domenica 24 gennaio 2010

In sala. AVATAR



Scrivere di Avatar mette un pò in imbarazzo. Si tratta di un film effettivamente atteso, oltre che molto pompato, a cui il pubblico, come ampiamente prevedibile, sta dando il suo consenso (in Italia siamo per ora sui 21 milioni di euro), manifestato addirittura con applausi. Atteso anche perchè è il ritorno alla regia di un lungometraggio di un autore che ha segnato l'immaginario degli anni 80 e 90. Ma toccherà essere anticonformisti e sinceri. Avatar è un film francamente deludente. Non si nega il passo in avanti nell'utilizzo del 3D, che finchè il cervello non vi si abitua è d'effetto: il mondo di Pandora vi è ritratto con cura, viene voglia di scansarne le frasche e le capocce dei soldati in riunione sembra di averle disposte davanti a sè. Ma non si dovrebbe temere di passare per criticoni/intellettuali se si rileva quel che è evidente subito sotto l'aspetto tridimensionale e già durante la visione, cioè che la storia è debole, banale, stereotipata, già vista. Un uomo chiamato cavallo, Balla coi lupi, Pocahontas, Jurassic Park sono i primi titoli richiamati alla mente. Qualcuno se ne è accorto e ha parlato di archetipi, di semplicità, ma purtroppo è qualcosa in meno: è banalità, è elementarità. Il film che dovrebbe segnare una nuova era, un nuovo cinema ecc. è un blockbuster più bambinizzato del solito. E guarda un pò, durante la visione sorge la noia: perchè l'interesse verso la storia sullo schermo diventa nullo, se tutto quello che accade è preventivabile e se i personaggi sono figure grazie al 3D, ma figurine quanto a spessore. Per quanto sia affascinante la mobilità in modo particolare della figura femminile di Neytiri (che quando si arrabbia perchè tradita, recita come una qualunque atticetta americana), l'empatia verso quel che accade è a livello di un fumetto e non di quelli buoni. In un film di 2 ore e 40 minuti, non può bastare il vedere i diversi piani spaziali in rilievo, se il resto è così carente. Per fortuna nell'ultima parte si combatte (è pur sempre un film di Cameron), anche se la violenza di plastica da blockbuster PG-13 non aiuta.
Cascano le braccia in certi dialoghi, in certe situazioni (il primo colloquio tra la donnina blu e il soldato, con lei che lo rimprovera e lui che fa lo stupidino, e poi viene ricoperto di quelle medusette; l'omaccione blu che si avventa contro il protagonista quando lo ritiene responsabile di quanto accaduto). Il doppiaggio ci mette del suo, anche il personaggio di Norm è doppiato in modo molto debole, ma non è tra i problemi primari. Insomma, non è badare al pelo nell'uovo il notare che in Avatar c'è tanto 3D, ma non c'è anima. Certo, c'è una storia (elementare), c'è un discorso, forte e paraculo insieme, politico pro-altre culture, per esaltare lo spettatore nel segno del politicamente corretto: ma il film è contenutisticamente piatto, racconta quel che racconta, fa vedere quel che fa vedere, punto. La ricchezza del testo? Le seconde letture? Possono anche esserci, e alcuni critici lo dimostrano, ma sono cose sviscerabili con fatica, capziose e decisamente post-visione. Parlare di "classicità" è superficiale: il cinema "classico" è mai stato così povero internamente?
Cosa resta del film, dopo la visione? Quasi nulla, la mente si sforza a ricordarne immagini, sequenze. Già per questo motivo, per chi scrive, il film è purtroppo un fallimento. Al di là delle immagini spettacolarmente ricercate o di scatafascio, ci sono due immagini forse più fini: i Na'vi che si guardano attorno disperati e piangenti dopo la prima distruzione del loro mondo, e Neytiri che prende in braccio amorevolmente il protagonista, dopo la lotta finale. Ma in esse, l'importanza del 3D è marginale. Ahia. Ma allora dove sta l'"epocalità" del film?
Se non stupisce l'apprezzamento del pubblico (influenza del marketing, efficacia spettacolare del 3D; o davvero si trova coinvolto dalla storia?), per la critica il discorso è diverso. Una critica cinematografica che dà un "10", ideale o nero su bianco, ad Avatar è una critica che pare aver perso la bussola, la misura e la ragione d'essere, non per una questione ideologica di "sparare sul blockbuster"; a cosa serve una critica che resta pure lei incantata dietro gli occhialini, per poi certificare la grandezza di un film-evento spettacolare fuori ma palesemente "moscio" dentro? O forse si teme di non essere abbastanza al passo coi tempi e in sintonia con la gente? Se Avatar è grande, grandissimo cinema, cosa significa grande cinema? E i veri grandi film, cosa sono? Se Avatar, che alla fine della fiera è una lunga fiabetta abbastanza bella da vedere, dovrebbe cambiare il cinema e segnare una strada, viene da inneggiare al passatismo, o al limite al classicismo (quello vero). Si capisce come Cameron abbia puntato tutto sulla tecnologia, non è da oggi che ne è interessato e poi, tecnologia (semi)nuova ma vecchia storia: pompando un film come è stato fatto per Avatar, l'importanza che sia un film di spessore è superflua. Però, peccato.
Alessio Vacchi

1 commento:

Francesco Longo ha detto...

Non ho visto il film ma ho visto le anteprime e i commenti televisivi. Poi, leggendo la tua opinione mi sembra che Avatar segua la falsariga dei film del secolo scorso tra cowboy ed indiani. Un deja vu che ribadisce il concetto del "politicamente corretto".
Grazie
Francesco