Tit. or. Knowing.
Warning: il seguente pezzo contiene anticipazioni sulla trama e sul finale che possono compromettere la visione a chi non conosce il film ed intende vederlo.
Ancora un film sull’Apocalisse, probabilmente sull’onda delle paure suscitate dalle profezie Maya sull’avvento della fine del mondo, prevista per il 2012. Questa volta si cimenta col genere Alex Proyas, generalmente a suo agio col fantastico (a lui dobbiamo il cult Il Corvo, nonché il tenebroso Dark City). Il risultato, però, delude le peraltro magre aspettative (ma esiste ancora un film in grado di aggiungere qualcosa di nuovo sull’argomento?): ci troviamo di fronte ad un soggetto senza sorprese, che al tema delle profezie catastrofiche dettate ai bambini innocenti da forze misteriose unisce l’ufologia, assimilando il concetto delle civiltà extraterrestri al misticismo di matrice giudaico-cristiana. L’incipit è suggestivo, con la trovata del messaggio numerico infilato in una capsula del tempo; ma il pubblico mangia la foglia ancor prima che la narrazione sia giunta a metà del primo tempo, vanificando i pochi momenti di genuina atmosfera fantastica che la sapiente regia di Proyas riesce a creare.
Cage si adatta al ruolo di Cassandra dell’astrofisica che nessuno crede, districandosi fra incidenti talmente rovinosi e roboanti (smodato l’uso della computer grafica, come sempre in questo genere di prodotti) da suscitare incredulità prima ancora che paura (pigiando sull’acceleratore del grand guignol avremmo ottenuto un nuovo capitolo della saga horror Final Destination); e se l’idea che gli adulti accettino l’estremo sacrificio per tutelare la sopravvivenza delle generazioni future ha un innegabile impatto emozionale sul pubblico, la visione idealizzata di un Eden pronto ad accogliere i bambini scampati al massacro fa rimpiangere l’interpretazione cristologica di Franco Nero in Stridulum. Fantascienza precotta per il pubblico da multiplex della domenica sera.
Corrado Artale
Cage si adatta al ruolo di Cassandra dell’astrofisica che nessuno crede, districandosi fra incidenti talmente rovinosi e roboanti (smodato l’uso della computer grafica, come sempre in questo genere di prodotti) da suscitare incredulità prima ancora che paura (pigiando sull’acceleratore del grand guignol avremmo ottenuto un nuovo capitolo della saga horror Final Destination); e se l’idea che gli adulti accettino l’estremo sacrificio per tutelare la sopravvivenza delle generazioni future ha un innegabile impatto emozionale sul pubblico, la visione idealizzata di un Eden pronto ad accogliere i bambini scampati al massacro fa rimpiangere l’interpretazione cristologica di Franco Nero in Stridulum. Fantascienza precotta per il pubblico da multiplex della domenica sera.
Corrado Artale
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