Germania/Usa/Francia 2009.
In seguito ad un atto autolesionistico, una ragazza che vive con la zia ed un padre severo medico, è costretta a letto col viso bendato. Viene chiamata ad assisterla una infermiera "molto" amorevole, mentre il padre attende il momento dello sbendaggio. Una volta che la ragazza torna ad avere un viso, tra lei e l'infermiera esplode definitivamente l'attrazione, destinata a causare, come ovvio, dei problemi.
Uno dei pochi film nuovi visti al festival da chi scrive si è rivelato purtroppo una delusione, rispetto alle aspettative alimentate dal plot e dalle parole di presentazione. "Le parole sono importanti!", direbbe Moretti, ma è anche vero che non è un film ben definibile: thriller? E cosa c'è mai di thriller? La suspance è da cercare col lumicino, fatti salvo magari gli ultimi minuti in cui si tirano le fila. Chirurgico, beh, c'è una sequenza di operazione che ha creato il panico negli spettatori, molto emozionali. E' un film erotico? Insomma, ci prova, ma non ci si facciano idee strane di sadomaschismo o che: l'erotismo è loffio e molto tiepido, si anima un poco di più una volta che la ragazza è sbendata e le due donne possono amoreggiare in modo più libero. E' una storia gotica? L'ambientazione è quella che è, in una villa isolata, ma nn c'è un lavoro particolare di fotografia, ad esempio, che valorizzi o dia atmosfera.
Purtroppo, la noia giunge inesorabile in un film che forse si fida troppo di sè stesso senza avere molto da dire. Si percepisce la voglia di girare in modo raffinato della Beatty, ma tra una lunga sequenza e l'altra, la lentezza e l'algidità la fanno da padrone e durante la visione non si capisce dove si voglia andare a parare, nè se interromperla o sperare e aspettare che qualcosa si smuova. Eppure questo secondo lungometraggio della regista è prodotto nientepopodimenoche da Abel Ferrara: chissà cosa vi avrà scorto. Colpisce, nel ruolo del padre austero e charmant, Hans Piesbergen, col suo volto a metà tra David Bowie e Rocco Siffredi.
Con i corti dell'autrice non va meglio, anzi. Se Belle de Nature non rinuncia alla cifra stilistica della Beatty, la noia, in esso si fa però strada qualche squarcetto interessante. Collocando la protagonista, nuda, in mezzo alla natura "selvaggia", la regista ne valorizza le percezioni sensoriali cercando di rendercele - le gocce di pioggia sulla lingua sono la cosa che funziona meglio - . Il fine non è certo l'onanismo, ma per quanto sul crinale del ridicolo, tra insetti amoreggianti e piante che scudisciano, le pretese artistiche pesano meno rispetto a un lavoro come Ecstasy in Berlin 1926, che metterebbe a dura prova un santo. In un bianco e nero che poi si fa seppiato, come vedessimo una cartolina d'epoca animata e sporcacciona, una fanciulla si inietta qualcosa nella coscia per poi venire "sedotta" e sottoposta a giochi sadomaso-fetish da parte di un'altra. Alla terza tranche di sculacciamento soft, non si capisce cosa trattenga dall'uscire dalla sala - neppure i corpi delle attrici - . Spiace fare gli "uomini della strada", ma non c'è ragione per cui un lavoro simile duri circa 40 interminabili minuti, se non la mancanza di controllo e critica su quel che si fa. Da salvare, comunque, qualche idea visiva, come la ripartizione dell'inquadratura in verticale.
A.V.
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