domenica 20 gennaio 2008

The book runner. LA SCOMPARSA DEI FATTI


Ed. Il Saggiatore, 2006.

Marco Travaglio è, oltre che giornalista, scrittore prolifico. La sua bibliografia mette in luce un ritmo che ha toccato i quattro libri l’anno, scritti talora in collaborazione con altri; in ogni caso, basta un giro in libreria per trovare sempre, nella sezione di politica/attualità, qualche sua opera. Ma ha qualcosa da dire, o sforna libri a macchinetta, tanto per…? Leggendo opere come La scomparsa dei fatti o il precedente Regime (su misfatti ed epurazioni della nostra tv nel secondo governo Berlusconi), sembra valida la prima ipotesi. E quello che viene esposto in questo libro è micidiale, per chiunque abbia un cervello sufficientemente slegato da balle partitiche e televisive. Che ruolo hanno, nell’Italia di oggi, i fatti? Sono considerati alla stregua di opinioni. Si manipolano e vanno persi, sostituiti da pareri di comodo, interpretazioni, o menzogne belle e buone, diffuse da chi ha tutto l’interesse affinchè di certe cose non si parli, o meglio: se ne parli in un dato modo. Tra notizie date senza aver dietro fonti serie ed altre che vanno a traino di falsità, senza che qualcuno si preoccupi di approfondire e magari smentire, il quadro è completo. Ed è deprimente: perché testimonia di un forte legame tra politica ed informazione e persino della presa in giro come fondamento del lavoro di certuni. Cosa che sembra non avere eguali in altri paesi che non siano dittature. Così, un’informazione vera, che dovrebbe essere diritto legittimo, si fa strada a fatica nei media in mezzo ad una informazione incatenata, mentre si creano dibattiti-fuffa che distolgono dai noccioli delle questioni. Non che questo sia una totale sorpresa. Ma il libro ha la legittima presunzione di riportare dell’ordine in questo caos informativo. La rievocazione puntuale di cosa è successo, di cosa è stato messo agli atti, di come si sono concluse delle inchieste, fa piazza pulita dei revisionismi di comodo del potere politico -per esempio, su Tangentopoli- ed è messa a confronto con l’infilata di balle mediatiche a riguardo. Per non parlare della messa in luce della caratura morale di personaggi del piccolo (davvero) schermo, come Bruno Vespa. Per non parlare dei confronti con l’estero: la menzogna di Aznar sull’attentato, che lo portò a dimettersi, i casi di conflitti d’interessi risolti con fermezza. L’insieme fa mettere le mani nei capelli e chiedersi perché non possiamo essere un paese più normale.
Cosa si può rimproverare all’autore? Tuttalpiù qualche commento sferzante, qualche epiteto, che sono i suoi modi di esprimere una sconsolata ironia. Che però, francamente, è legittima. Si potrebbe leggere La scomparsa dei fatti come un invito alla maggior parte dei giornalisti ad alzare la schiena e fare davvero il loro mestiere -invece che farsi correggere in gruppo da un collega più “cane sciolto”-. Testimonianza di una sconfitta deliberata dell’informazione italiana, il libro, come minimo, aiuta a ricordare, cosa utile per farsi prendere meno in giro: leggetelo, consultatelo e parlatene. Diffidando di chi lo bollerà spregiativamente con qualche aggettivo che termini in –ista.
                                                                     Alessio Vacchi

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