, oltre a parodiare a loro modo un genere (il commissario tra l'altro riceve telefonate preoccupate da superiori vari), si spingono di più dentro uno sperimentalismo che tocca anche la forma cinematografica e il risultato può estenuare. Alla lunga l'impressione di cazzeggio e di incartamento si fa strada (consapevole, senza dubbio: il commissario stesso esprime il dubbio che il pubblico possa stancarsi!). Ci sono cose geniali (il giornalista ciccione e il suo modo di esprimersi, l'"interpretazione" dei rapporti sessuali), Rezza si ritaglia spazi in cui piazza scenette e monologhi lampo dei suoi, ma l'impostazione del tutto, quasi autosabotatoria, certo non va incontro allo spettatore. Se Rezza piace, qualche sorriso è assicurato, ma non è il lavoro ideale per avvicinarvisi. Sotto, i primi minuti del film.
A.V.

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