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Nel gergo giornalistico americano, lo “stringer” è un libero professionista che, pur collaborando stabilmente con editori o emittenti, viene pagato solo in base ai singoli lavori pubblicati. Eric Hayes, il protagonista di The Ghouls, è uno stringer: più precisamente, è un cameraman che, come un avvoltoio, batte senza scrupoli le strade di Los Angeles in cerca di incidenti, crimini e altri misfatti da filmare e vendere alle stazioni televisive. Una notte si imbatte in quello che all'inizio parrebbe uno stupro di gruppo in un vicolo, un buon bottino per uno come lui. Una volta avvicinatosi però si accorge che gli assalitori sono esseri subumani intenti a divorare la loro vittima: videocamera alla mano, Hayes filma la scena, convinto di fare uno scoop che lo renderà ricco. Ma in seguito, con somma amarezza, si accorge che nella macchina non c'era nastro: ossessionato da ciò che ha visto, il nostro decide di indagare, cosa che lo porterà a scoprire un orrore che nemmeno uno sciacallo come lui può tollerare.
“The Ghouls” (altrimenti conosciuto nel Regno Unito come Cannibal Dead: The Ghouls) è un film a bassissimo costo (circa quindicimila dollari) e girato in digitale nel 2003: il regista Chad Ferrin (qui alla sua seconda prova, dopo Unspeakable, l'opera prima) aveva venduto la sua automobile per finanziarlo. La prima cosa che salta all'occhio durante la visione è la bassa fattura delle immagini, girate in larga parte di notte per le strade di Los Angeles e poscia (s)graziate da una post-produzione a metà tra l'inadeguato (i colori) e l'ingenuo (i tentativi di schiarire i punti più bui). Lo stesso vale per gli interni, con inquadrature scure, quasi sempre male illuminate, dove ogni tanto fanno pure capolino gli stativi dei fari, sulla cui presenza viene da interrogarsi. Anche il suono, infine, per quanto i dialoghi siano sempre comprensibili, è lungi dall'essere un esempio di buona fattura. Ma, curiosamente, come quasi mai accade, i limiti e le lacune tecniche in questo caso contribuiscono a dare al tutto un certo fascino: la storia infatti è immersa in un'atmosfera di squallore e degrado (ambientale tanto quanto umano) che ben si sposa con le riprese sgranate, imprecise e ogni tanto pure sfuocate. La colonna sonora, minimalista ma con influenze jazz, aggiunge un ulteriore tocco di singolarità all'opera. I ghouls, di loro, non sono altro che figuranti vestiti come straccioni che grugniscono ingobbiti col volto coperto da sporcizia e cerone, ma questi sono dettagli: ciò che mi preme sottolineare è come, sorprendentemente, The Ghouls sia in grado di trascendere i difetti estetici e, in modo un po' contorto, ammaliare chi lo guarda. A distinguerlo dalla massa di prodotti superficialmente analoghi (spesso e volentieri nient'altro che paccottiglia amatoriale) è il fatto che Ferrin propone con serietà le tematiche che affronta, senza scimmiottare pellicole più famose e\o riuscite ed evitando i facili spaventi. Fondamentalmente, è un piccolo film con le palle.
Gli interpreti sono quasi tutti degli habitué dell'underground, come il protagonista Timothy Muskatell o la onnipresente Tiffany Shepis; i veri duri del genere esulteranno nel riconoscere (posto che non li ingannino i chili accumulati) Joe Pilato, il Capitano Rhodes de “Il Giorno degli Zombi” di George Romero, nei panni del viscido capo di Hayes. Anche James Gunn (sceneggiatore de L'alba dei morti viventi e regista di Slither) ha un piccolo ruolo. In definitiva, un film per pochi, consigliato solo ai più tenaci e ai meno prevenuti.
Emiliano Ranzani
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