domenica 20 dicembre 2009

Incompresi. Comici allo sbaraglio: MY SWEET CAMERA


Italia 1987. Di Ranuccio Sodi.

Un giovane (Rossi) fa rubare ad un amico una macchina da presa, oggetto dei suoi desideri, verso cui svilupperà una passione quasi feticistica. Quel che vuol fare è utilizzare la cinepresa "come un fucile", fare presa sulla realtà. Per questo chiede lumi a due eminenti cinefili (Tatti Sanguineti ed Enrico Ghezzi), ma trascurerà la moglie in dolce attesa (Lucia Vasini, che era davvero incinta, impegnata di recente in tv con Glob e Colorado) e concretizzerà davvero poco. Prodotto dall'associazione milanese Film Maker, all'interno di un corso per cortometraggi vinto dal lavoro nel 1988, My Sweet Camera dura mezz'ora e trae originariamente ispirazione, nelle parole del regista Sodi, da un racconto di Pier Vittorio Tondelli, in cui una Volvo passa di mano in mano e c'è un suicidio finale, modificato al punto che qui c'è al più un suicidio "artistico", da parte del buon Rossi che nell'ambiguo finale dice di voler "colpire al cuore il sistema", ma si crede poco ai suoi straparlamenti mentre piazza la cinecamera in un posto vuoto.
Paolo Rossi era all'epoca reduce da alcuni film tra cui i vanziniani Via Montenapoleone e Montecarlo gran casinò della Filmauro. Per My Sweet Camera rompe il contratto con De Laurentiis, sentendosi evidentemente sacrificato nelle sue produzioni; nel 1988 verrà I cammelli, a fianco di Abatantuono, mentre con Filmauro farà a distanza di anni il flop Silenzio si nasce (che è materiale da Incompresi). Qui Sodi riesce a fare qualcosa che non imbriglia assolutamente la carica comica di Rossi, che è mattatore, ma è nel contempo riflessiva-autoriale: è un esempio mirabile di utilizzo di un attore comico per fare qualcosa in più. Non stupisce che Rossi abbia parlato di My Sweet Camera come dell'unico suo film di cui è soddisfatto. Le invenzioni comiche, frutto in piccola parte di improvvisazione, sono felici: è memorabile la moglie che lo sveglia di notte chiedendo di soddisfare la sua voglia "di Wim Wenders.... Nel corso del tempo", mentre Ghezzi e Sanguineti recitano loro stessi con naturalezza e consapevolezza del loro essere, per così dire, fuori dagli schemi (ma tutto il ridotto cast sembra a proprio agio): non a caso qui i due paiono vivere assieme, fungendo da supporto, stralunato ed inutile, all'aspirante cineasta (alla richiesta di pellicola vergine, Ghezzi lo rimprovera: "Ma la pellicola non è mai vergine...").
Sodi dal canto suo ha voluto esprimere la disillusione e la fine di un'epoca in cui sembrava che si potesse fare di più con il cinema, in cui le macchine da presa leggere documentavano anni di ribollimenti della società. In questo senso il finale, più teorico e detto, è un pò meno riuscito del resto: meglio Rossi che dalla sua finestra si illude di star girando eventi epocali, quali sganci di bombe aeree e l'uccisione di Kennedy. L'invisibilità del corto è un peccato, in ogni caso qui c'è un montaggio di tre minuti del film.
Alessio Vacchi

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