Usa 1987. Su dvd Storm.
Warning: il seguente pezzo contiene anticipazioni sulla trama e sul finale che possono compromettere la visione a chi non conosce il film ed intende vederlo.
Quando Clive Barker ha esordito alla regia cinematografica girando Hellraiser (trasposizione del suo romanzo The Hellbound Heart) ha motivato tale scelta dichiarando di essere stufo delle pessime riduzioni in celluloide di tanti suoi racconti horror. In effetti, le invenzioni fantastiche e macabre di Hellraiser ricreano sapientemente lo spirito nero della sua narrativa: suggestivo il look dei Cenobiti (Supplizianti nel doppiaggio italiano), a metà strada tra il fetish sadomaso e le creazioni ultraterrene di Lovecraft; e suggestive le torture infernali che infliggono alle loro vittime, in un delirio sanguinario e pesantemente erotico. Non lo spirito, ma la carne è l’interesse di tanta furia devastatrice; una rielaborazione dell’Inferno cristiano, il cui scopo non è punire il peccato ma in certo qual modo esaltarlo, mescolando estremo piacere ed estrema sofferenza. L’influenza estetica che Hellraiser ha avuto sulla cinematografia dell’orrore anni 80/90 è palese, si può giustamente parlare di un classico; ma in cosa si differenzia dal romanzo di Barker?
La storia è fedele, ma si ha l’impressione che l’autore si sia frenato, cercando di offrire al pubblico un prodotto meno complicato delle sue divagazioni letterarie. Del tutto assente l’ironia dissacrante e sottilmente blasfema che permeava il testo originario (l’anticlericalismo barkeriano è una costante dei suoi scritti; in questo film si riduce ad una peraltro affascinante riduzione di immagini sacre a relitti fatiscenti e muti di fronte all’orrore che si scatena); assenti anche i riferimenti esoterici alla fabbricazione del cubo e alla Configurazione del Lamento (la genealogia alchemica verrà approfondita meglio nella serie a fumetti ispirata a film e romanzo ed edita negli anni 90 dalla Play Press). Nel libro (uscito in Italia presso Sonzogno col titolo Schiavi dell’inferno) il destino del cubo è strettamente legato a quello dei suoi custodi umani; tant’è vero che nel finale romanzesco è la protagonista, scampata al massacro, a ricevere l’oneroso incarico di diventarne la riluttante guardiana. Compito cui non può e non sa sottrarsi, goffa e schiacciata dalla vita com’è; un ruolo ben diverso da quello cinematografico, dove Kristy è una ragazza bella, coraggiosa ed emancipata, destinata a sconfiggere il Male con la propria forza interiore. Un’impostazione decisamente più hollywoodiana, insomma; e il finale, col cubo portato via da un’alata creatura demoniaca e destinato a tornare nelle remore lande dell’Oriente per finire tra le mani di qualche altra incauta vittima, ricorda in maniera palese l’analoga sorte del medaglione malefico nella chiusa di Manhattan Baby, horror diretto nel 1982 da Lucio Fulci. Coincidenza? O trattasi di omaggio voluto, dato l’amore dichiarato di Barker per la filmografia blood & gore del cineasta italiano? Ai fans l’ardua sentenza.
Corrado Artale
La storia è fedele, ma si ha l’impressione che l’autore si sia frenato, cercando di offrire al pubblico un prodotto meno complicato delle sue divagazioni letterarie. Del tutto assente l’ironia dissacrante e sottilmente blasfema che permeava il testo originario (l’anticlericalismo barkeriano è una costante dei suoi scritti; in questo film si riduce ad una peraltro affascinante riduzione di immagini sacre a relitti fatiscenti e muti di fronte all’orrore che si scatena); assenti anche i riferimenti esoterici alla fabbricazione del cubo e alla Configurazione del Lamento (la genealogia alchemica verrà approfondita meglio nella serie a fumetti ispirata a film e romanzo ed edita negli anni 90 dalla Play Press). Nel libro (uscito in Italia presso Sonzogno col titolo Schiavi dell’inferno) il destino del cubo è strettamente legato a quello dei suoi custodi umani; tant’è vero che nel finale romanzesco è la protagonista, scampata al massacro, a ricevere l’oneroso incarico di diventarne la riluttante guardiana. Compito cui non può e non sa sottrarsi, goffa e schiacciata dalla vita com’è; un ruolo ben diverso da quello cinematografico, dove Kristy è una ragazza bella, coraggiosa ed emancipata, destinata a sconfiggere il Male con la propria forza interiore. Un’impostazione decisamente più hollywoodiana, insomma; e il finale, col cubo portato via da un’alata creatura demoniaca e destinato a tornare nelle remore lande dell’Oriente per finire tra le mani di qualche altra incauta vittima, ricorda in maniera palese l’analoga sorte del medaglione malefico nella chiusa di Manhattan Baby, horror diretto nel 1982 da Lucio Fulci. Coincidenza? O trattasi di omaggio voluto, dato l’amore dichiarato di Barker per la filmografia blood & gore del cineasta italiano? Ai fans l’ardua sentenza.
Corrado Artale
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